“Compianto dei mendicanti arabi della casba e della piccola Yasmina uccisa dal padre” è uno straordinario poema, scritto nel 1951 da un giovane poeta e studente algerino, Ismaël Aït Djafer, che partendo da un fatto di cronaca lancia un veemente atto di accusa contro il colonialismo, la povertà, la fame, la prevaricazione. Il libro, pubblicato in Algeria con una colletta tra amici, giunge miracolosamente a Parigi alla redazione di “Les Temps Modernes” di Jean-Paul Sartre e Albert Camus che decidono di pubblicarlo integralmente in Francia con un effetto deflagrante. Il libro poi scompare per anni fino ad essere ripubblicato prima negli Stati Uniti (grazie alla riscoperta e alla traduzione di Jack Hirschman), poi in Francia e infine in Italia grazie all’impegno di Casa della poesia / Multimedia edizioni.
La traduzione è di Gianluca Paciucci (insieme a Dominique Gianviti) che firma anche una bellissima introduzione e che porta in giro in Italia una coinvolgente lettura del poema, insieme ad Adriana Giacchetti.
In questa pagina vi offriamo qualche stralcio della loro lettura.
(…)
Io, io mi chiedo
A che servono
Gli sbarramenti che sbarrano
E le strade ben tracciate
E i camion che schiacciano le piccole
Yasmina di nove anni
Correndo tra gli stomaci ad aria compressa
E la pelle di carta da pacchi.
Io c’ero, quando il
Camion l’ha schiacciata
E il sangue è schizzato
Il sangue.
E allora, basta, basta così…
Lascio a chi ha già visto un camion
Schiacciare un uomo e il sangue
Schizzare
Il privilegio di
Ricordarsi
L’orrore
E lo schifo e poi scappare da vigliacchi
Davanti a un cadavere
Soprattutto davanti al cadavere d’una
Bambina innocente
(…)
Ma con la pancia piena e i piedi in una pantofola
I figli di Carlo Magno cantano una
Canzone
Una di quelle che s’imparano a scuola
Il court, il court le furet
Le furet des bois, mesdames.
etc.
Non prendertela con me
Carlo Magno
Ma proprio non va bene
Se ci pensi
Che certi crepino
E che altri se la ridano
Che alla festa nazionale siano sempre gli stessi
Che s’ingozzano al buffet
Non hai visto niente
Carlo Magno
Con i tuoi somari e i tuoi secchioni e le tue canaglie e i tuoi
Mendicanti, e i tuoi ladri e assassini
Debosciati e pezzi da forca
Della razza dei Villon
Non hai visto niente
Ed è per questo che non t’arrabbi come me
Ah! Se potessi portarti
Tenendoti per mano
Attraverso caverne, ricoveri, strade fognose, e
Miserie, bidonville aggrappate tra due cimiteri
Le Rue de la Lyre, le Pêcheries
I morti di fame e di freddo, le madri di famiglia
Prolifica premiate col prix cognac21, che mendicano con marmocchi
Appesi alle braccia e ai piedi
E i vecchi che s’arrampicano tra le loro barbe e
I portuali che dormono sotto cattive stelle e i
Malati che agonizzano sotto portici e caterve di
Poveracci stesi gli uni sugli altri sopra a uno
Sfiatatoio di forno per riscaldarsi e succhiarsi
Il fiato del pane fresco e le catapecchie di foglie morte
Che ammucchiano a palate22, e attraverso le pietre inoltre
E le lucertole e le bettole e le povertà e le
Miserie
Tenendoti per mano
Così semplicemente
Come due qualunque
In una folla ancora più anonima
Cercando croste d’ostia
Nella borsa
Di chi si appella alla dichiarazione
Dei diritti dell’uomo
Della donna, del bambino e del vecchio
E dell’orfano
E della piccola Yasmina KHOUNI.
