Juan Octavio Prenz (Ensenada, La Plata, Argentina, 1932 – Trieste, 2019) è uno dei più grandi scrittori della nostra città, del nostro pianeta. Dopo la scomparsa di Giorgio Pressburger nel 2017, la nostra città ha perso un altro gigante. Giganti nascosti entrambi, perché miti, profondi, attenti, e sensibili alle foglie, potremmo dire, usando il nome di un’importante casa di edizioni. Chi non si è mai smarrito negli occhi di Juan Octavio ha perso molto: l’ironia e il rigore, l’antifascismo e la ricerca di mondi nuovi, in letteratura e nella vita, nella storia. Molti i suoi romanzi, che La nave di Teseo meritoriamente ha ripubblicato e sta ripubblicando: La favola di Innocenzo Onesto, il decapitato (1990), Il signor Kreck (2013), Solo gli alberi hanno radici (2017), tre capolavori che vogliamo mettere in evidenza e in lettura. Tra Kafka e Palazzeschi (“…Neanche lo avessero fatto di fumo….”, a pag. 7 della Favola di Innocenzo Onesto…, nell’edizione Marsilio), Prenz si muove con garbo e acutezza, tentando di capire le ragioni di ognuno ma anche estirpando con tagliente innocenza gli inganni delle dittature e della violenza. Dal bell’intervento di Betina Lilian Prenz (una delle due figlie di Juan Octavio e di Elvira, l’altra è Cecilia, cui va il nostro abbraccio, e a tutta la famiglia) “Addio allo scrittore Juan Octavio Prenz. I suoi personaggi raccontano la libertà” (Il Piccolo, 15.11. 2019) sappiamo che un quarto romanzo è dentro a “un file, nel computer. Dovrebbe avere per titolo Chez Ivanović House. Il sottotitolo (…): Vicissitudini della vita quotidiana ai tempi dell’autogestione. Belgrado, anni Sessanta”. Ecco: tra l’amatissima Argentina, la Jugoslavia socialista –fuggendo dalla dittatura dei colonnelli- e l’Italia (Trieste, ma anche quell’Istria molteplice da dove emigrò suo padre per l’America del sud) vi è la geografia sentimentale e politica di Prenz, a noi così prossima. Aspettiamo questo quarto romanzo. Ma intanto rileggiamo i suoi scritti in prosa e i suoi versi. Quell’ Antologia poetica pubblicata da Hammerle nel 2006, con –tra gli altri- i testi dedicati a suo padre in cui il mistero delle lingue diventa pura capacità di comunicare: questi, di radici bavaresi e catalane, istriane, poi in Argentina, e che non ha “mai parlato / una lingua”, alla fine si ritrova nel 1964 “a gorgheggiare il suo stupefacente / idioma per le strade di Belgrado. / Come a La Plata, Curuzù Cuatià o a Trieste / passeggia ai tramonti, entra nelle taverne, / si fa degli amici, sempre allegro, bambino / e felice di vivere in un pianeta / in cui è così facile // comunicare.” Un’apostolica glossolalia, un vero internazionalismo/universalismo, capirsi oltre le parole in slancio e entusiasmo. Mancherà, Juan Octavio Prenz, anche se qualcosa sta accadendo per cui tu non mancherai più e sarai con noi per sempre.
Gianluca Paciucci, Trieste
Foto di Andrea Pecchioli