Da poco si è concluso, a Roma, “Eros e Kairos”, primo festival internazionale di poesia al femminile, al quale ho avuto la gioia e il privilegio di partecipare come soggetto maschile. Quanto mai necessaria, oggigiorno, è la voce di poete e poeti contro la recrudescenza di violenze e delitti compiuti contro le donne nel nostro Paese.
Ma quanto pesa la cultura, il linguaggio che viene utilizzato e il ruolo mediatico rispetto a questa tragedia quotidiana? Proprio a proposito di violenza sulle donne all’interno dei nuclei famigliari italiani, ad esempio, “Amore Criminale” è il titolo di una nota trasmissione televisiva trasmessa da una rete nazionale. Senza voler entrare nella validità culturale e sociale di tale trasmissione, sembra che le più oscure ragioni commerciali cerchino continuamente di stimolare strumentalmente, magari per probabili motivi di lucro, la morbosa curiosità dei telespettatori; ma è palesemente evidente che un simile titolo non possa avere alcun senso se non quello di mistificare il significato di due parole così profondamente diverse tra loro, così chiaramente agli antipodi nei loro contenuti, così maledettamente inaccostabili da qualsiasi prospettiva le si voglia vedere, ascoltare, pronunciare.
Come si può mai anche solo pensare che sia possibile uccidere per amore? E l’amore non sta alla vita tanto quanto il crimine e l’omicidio stanno alla morte? Non è amore quando si nega l’altrui felicità per affermare la propria egoistica infelicità. Nessun amore ci appartiene se non quello che siamo in grado di dare all’altro o all’altra.
Perciò l’accostamento così stonato e stridente di due termini tanto in antitesi è sbagliato e pericoloso: sbagliato perché tale strabismo è profondamente diseducativo; pericoloso perché tende a giustificare, più o meno inconsapevolmente, l’azione criminale quando questa avviene per un presunto sentimento di “amore”.
Naturalmente è più che necessario dare rilevanza a un simile, drammatico argomento, per il quale si fa troppo poco e troppo male, ma sarebbe auspicabile che tale tema rientrasse nelle priorità delle agende politiche, culturali e persino religiose di questo Paese.
Temo che la sola denuncia spettacolarizzata, trasmessa in una rassegna televisiva degli orrori, non funga da deterrente per gli autori dei crimini, al contrario. Ci vorrebbe ben altro per porre rimedio a un simile degrado e si dovrebbe capire che forme aberranti come il maschilismo, l’omofobia ed ogni altra sorta di maschia violenza si nutrono di determinati modelli culturali e comportamentali, rispetto ai quali la lista dei responsabili è ben lunga.
Ci sono, in primo luogo, gravissime responsabilità politiche: non si legifera e si fa poco o nulla per tutelare le vittime dei crimini e ancor meno per promuovere e finanziare programmi educativi in ogni fascia del disagio sociale.
In secondo luogo ci sono le responsabilità culturali, dove concorrono l’istituzione famigliare (il luogo più pericoloso per l’incolumità fisica e psicologica delle donne), la scuola ed anche l’informazione, con un particolare impatto proprio della televisione.
Influenzano la formazione dei cattivi modelli di riferimento anche fattori come i messaggi pubblicitari, i giochi, i videogiochi, la moda e quant’altro. Non ultime ci sono le enormi responsabilità religiose delle principali confessioni monoteiste: a nessuna donna è permesso diventare cardinale, papa, rabbino o mullah e quanto più le religioni interferiscono nella vita sociale, culturale e politica, tanto più il ruolo della donna diventa discriminato e subalterno a quello dell’uomo.
Riguardo alla religione cattolica, ad esempio, questa si basa proprio su un peccato originale grazie al quale ogni donna è destinata a diventare colpevole ancor prima di nascere; per non parlare di comandamenti che sembrano fatti su misura per l’uomo, ad esempio il nono, che recita: “non desiderare la donna d’altri”, come se questa fosse una merce o una proprietà.
In Italia, continuano a consumarsi stragi di donne ammazzate dai loro mariti, dai fidanzati, da uomini che si dicono accecati dalla gelosia ma che in realtà sono orfani della loro stessa umanità. In questi ultimi anni, mediamente ogni 60 ore, una donna cade sotto i colpi di un uomo che si crede il suo padrone, proprietario di una vita della quale può disporre a proprio piacimento.
La maggior parte delle volte violenze, pestaggi e omicidi avvengono tra le confortevoli mura domestiche, dove ci si rinchiude per proteggersi dai pericoli esterni ma che invece diventano trappole mortali. Le armi più utilizzate sono lame e coltelli da cucina, sempre a portata di mano, pure se la maschia furia omicida si scatena con l’uso di strumenti variegati e con le tecniche più crudeli e fantasiose.
Tornando all’incipit del ragionamento, ci sono infine le responsabilità insite nel linguaggio e nelle parole che utilizziamo, rispetto a cui ciascuna persona è, in diversa misura, coinvolta. E’ chiaro che questo massacro è una vera e propria guerra dichiarata alle donne ed io, sia come soggetto maschile che come essere umano, mi sento corresponsabile per il fatto che si fa poco o nulla per fermare questo orrore quotidiano.
Per concludere sinteticamente, si potrebbe dire che la semplice esibizione del male, di qualsiasi male, non ha alcuna utilità se non si traduce nella concreta necessità di curarlo. Personalmente, sento profondamente mia questa necessità e cerco di manifestarla in ogni ambito della mia vita, a partire da ciò che scrivo e dico, anche e soprattutto se ciò che scrivo è dico abita i sentieri, troppo spesso autoreferenziali e salottieri, di ciò che si usa chiamare “poesia”.
DENTRO UN UOMO
Ci sono soprattutto tre cose che amo:
La Terra, la Libertà, la Pace, e tutte
sono coniugate al femminile
Ciascun uomo dovrebbe considerare meglio
la parte di donna che ha in sé, per completare
la ricchezza della propria umanità.
Marco Cinque
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