da cui mancano Anur Hadžihomerspahić
Paola Mazzaroli, Marino Vocci e Giuseppe Zudini
Dopo le elezioni politiche in Italia è iniziato il vero dopo ’89: la chiusura dei conti con chi pensava di trasformare l’esistente. Da dove ricominciare?
Dato che ormai sistematicamente e con una violenza distruttiva che non ha pari ogni rivoluzione si trasforma in guerra1, forse è il caso di smettere di avviare rivoluzioni se non si ha la certezza che esse possano vincere. Se non si ha la certezza – che nessuno può dare – che esse portino a una trasformazione rapida e radicale dello stato di cose esistenti senza che questo passi per distruzioni sistematiche e definitive. Il caso siriano (ma anche le rivoluzioni arabe e quella in Ucraina, iniziata sotto i buoni auspici del senatore statunitense Mc Cain, noto uomo di pace) è sotto i nostri occhi, da più di sette anni, con una ferocia che in pochi abbiamo provato a denunciare, nel silenzio più stupido immaginabile; nel silenzio più riuscito. Ora recuperano il silenzio politico con la grancassa dell’umanitario, che prelude all’intervento armato dell’Occidente, e l’affidano, in Italia, all’intellettuale engagé per eccellenza, Roberto Saviano, intellettuale ormai di penultima generazione, capace ancora di grandi battaglie (contro le guerre, per l’assistenza ai/alle migranti, ecc.)2; mentre quelli di ultima generazione hanno costruito a poco a poco il carro dei vincitori delle ultime elezioni politiche in Italia (4 marzo c.a.), e le vittorie di destre e sinistre unite contro l’umanità che ormai governano nella maggior parte d’Europa e nel pianeta. Carro in cui gli intellettuali siedono comodi. E l’hanno costruito con menzogne acclarate: sulle guerre e sulle migrazioni, innanzitutto, recidendo il legame tra queste ultime e le politiche criminali che i governi portano avanti da decenni, nelle democrazie come nelle democrature.
IL CRIMINE IN CASA
È qui da noi il crimine, è qui da noi il mistero lampante. Sull’assassinio della giovane Pamela Mastropietro a Macerata ad opera di due nigeriani (l’inchiesta è ancora in corso) la Lega nord ha costruito il suo successo elettorale: il partito di Salvini è passato dallo 0,6 nel 2013 al 21% nel 2018, nella città delle Marche3. Questo è un risultato paradigmatico per l’intero Paese: la Lega ha vinto le elezioni, e si prepara a formare il governo con chi le ha stravinte (il M5S), con parole d’ordine antichissime, stupidamente profonde, ed efficacissime mediante le quali al politicamente corretto si risponde con il correttamente abietto, con la paura dell’uomo nero. La propaganda è quella degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso e non ha bisogno di particolari algoritmi. Il trionfo è quello attuale. Perché questa propaganda triviale e ripetuta, contro ogni evidenza, ha avuto successo? Per diversi motivi: l’uomo nero che uccide viene efficacemente presentato come l’avanguardia di un intero mondo pronto a venirci a sbranare in casa; a portarci la guerra in casa, mentre noi la vogliamo lontano da qui; perché qui anche i più disperati hanno un televisore da 65 pollici in casa (o aspirano ad averlo, che è la stessa cosa); perché abbiamo confuso le parole austerità (“contro le politiche di austerità”, urlano un po’ tutte le sinistre e le destre sociali, per poi sistematicamente avviare programmi ultraliberisti) e sobrietà (parola nobile, che quasi più nessuno suggerisce, perché – dicono i progressisti – creerebbe sconforto e avvilirebbe il mercato e i consumi). E perché le sinistre, soprattutto quelle di matrice comunista, socialdemocratica e, in parte, anarchica (se si grattasse sotto l’angelizzazione di tale movimento), hanno per sempre le mani sporche di sangue: il sangue versato nella Resistenza, dentro una vulgata che enfatizza ogni delitto comunista o partigiano e minimizza i crimini fascisti; il sangue dell’immediato passato, in Italia, dovuto al terrorismo rosso, quello degli agguati, ferimenti, gambizzazioni, quello che inizia a colpire nel 1972 a Milano (delitto Calabresi) e nel 1974 a Padova (assassinio di due militanti del Movimento Sociale Italiano); il sangue delle rivoluzioni del XX secolo, da quella sovietica (ormai declassata a colpo di stato) a quella cinese, alle violenze postcoloniali nel cosiddetto/non più detto Terzo mondo; il sangue dei gulag sovietici e di quelli costruiti dagli oppositori di Stalin (l’inferno di Goli otok, ideato dai gerarchi jugoslavi, freschi di vittoriosa resistenza); i crimini nel sud-est asiatico (la Cambogia di Pol Pot), etc. Chi voterebbe per assassini o per eredi di assassini? In fondo anche i crimini più recenti in Europa e in altri Paesi a causa di leader europei o euroamericani, sono attribuibili a figli di quella tradizione: al socialcomunista Milošević (durante le guerre jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso) come del laburista Blair (sue le menzogne sull’Iraq, con l’aiuto di qualche neo-con statunitense), del democratico di sinistra Clinton (eroe, però, in Bosnia ed Erzegovina e in Kosovo) come dei laburisti israeliani (poi scomparsi e uccisi –Rabin- per aver non aver abbastanza ucciso), tanto per citarne qualcuno. Forse solo l’intervento in Libia nel 2011, anche qui nella sequenza rivolta/rivoluzione/guerra civile/guerra di potenze, è in buona parte attribuibile alle nostre destre: Sarkozy e Berlusconi, due ottimi amici del leader libico Gheddhafi, finanziatore della campagna elettorale del primo che è oggi sotto accusa per questo motivo (rischia dieci anni di carcere – qualora risultasse innocente, avrebbe nuovi argomenti per una felice e miliardaria attività di conferenziere). Ottimi amici e poi boia dell’amico.
