Il 9 di ottobre del 1967 viene ucciso Ernesto Guevara de la Serna, detto “el Che“. Tanti scrittori, poeti, musicisti hanno reso omaggio alla sua leggenda di rivoluzionario, guerrigliero, politico, poeta, scrittore e medico argentino. Oggi pubblichiamo in Potlatch una straordinaria poesia scritta da uno dei massimi poeti ed intellettuali dell’America Latina, Jorge Enrique Adoum, in occasione del trentennale della scomparsa del Che per una celebrazione a Casa de las America, a Cuba. Basta sostituire ai 30 anni del 1997 i 47 di oggi. La traduzione di Raffaella Marzano fa parte del libro L’amore disinterrato e altre poesie. Bellissima, intensa ed emozionante la lettura realizzata a Casa della poesia. Nelle prossime settimane condivideremo con i lettori di Potlatch una scelta di suoi scritti.
Jorge Enrique Adoum
Che: fugacità della sua morte
già trenta anni?
cioè abbiamo potuto continuare a restare per trent’anni in un mondo in cui lui non c’era?
cioè c’è una generazione che ha potuto nascere crescere e procreare in un mondo in cui da trent’anni lui manca?
come concepire il mondo per trent’anni senza lui?
l’america senza lui?
(se addirittura dicevamo agli europei che doveva essere triste non essere latinoamericani
perché lui era il primo esemplare di quell’uomo futuro che l’america avrebbe partorito un giorno
egli fu quell’essere di carne che era già nella leggenda o al contrario quell’eroe da epopea con il quale fino a poco fa prendevamo un caffè
egli fece sentire nobile la nostra america sentirsi degna quando a cuba era più america che mai
e andavamo lì orgogliosi di essere nati nel suo stesso continente nella sua stessa epoca
e dell’ammirazione e dell’affetto dell’umanità quando si parlava di una qualsiasi delle sue imprese o delle sue difficili virtù avevamo in un certo modo la pretesa che ce ne spettasse una parte…)
cioè stiamo noi senza il che dopo aver lasciato il che senza noi
(si stava pericolosamente convertendo in una scusa
egli faceva per noi quello che noi dovevamo fare
egli faceva quello che noi sapevamo di dover fare ma non facevamo
quello che avremmo voluto fare ma non facemmo
quello che inevitabilmente dobbiamo fare ma non facciamo
ed eravamo soddisfatti lui lo faceva bene tutto faceva bene
e lo lasciammo solo comandante senza esercito
noi l’esercito stavamo applaudendo da lontano il suo modo di essere uomo
ammirando la sua rettitudine commovendoci per la sua integrità di uomo…)
forse credendolo così grande credemmo che non fosse necessaria la nostra piccolezza ai suoi ordini
e perché lo credevamo invulnerabile non facemmo nulla perché quegli indios impenetrabili
trovassero una fessura nella pietra dell’anima attraverso la quale potesse penetrare una volta per tutte il futuro a rischiarare le cose delle loro tenebre
nulla facemmo mai affinché quella india con una figlia malata sapesse chi la stava assassinando da tanto tempo e chi ci stava salvando
lei prese i cinquanta pesos che le diede il che e qualcuno lo denunciò
e noi lo tradimmo perché non eravamo con lui davanti a lui vicino a lui dietro di lui
quando lo accerchiarono i militari e i lupi (lupi e lupi)
ora è difficile credere che lui sia potuto morire un giorno
ma fu ancora più difficile trent’anni fa perché il mondo non poteva immaginare che la misera morte degli uomini potesse toccarlo
perché la morte è così poca cosa e un tenente prado è poca cosa e un generale ovando è ben poca cosa
(e noi ci aggrappavamo alle menzogne della stupidità armata alle contraddizioni dell’infamia cercando di trovare in esse il segnale che era vivo
diventando d’un tratto esperti di logica come se i gorilla avessero la nostra logica
esperti di trucchi fotografici analizzando la sua barba temendo che fosse lui ma parlando del cristo del mantegna e di sculture del barocco…)
quando fidel disse che era morto
abbassammo la testa e raccogliemmo il mucchietto di ricordi come facciamo ogni volta che qualcuno muore come per ricomporlo
perché ce lo restituissero completo
senza buchi i suoi polmoni e il suo ventre
integre le ossa che dissero di aver spezzato per metterlo in un barile
intatta la sua pelle che dissero di aver bruciato affinché la sua tomba non diventasse luogo di pellegrinaggio
però cazzo dissi
se non c’è un solo cespuglio in america dove non lo abbiano ammazzato
non c’è un solo luogo che non sia la sua tomba di combattente e martire
e ci sentimmo miserabili un po’ in colpa per la sua solitudine
ma ancora inorgogliendoci per quello schiaffo finale che in nome di noi tutti diede a tutti i colonnelli sulla faccia di selniche
e riempendoci di odio più di quanto un essere umano possa sopportare
contro quel barrientos ibrido di gorilla e di G.I. che si fregava le mani e contro la nostra stessa cosa? codardia dogma comodità mutilazione?
