JUAN CARLOS MESTRE
I CORPI DEL PARADISO
Ho visto le donne che piangono nei parchi, quelle che danzano nella notte e svaniscono all’improvviso davanti allo sguardo di un uomo,
le fiorite nell’amore, le ragazze che volano ai nidi più alti, quelle che mi vogliono senza sapere se le amo e suonano l’arpa nei pomeriggi di nebbia,
quelle che soffrono nel mio cuore e profumate in musica sognano uccelli,
quelle che hanno un dolore, quelle nude sulla riva di un fiume, le addormentate per sempre su un cuscino di neve,
e quelle che cantano, le miti con un’allodola nel petto, quelle che stanno nella mia anima malinconiche, tristi, rifugiate nell’ombra, le intatte dall’aria, le silenziose, le belle ragazze mielate dell’autunno.
Io ho visto le amare che attraversano un ponte e gridano e la morte le unisce a me, le dolci abbattute che mormorano sotto un velo e sono belle come pallide vergini,
le soddisfatte nel piacere che sono fiore di una domenica quando fa buio e le rinchiuse in alcova mentre passa la vita.
Io ho visto una donna che aveva un lampo ed un fiasco di parole gialle nascosto nella sua cassettiera, quella che rosicchia tutto il giorno come una tarma il suo ebano e distribuisce papaveri all’approssimarsi della notte,
la colomba di seta che ha ricamato l’oblio ed è perenne nella sua torre e somiglia all’idea di pensare alla pioggia,
quelle sole, che contemplano un album con fotografie e foglie del giardino di Boboli, quelle che custodiscono segreti e fuggono di notte ai nidi di piuma dei contrabbandieri malati.
Ho visto le donne affogarsi con un filo di saliva e silenzio, gazzelle divorate dal fauno della luna nelle finestre di maggio,
donne che raccolgono melagrane nell’orto e le lanciano in un pozzo per non essere afflitte, per guardarsi negli specchi ed ascoltare la lusinga della loro stessa figura,ragazze con la fiamma di un astro tra le gambe, sepolte nell’erba con il pube bagnato dalla spuma marina, dalle labbra del cielo che vigilano sulla loro anima.
JUAN CARLOS MESTRE
LOS CUERPOS DEL PARAÍSO
Yo he visto a las mujeres que lloran en los parques, las que danzan en la noche y se evaporan de pronto ante la mirada de un hombre,
las florecidas en el amor, las muchachas que vuelan a los nidos más altos, las que me quieren sin saber si las amo y tocan el arpa las tardes con niebla,
las que sufren en mi corazón, las aromadas en música y las que sueñan con pájaros,las que tienen pena, las desnudas a la orilla de un río, las dormidas para siempre sobre una almohada de nieve,
y las que cantan, las apacibles con una alondra en el pecho, las que están en mi alma melancólicas, tristes, refugiadas en sombra, las intactas del aire, las silenciosas, las hermosas muchachas meladas del otoño.
Yo he visto a las amargas que van cruzando un puente y gritan y la muerte las reúne conmigo, las dulces abatidas que debajo de un velo murmuran y son bellas como pálidas vírgenes,
las sosegadas en gozo que son flor de un domingo cuando todo oscurece y las arrecogidas de alcoba mientras pasa la vida.
Yo he visto una mujer que tenía un relámpago y un frasco de palabras amarillas escondido en su cómoda, la que roe todo el día como polilla su ébano y reparte adormideras al acercarse la noche,
la paloma de seda que ha bordado el olvido y es peremne en su torre y se parece a la idea de pensar en la lluvia,
las solas, que contemplan un álbum con fotografías y hojas del jardín de los Bóboli, las que guardan secretos y huyen por la noche a los nidales de pluma de los contrabandistas enfermos.
Yo he visto a las mujeres ahogarse con un hilo de saliva y silencio, gacelas devoradas por el fauno de la luna en las ventanas de mayo,
mujeres que recogen granadas en la huerta y las tiran a un pozo para no ser afligidas, para mirarse en los espejos y escuchar la lisonja de su propia figura,
muchachas con la llama de un astro entre las piernas, tumbadas en la hierba con el pubis mojado por la espuma marina, por los labios del cielo que vigilan su alma.
JUAN CARLOS MESTRE
Antenati
AMOS OZ
diedero a questa intemperie il nome della necessità,
la fame la chiamarono muraglia della fame,
alla povertà posero il nome di tutto ciò che non è estraneo alla povertà.