La sinistra si sarebbe potuta salvare in tempo dal fango che le è caduto addosso, come in una frana da lunghissimo tempo annunciata? Sì, più e più volte. Dagli anni Trenta, quando arrivavano voci forti dei crimini di Stalin (crimini di autofagia, contro i principali oppositori interni al regime, innanzitutto) al 1956 (fatti d’Ungheria) al 1968 (primavera di Praga); e all’inizio del terzo millennio, quando arrivavano voci dei crimini di Clinton e Blair (manifestazioni pacifiste ci sono state, ancora nel 2003, le ultime – poi un altro bel silenzio, ovattato e stizzito). Non avendo detto nulla di veramente umano (nelle sedi decisionali, soprattutto, ma anche nel corpo militante, nelle osterie, nelle case del popolo e nei supermercati) in queste e altre occasioni, il cuore e il pensiero di tutte le sinistre, macchiati di sangue, si sono prosciugati fino alla miseria attuale.
ISLAM, AUTORITARISMO ED ESTREMA SINISTRA
Novità degli ultimi anni è quello che in Francia chiamano l’islamo-gauchisme, ovvero l’alleanza tra l’estrema sinistra e il fondamentalismo islamico. Il settimanale satirico Charlie hebdo ne ha data una chiara sintesi nella polemica che lo ha opposto a Edwy Plenel di Mediapart, sito francese di informazione e di inchiesta. Polemica avvilente, stupida tempesta scatenatasi nel novembre 2017 tra il settimanale satirico, vittima di un feroce attentato islamista il 7 gennaio 2015 e che continua a ricevere minacce di morte, e il fondatore di Mediapart: il direttore di Charlie hebdo accusa Plenel di tacere sul procedimento in corso contro Tarik Ramadan (intellettuale svizzero di origini egiziane, in carcere per rispondere di presunte violenze sessuali) e di compiacenze nei confronti del mondo musulmano (e islamista, si intende); Plenel risponde che Charlie hebdo collabora a una campagna di “guerra ai musulmani e di demonizzazione di tutto ciò che riguarda l’islam e i musulmani”4. Mediapart, ricordiamolo, è anche tra i principali accusatori di Sarkozy (finanziamenti libici alla campagna elettorale dell’ex presidente francese), e viene citata ossessivamente da quest’ultimo in un’apparizione televisiva. Ma tutto questo poco importa, per il nostro assunto: conta invece come Charlie hebdo ha reagito alla frase su riportata di Plenel, da un lato semplificandola e modificandola per farla apparire francamente oltraggiosa (“La prima pagina di Charlie hebdo fa parte di una campagna generale di guerra ai musulmani”)5 e poi con articoli e caricature, una delle quali ci interessa particolarmente. In questa il cammino del troskista Plenel –non so se egli si riconosca in questa famiglia politica- è quello di una sinistra totalitaristica il cui cammino va dai gulag e dalle esecuzioni sommarie ad opera degli uomini di Stalin, a Mao e Che Guevara (mostrato mentre sta per fucilare tre oppositori dicendo loro “-50% sulle t-shirt fino a mezzanotte”) e che culmina con una scena di lapidazione di una donna quasi interamente interrata. Due islamisti, mentre lanciano pietre, chiedono a Tarik Ramadan: “tiriamo fuori la donna così che può metterle una mano sulle chiappe, signor Ramadan?”, con quest’ultimo che risponde “Non questa sera, ho un dibattito”. Ignaro di tutto ciò Plenel vive in uno chalet, dal cui camino esce un fumo che richiama quello delle baracche del gulag (tralascio altri dettagli), e cammina visibilmente sereno con la sciarpa al vento, il suo completo scuro e la camicia blu. Eccellente disegno, di Walter Foolz, riassuntivo di un pensiero ormai dominante: il pensiero marxista, incarnatosi nei criminali Stalin, Mao e Che Guevara, ora si reinveste nell’islamismo di cui, come