Un popolo di mendicanti
Ora sai cos’è
Carlo Magno
È per questo che soffro come un cane
Schiacciata una volta
E poi ancora
Sotto gli occhi del padre
Pater noster
Che la spingeva
E la spingeva ancora
Sotto i miei occhi
Sotto gli occhi del camionista
Sotto gli occhi del camion
Sotto gli occhi della gente che paura aveva sì, ma fame no
Sotto gli occhi del sole che brillava
Sotto gli occhi di tutti
Sotto i tuoi occhi, Carlo Magno
E tutti questi occhi erano buoni da scoppiare e da finire
Sotto ruote di camion
Perché si limitavano a
Guardare
Come degli stupidi
Come rane
Ma con la pancia piena i figli di Carlo Magno
Cantano una canzone
Una di quelle che s’imparano a scuola
Une fleur au chapeau
A la bouche une chanson
Un coeur joyeux et sincère
Et c’est tout ce qu’il faut
etc.
Ah!
Bisogna proprio guardarli il Venerdì in fila
Indiana
In fila
per quattro
Per strada o nelle case, raccattare uno in coda all’altro
Le pepite
Della loro miseria nel fango delle
Coscienze
Pescare nel bronzo dei cuori un
Po’
Di questa polvere di metallo di cui tappezzano la pelle dei loro
Stomaci
Per la fame futura
Le mendicità si concimano col
Letame del Vitello d’oro
E
Si
A-Ra-
No
Col vomere dell’indifferenza.
Ah! razze d’inferno e da forca e del Venerdì
Che comprate al bazar
Del Buon Dio
E del rimorso riconoscente
Olio d’oliva lasciato lì e che vuotate a goccia
A goccia
Sui bulloni dei vostri ordigni a produrre similpietà
A goccia
A
Goccia
A lacrima a
Lacrima che rispremete nelle ciotole
Dei poveri e nei salvadanai dei bambini che schiacciate
Con le grasse risate dei vostri
Camion
(…)
Traduzione di Gianluca Paciucci
Je me demande, moi
A quoi ça sert
Les barrages qui barrent
Et les routes bien tracées
Et les camions qui écrasent les petites
Yasmina de neuf ans
En roulant entre les estomacs à air comprimé
Et les peaux en papier d’emballage.
J’etais là, quand le
Camion l’a écrasée
Et que le sang a giclé
Le sang.
Et alors là, je ne raconte pas…
Je laisse aux gens qui ont déjà vu un camion
Ecraser un bonhomme et du sang
Gicler
Le privilège de se
Rappeler
L’horreur
Et le dégoût et puis la fuite lâche
Devant un cadavre
Surtout devant le cadavre d’une
Petite fille innocente
(…)
Mais le ventre plein et les pieds dans un chausson
Les enfants de Charlemagne chantent une
Chanson
Une chanson qu’on apprend à l’école
Il court, il court le furet
Le furet des bois, mesdames.
etc.
Il ne faut pas m’en vouloir
Charlemagne
Mais c’est trop injuste
A la fin
Que des gens crèvent
Et que d’autres rigolent
Qu’au bal des pompiers, ce soit toujours les mêmes
Qui s’empiffrent au buffet
Tu n’as rien vu
Charlemagne
Avec tes bons et tes mauvais élèves et tes truands et tes
Gueux, et tes tire-laine et tes coupe-jarrets
Paillards et pendards
A la sauce Villon
Tu n’as rien vu
Et c’est pour cela que tu n’es pas en colère comme moi
Ah! Si je pouvais t’emmener
Main dans la main
A travers les cavernes, les asiles, les rues pourries, les
Misères, les bidonvilles accrochés entre deux cimetières
Les rues de la Lyre, le Pêcheries
Les crève-la-faim, le crève-le-froid, les mères de famille
Nombreuse prix cognac, mendiant avec des moutards
Plein les bras et les pieds
Et les vieillards qui gigotent entre leurs barbes et les
Dockers qui couchent à leur mauvaise étoile et les
Malades qui agonisent sous des porches et les tas de
Pauvres types couchant l’un sur l’autre au-dessus d’un
Soupirail de boulanger pour se réchauffer et humer
L’air du pain frais et les gourbis de feuilles mortes
Qu’on ramasse à la pelle, à travers aussi les pierres
Et les lézards et les gargotes et les pauvretés et les
Dénûments
Main dans la main
Tout simplement
Comme deux types anonymes
D’une foule plus anonyme encore
Cherchant un peu de bon-dieu
Dans la bourse
De ceux qui se réclament de la déclaration
Des droits de l’homme
De la femme, de l’enfant et du vieillard
Et de l’orphelin
Et de la petite Yasmina KHOUNI.