Poco è quello che un uomo può fare con il pensiero della fame,
a malapena disegnare un pesce nella polvere dei cammini,
a malapena guadare il mare in una croce di legno.I miei antenati attraversarono il mare su una croce di legno,
ma non chiesero udienza,
così che vagarono per i fascicoli
come i ricci e i ramarri vagano per i sentieri dei villaggi.E giunsero agli arenili,
negli arenili la terra è scintillante come le squame di pesce,
la vita negli arenili ha solo lunghi giorni di pioggia e poi lunghi giorni di vento.Poco è quello che può fare un uomo che nella vita ha avuto solo queste cose,
a malapena starsene a dormire sdraiato nel pensiero della fame
mentre ascolta la conversazione dei passeri nel granaio,
a malapena seminare legna di fiore sul lenzuolo degli orti,
andare scalzo sulla terra scintillante
e non seppellire in essa i suoi figli.I miei antenati inventarono la Via Lattea,
diedero a questa intemperie il nome della necessità,
attraversarono il mare su una croce di legno.
Allora posero nome alla fame perché il padrone della fame
si chiamasse signore della casa della fame
e vagarono per i cammini
come i ricci e i ramarri vagano per i sentieri dei villaggi.Poco è quello che può fare un uomo con le briciole della pietà,
mangiare pane bagnato nei giorni di pioggia a cui poi seguiranno lunghi
giorni di vento
e parlare della necessità,
parlare della necessità come si parla nei villaggi
di tutte le cose piccole che si possono avvolgere con cura in un fazzoletto.
JUAN CARLOS MESTRE
ANTEPASADOS
¿Dónde comienza mi memoria?
AMOS OZ
Mis antepasados inventaron la Vía Láctea,
dieron a esa intemperie el nombre de la necesidad,
al hambre le llamaron muralla del hambre,
a la pobreza le pusieron el nombre de todo lo que no es extraño a la pobreza.
Poco es lo que puede hacer un hombre con el pensamiento del hambre,
apenas dibujar un pez en el polvo de los caminos,
apenas atravesar el mar en una cruz de palo.
Mis antepasados cruzaron el mar sobre una cruz de palo,
pero no pidieron audiencia,
así que vagaron por los legajos
como los erizos y los lagartos vagan por los senderos de las aldeas.
Y llegaron a los arenales,
en los arenales la tierra es brillante como escamas de pez,
la vida en los arenales sólo tiene largos días de lluvia y luego largos días de viento.
Poco es lo que puede hacer un hombre que solo ha tenido en la vida estas cosas,
apenas quedarse dormido recostado en el pensamiento del hambre
mientras oye la conversación de los gorriones en el granero,
apenas sembrar leña de flor en la sábana de los huertos,
andar descalzo sobre la tierra brillante
y no enterrar en ella a sus hijos.
Mis antepasados inventaron la Vía Láctea,
dieron a esa intemperie el nombre de la necesidad,
atravesaron el mar sobre una cruz de palo.
Entonces pusieron nombre al hambre para que el amo del hambre
se llamara dueño de la casa del hambre
y vagaron por los caminos
como los erizos y los lagartos vagan por los senderos de las aldeas.
Poco es lo que puede hacer un hombre con las migas de la piedad,
comer pan mojado los días de lluvia a los que luego seguirán largos días de viento
y hablar de la necesidad,
hablar de la necesidad como se habla en las aldeas
de todas las cosas pequeñas que se pueden envolver con cuidado en un pañuelo.
Voce: Juan Carlos Mestre Musicisti: Massimo Mollo, Andrea Sensale, Ferdinando Gandolfi, Massimiliano del Gaudio
Napolipoesia, 2010
JUAN CARLOS MESTRE
PADRE
I padri muoiono in inverno, tossiscono in inverno stancamente sensibili come treni che più non partiranno mentre scivolano sulla neve e tossiscono separandosi dalla vita con la stessa tenerezza con cui qualche volta tossirono accettando gli insulti. Uno sa quando comincia l’anno delle piogge dalla tosse di un padre quando le vacche chinano il cervello sui pascoli e tossiscono i frassini e le querce tossiscono salutando colui che presto arriverà alla terra accompagnato dalle maestre che insegnano a mettere la mano per tossire la severa tosse dei padri l’educazione dei giusti quando quella tosse è ormai nostra colpa e tossiscono i cardi bianchi i fiori azzurri e le orchidee selvatiche che nel boschetto intirizzito calpestano il capriolo e il cervo. I padri muoiono in inverno. La ferraglia si ossida nei cortili tremano stesi a terra i cani da caccia. Bianca è la tosse nei terribili metalli e nei rovi che non torneranno ad ardere. Tossiscono perché l’aria è entrata già morta in questo mondo e nessuna maestà ha diviso con la sua mano ossuta le noci in cui il bimbo ha posato la testa per non sentire le febbri che tossiscono nelle tempie del padre. Tossiscono i padri perché è giunto il loro ultimo inverno e ora solo dove ci fu amore il tordo porterà la sua corona dove canta. Oh, l’uccello è già qui sugli attrezzi con cui l’inverno costruisce il tetto. E i padri tossiscono senza dire altro, tossiscono baciando le tegole del sognato, le vanghe di legno, tossiscono, senza delicatezza tossiscono i padri . E se ne vanno, portano una palla rossa nella mano sottile, tossiscono nella città oscura quando continuano a tossire nei nostri petti, loro la testa più alta, rispondono qualcosa al merlo che fischia nel bosco.