e allora solo allora desiderammo essere stati a valle grande
essere morti accanto a lui
meglio al posto di lui…
qualcuno disse quel giorno che il gran barbudo dell’isola del caribe era rimasto solo
no cazzo dissi
lui è lì con dieci milioni di compagni che lo amano e i rivoluzionari del mondo che lo ammirano
quelli che sono rimasti soli e senza scuse siamo noi
quelli che sempre sono stati soli perché abbiamo voluto stare soli viziosamente soli
occupati della nostra domesticità blablablaterando della rivoluzione prima di andarcene a bere o a dormire
e quegli altri che ormai neppure parlano di rivoluzione
e non si trattò più di essere morti al suo posto ma di unire le nostre solitudini e le nostre piccolezze per rimpiazzarlo fra tutti
né di essere stati al suo posto ma di andare al suo posto
noi almeno quelli che non si erano imputriditi…
e molto tempo dopo persino nei villaggi più remoti di asia e di africa abbiamo visto contadini discutere i loro problemi agrari intorno a un tavolo sulla terra sotto la bandiera del loro paese e uno stendardo con l’immagine dell’uomo dalla stella sulla fronte
e sui muri delle nostre città dipinta l’immagine ripetuta dell’uomo dalla stella sulla fronte
e le adolescenti che non lo hanno conosciuto portare nel petto sui seni
l’immagine dell’uomo dalla stella sulla fronte…
repentina arrivò la carognata della storia
attoniti entrammo in una specie di vacanza ideologica quando all’improvviso nessuno seppe nulla né credette più in nulla
e invece di maledirci e di odiarci come se piangessimo per la nostra impotenza
ho cominciato a chiedere che era stato in che ansa delle viscere dell’america
avevamo perso l’uomo nuovo che aspettavamo e per il cui avvento alcuni avevano dato la vita
che ne era stato da quando lo abbandonammo con la sua guerriglia fantasma nella selva
che ne era stato quando il neoliberismo diventò “l’unica forma universale di governo” con la discola eccezione di cuba
quando perché lo avevano ucciso credettero che fosse morto e annunciarono “la fine della storia”
come se ormai tutti pensassimo allo stesso modo con la indocile eccezione del chiapas e di cuba
ma io so sappiamo che la storia non può finire prima che ritorni l’uomo nuovo che lui annunciò portandolo con sé
come la più bella utopia dell’america
e per questo lo aspetto per poter continuare ad essere vivo
e poter continuare ad aspettare quello che verrà
e allora che? hasta la victoria siempre?
Traduzione di Raffaella Marzano
Jorge Enrique Adoum
Che: fugacidad de su muerte
¿treinta años ya?
¿o sea que pudimos seguir sobrando treinta años en un mundo en
que no estaba él?
¿o sea que hay una generación que ha podido nacer crecer y engendrar en un mundo en que desde hace treinta años falta él?
¿como concebir el mundo treinta años sin él?
¿américa sin él?
(si hasta les decíamos a los europeos que debe ser triste no ser latinoamericano
porque él era la primera muestra de ese hombre futuro que américa iba a parir un día
él era ese ser de carne que ya estaba en la leyenda o a la inversa ese héroe de epopeya con el que hasta hacía poco tomábamos un café
él hizo sentirse noble a nuestra américa sentirse digna cuando en cuba era más américa que nunca
e íbamos por ahí orgullosos de haber nacido en el mismo continente que él en la misma época
y de la admiración y el cariño de la humanidad cuando se hablaba de cualquiera de sus hazañas o de sus difíciles virtudes teníamos en cierto modo la pretensión de que nos tocaba una parte…)
o sea que estamos nosotros sin el che después de que lo dejamos al che sin nosotros
(se nos estaba convirtiendo peligrosamente en excusa
él hacía por nosotros lo que nosotros debíamos hacer
él hacia lo que sabíamos que había que hacer pero no hacíamos
lo que queríamos hacer pero no hicimos
lo que inevitablemente tenemos que hacer pero no hacemos
y estábamos satisfechos él lo hacia bien todo lo hacia bien
y lo dejamos solo comandante sin ejército
el ejército estábamos aplaudiendo desde lejos su hombría
admirando su entereza conmoviéndonos su integridad de varón…)
tal vez por creerlo tan grande creímos que no hacia falta alguna nuestra pequeñez a sus órdenes
y porque lo creíamos invulnerable nada hicimos para que esos indios impenetrables
tuvieran una hendija en la piedra del alma por donde pudiera entrarles de una vez el futuro a aclarar las cosas de su tiniebla
nada hicimos jamás para que esa india con una hija enferma supiera quién la estaba asesinando largamente y quién iba a salvarnos
ella recibió los cincuenta pesos que le dio el che y alguien lo delató
y nosotros lo traicionamos porque no estuvimos con él delante de él junto a él detrás de él
cuando lo cercaron los militares y los lobos (lobos y lobos)
ahora es difícil creer que él haya podido morir un día
pero más difícil fue hace treinta años porque el mundo no podía imaginar que la pequeña muerte de los hombres lo tocara
porque la muerte es tan poca cosa y un teniente prado es poca cosa y un general ovando es bien poca cosa
(y nos aferrábamos a las mentiras de la estupidez armada a las contradicciones de la infamia tratando de encontrar en ellas el indicio de que estaba vivo
volviéndonos súbitamente expertos en lógica como si los gorilas tuvieran nuestra lógica
expertos en trucaje de fotografías analizando su barba temiendo que fuera él pero hablando del cristo de mantegna y de esculturas del barroco…)
cuando fidel dijo que había muerto
bajamos la cabeza y juntamos el montoncito de recuerdos como hacemos cada vez que alguien muere como para recomponerlo
para que nos lo devolvieran completo
sin huecos sus pulmones y su vientre
íntegros sus huesos que dijeron habían quebrado para meterlo en un tarro
intacta su piel que dijeron habían quemado para que su tumba no se convirtiera en lugar de peregrinación
pero carajo dije
si no hay un solo matorral de américa donde no lo hubieran matado
no hay un solo sitio que no fuera su tumba de combatiente y mártir
y nos sentimos miserables con un poco de culpa por su soledad
pero enorgulleciéndonos otra vez por esa bofetada final que en nombre de todos nosotros dio a todos los coroneles en la cara de selniche
y llenándonos de odio más del que un ser humano puede soportar
contra ese barrientos híbrido de gorila y G.I. que se frotaba las manos
y contra nuestra propia ¿qué? ¿cobardía dogma comodidad mutilación?