Un peuple de mendiants
Voilà ce que c’est
Charlemagne
C’est pour cela que j’ai beaucoup de peine
Ecrasée une fois
Et puis écrasée une autre fois
Sous les yeux du père
Pater noster
Qui poussait encore l’enfant
Et la poussait encore
Sous mes yeux
Sous les yeux du chauffeur
Sous les yeux du camion
Sous les yeux des gens qui avaient peur, mais n’avaient pas faim
Sous les yeux du soleil qui brillait
Sous les yeux de tous
Sous tes yeux, Charlemagne
Et tous ces yeux-là étaient bons à crever et à écraser
Sous des roues de camion
Parce qu’ils ne faisaient que
Voir
Comme des abrutis
Comme des grenouilles
Mais le ventre plein, les enfants de Charlemagne
Chantent une chanson
Une chanson qu’on apprend à l’école
Une fleur au chapeau
A la bouche une chanson
Un coeur joyeux et sincère
Et c’est tout ce qu’il faut
etc.
Ah !
Il faut les voir le Vendredi en file
Indienne
En file
par quatre
Dans les rues et dans les maisons, ramasser à la queue-leu-leu
Les pépites
De leur misère dans la boue des
Consciences
Piocher dans le bronze des coeurs un
Peu
De cette poussière de métal dont ils tapissent la peau de leurs
Estomacs
Pour les faims futures
Les mendicités se cultivent au
Fumier du Veau d’or
Et
Se
La-
Bou-
Rent
Au soc de l’indifférence.
Ah! gens d’enfer et de potence et du Vendredi
Que vous achetez au bazar
Du Bon Dieu
Et du remords reconnaissant
Huile d’olive laissée pour compte que vous videz goutte
A goutte
Sur les boulons de votre mécanique à produire de la simili-pitié
Goutte
A
Goutte
Larme à
Larme que vous repompez dans les sébilles
Des pauvres et les tirelires des petits enfants que vous écrasez
Du gros rire de vos
Camions
(…)
In principio fu un fatto di cronaca: il dramma quotidiano, e quasi banale, d’una bambina assassinata dal padre. Bisognava essere Ismaël Aït Djafer per farne un poema. E che poema! Un lungo grido di dolore, così violento che vi si poteva leggere, a pensarci bene, l’imminenza d’una tempesta, l’annuncio d’un novembre [il 1° novembre 1954 iniziò la lotta di liberazione, N.d.t.]. Questo compianto basta da solo a fare di Aït Djafer un poeta.
(Kateb Yacine)
– Perché scrivere nella lingua del colonizzatore? La risposta più semplice e interessante è del poeta marocchino Abdellatif Lâabi secondo cui questa letteratura sarebbe “una sorta d’immensa lettera aperta all’Occidente, i cahiers maghrébins de doléances, se vogliamo”. Lettera aperta, messaggio in una bottiglia, avvertimento (ma non minaccia)…
(Gianluca Paciucci).
– Come il lettore scoprirà ben presto, il significato politico del Compianto, la sua umanità, parla al nucleo stesso della sopravvivenza e dell’esistenza di oggi. Per il povero in ciascuno di noi, il Compianto piange. Lasciate che le orecchie nei vostri occhi ascoltino ora il lamento di Djafer.
(Jack Hirschman)
– Questo non è un libro: è un pugno tirato dritto alla bocca dello stomaco. E, sorprendentemente, colpisce forte e preciso anche a distanza di più di sessanta anni, tanti ne sono trascorsi dal 1951 anno di pubblicazione di questo testo in Algeria. Colpisce sin dal lungo titolo (Compianto dei mendicanti arabi della casba e della piccola Yasmina uccisa dal padre) che ne rappresenta un’efficace sintesi, e dalla dedica in esergo (“Dedicato a chi non ha mai avuto fame”) che mi sembra un’immediata e inappellabile chiamata di correità.
(Giancarlo Cavallo)
Ismaël Aït Djafer: “Compianto dei mendicanti arabi della casba e della piccola Yasmina uccisa dal padre”.
2013, pagine: 88, collana Poesia come pane a cura di Gianluca Paciucci, traduttori: Gianluca Paciucci e Dominique Gianviti, €. 13,00.
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