JUAN CARLOS MESTRE
PADRE
Los padres mueren en invierno, tosen en invierno cansadamente sensitivos como trenes que ya no van a partir tosen mientras se deslizan sobre la nieve y tosen apartándose de la vida con la misma ternura con que alguna vez tosieron aceptando los insultos. Uno sabe donde comienza el año de las lluvias en la tos de un padre cuando las vacas inclinan su cerebro sobre los pastos y tosen los fresnos y los encinos tosen saludando al que pronto va a llegar a la tierra acompañado por las maestras que enseñan a poner la mano para toser la severa tos de los padres la educación de los justos cuando esa tos es ya nuestra culpa y tosen los cardos blancos las flores azules y los amores de dama que en la aterida arboleda pisan el corzo y el ciervo. Los padres mueren en invierno. La chatarra se oxida en los patios donde tiemblan tumbados los perros de caza. Blanca es la tos en los terribles metales y en las zarzas que no volverán a arder. Tosen porque el aire ha entrado ya muerto en este mundo y ninguna majestad ha partido con su mano huesuda las nueces donde el niño ha metido su cabeza para no oír las fiebres que tosen en las sienes del padre. Tosen los padres porque ha llegado su último invierno y ahora solo en donde hubo amor el tordo traerá su corona a donde canta el arándano. Oh, el ave ya está ahí sobre las herramientas con que el invierno construye el techo. Y los padres tosen sin decir otra cosa, tosen besando las tejas de lo soñado, las palas de madera, tosen, sin delicadeza tosen los padres. Y se van, llevan una bola roja en la mano delgada, tosen por la ciudad oscura cuando siguen tosiendo en nuestros pechos, ellos la cabeza más alta, algo contestan al mirlo que silba en el bosque.
(Traduzioni di Raffaella Marzano e Guadalupe Grande)
“la poesia apre le sue porte affinché fantasmi e voci tornino vivi dalla catastrofe civile al luogo da cui furono espulsi (…). Questa poesia oscilla tra le più strazianti incarnazioni del profetico e la discontinuità della prosa del mondo; tra lo splendore del mito e la narrativa erratica dei successi immaginari oltre il crudele stupore dell’esperienza”
– Javier Bello.
Juan Carlos Mestre, poeta e artista visuale, nato a Villafranca del Bierzo nel 1957, è una voce fondamentale nel panorama poetico contemporaneo spagnolo. Autore di Siete poemas escritos junto a la lluvia (1982); La visita de Safo (1983); Antífona del otoño en el Valle del Bierzo (Premio Adonáis, 1985; ripubblicato nel 2003 con un cd nel quale l’autore recita le sue poesie accompagnato da Amancio Prada e altri amici musicisti); Las páginas del fuego (1987); La poesía ha caído en desgracia (Premio Jaime Gil de Biedma, 1992); La tumba de Keats (Premio Jaén de Poesía, 1999, scritto durante un suo soggiorno a Roma); El Universo está en la noche (2006, singolare opera nella quale ricrea miti e leggende mesoamericani); La casa roja (2008, Premio Nacional de Poesía 2009); La visita de Safo y otros poemas para despedir a Lennon (2011, nella quale rivisita e amplia una sua opera giovanile); e infine La bicicleta del panadero (2012). Una selezione di sue poesie è stata raccolta nel volume Las estrellas para quien las trabaja (2007). Come artista visuale ha esposto in molti paesi europei, negli Stati Uniti e in America Latina. In Italia Multimedia Edizioni / Casa della poesia ha pubblicato nel 2013 un’ampia antologia della sua poesia Le stelle a chi le lavora con traduzioni di Raffaella Marzano e Guadalupe Grande.
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