y entonces solo entonces quisimos haber estado en valle grande
haber muerto junto a él
mejor en lugar de él…
alguien dijo ese día que el gran barbudo de la isla del caribe se había quedado solo
no carajo dije
él esta allí con diez millones de compañeros que lo aman y los revolucionarios del mundo que lo admiran
los que estamos solos y ya sin excusa somos nosotros
los que siempre hemos estado solos porque hemos querido estar solos viciosamente solos
ocupados con nuestra domesticidad hablablablando de la revolución antes de irnos a beber o a dormir
y los otros que ya ni siquiera hablan de revolución
y no se trató ya de haber muerto en su lugar sino de juntar nuestras soledades y nuestras pequeñeces para remplazarlo entre todos
ya no de haber estado en su lugar sino de ir a su lugar
nosotros por lo menos los que no nos habíamos podrido…
y mucho tiempo después hasta en las aldeas remotas de asia y de áfrica vimos a campesinos discutir sus problemas agrarios en torno a una mesa sobre la tierra bajo la bandera de su país y un estandarte con la imagen del hombre de la estrella en la frente
y en las paredes de nuestras ciudades pintada la imagen sucesiva del hombre de la estrella en la frente
y a las adolescentes que no lo conocieron llevar en el pecho sobre los pechos la imagen del hombre de la estrella en la frente…
de pronto vino la perrada de la historia
atónitos entramos en algo como una vacancia ideológica cuando de pronto nadie supo nada ni creyó ya en nada
y en lugar de aborrecernos y de odiarnos como si lloráramos por nuestra impotencia
anduve preguntando qué se hizo en qué recodo desde la entraña de américa
se nos perdió el hombre nuevo que esperábamos y por cuyo advenimiento algunos dieron su vida
qué se hizo desde cuando lo abandonamos con su guerrilla fantasma en la selva
qué se hizo cuando el neoliberalismo se convirtió en la “única forma universal de gobierno” con la díscola excepción de cuba
cuando porque lo mataron creyeron que había muerto y anunciaron “el fin de la historia”
como si ya todos pensáramos igual con la indócil excepción de chiapas y de cuba
pero yo sé sabemos que la historia no puede terminar antes de que regrese el hombre nuevo que él anunció trayéndolo consigo
como la más bella utopía de américa
y por eso lo espero para poder seguir vivo
y poder seguir esperando lo que viene
entonces che ¿hasta la victoria siempre?
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Jorge Enrique Adoum (Ambato, Ecuador, 1926), pubblica il suo primo libro di poesia, Ecuador amargo nel 1949, da allora la sua opera comprende più di trenta libri di diverso genere, tra cui ventuno di poesia. Conosciuto fino al 1976 fondamentalmente come poeta, sorprese il mondo letterario con il romanzo Entre Marx y una mujer desnuda, considerato uno dei più importanti romanzi sperimentali dell’America Latina. Si è dedicato altresì con successo al teatro, e ha realizzato una notevole opera critica con saggi su Valéry, Rilke, Eliot, Majakovski, García Lorca, Hughes, e Vallejo, raccolti nel volume Poesía del siglo XX.Vincitore dei più prestigiosi premi letterari dell’America Latina, è stato considerato come il più degno erede della poesia di Pablo Neruda, di cui è stato segretario personale. Le sue opere sono state tradotte e pubblicate in molti paesi e inserite in innumerevoli antologie. Importante il suo De cerca y de memoria: Lecturas, autores, lugares, un libro di ricordi su scrittori e artisti dell’America Latina e dell’Europa. Il 3 luglio 2009 si è spento a Quito, in Ecuador. Multimedia Edizioni ha pubblicato in Italia il volume L’amore disinterrato e altre poesie nel 2002, tradotto da Raffaella Marzano. (Foto di Adoum: Luca Zagaria)
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