per i tre prima citati, non si vogliono vedere i crimini o li si giustificano. La manodopera immigrata, soprattutto araba e maggioritariamente musulmana, avrebbe sostituito la classe operaia come levatrice della storia o come golem6 a difesa di un stato operaio o di quel che resta, oggi, del marxismo in tutte le sue varie sfaccettature. Per sopravvivere il marxismo si nutrirebbe della linfa islamica/islamista sotto forma di difesa del comunitarismo, di buonismo (si direbbe in Italia), di reti di solidarietà da smascherare perché in realtà nasconderebbero progetti di sostituzione della popolazione europea (caucasica) con altre (semitiche e camitiche). Legato a tutto questo un’altra accusa: quella contro un antiimperialismo che difenderebbe i peggiori assassini nei Paesi arabi e in altri sparsi per il pianeta. Che Renzi, Merkel, Macron e Gentiloni pasteggino con al-Sisi, Erdogan e squallidi prìncipi sauditi, e che come spacciatori vendano armi a dittature e a Paesi belligeranti, poco importa: sono quei quattro gatti di anti-imperialisti di estrema sinistra a dar fastidio. Per tornare al caso siriano, leggiamo un volume del 2017, Sur la révolution syrienne (Sulla rivoluzione siriana) 7 in cui si denuncia il comportamento vergognoso di “tutte le fazioni della sinistra restate drammaticamente impregnate dalla cultura politica stalinista e che disprezzano quelle che chiamano le libertà formali”; vengono messe sotto accusa anche le correnti socialiste e libertarie che, insensibili per lunghi anni alla repressione degli insorti siriani, “hanno improvvisamente manifestato la loro solidarietà con i Curdi del Rojava (alle prese con Daesh) e del Sud della Turchia (alle prese con il sultano Erdogan)”, senza nemmeno interrogarsi sulle “tendenze autoritarie del PYD/PKK e le sue convergenze di interessi con la strategia di Putin”8. Diffusissimo anche da noi, l’antiimperialismo amico dei tiranni, tutti infallibilmente laici e socialisti, e l’anti-antiimperialismo.
L’89 DEFINITIVO
Tutto questo pesa sulle nostre spalle, da anni, qui in Italia, con evidenza almeno dal delitto Moro del 1978 (il quarantesimo anniversario di quei fatti segnerà un altro chiodo nella croce): chi lo ha ucciso, chi ne ha sterminato la scorta? Dei comunisti combattenti, non c’è ombra di dubbio. Le infamie dello Stato, da smontare politicamente con le armi della filologia e della politica9, sono sotto gli occhi di tutti, anche in questo caso, ma nascoste, proprio perché lì sulla scrivania, a portata di mano. Chi ha invece esploso i colpi? Prospero Gallinari e altri brigatisti rossi, che hanno letto i nostri stessi libri10, che hanno frequentato le nostre stesse sedi, che hanno pronunciato le nostre stesse parole, in cortei o dibattiti. Si può anche dire che quei colpi siano stati sparati, metaforicamente, contro il Movimento del ’77 e contro ogni istanza di cambiamento urlata forte dall’Italia di quegli anni, questo è vero: ma la metafora, in un Paese cattolico come l’Italia e nella cristiana Europa, viene sempre dopo la lettera e per questa deve passare risultando infinitamente più grave e imperdonabile. Ma anche quando a sparare sono stati gli altri (lo Stato, le forze dell’ordine, i fascisti legati strettamente ai servizi segreti) su questi resta sempre il dubbio, la fotografia fuori fuoco, il vantaggio della reazione in parte comprensibile rispetto a un’azione di sovversione chiaramente criminale (jacquerie, ribellione, rivolta, insurrezione, rivoluzione…). Ecco perché il 4 marzo del 2018, elezioni politiche italiane che hanno dato il potere all’ambiguo M5S (tra l’altro apertamente razzista)11 e all’estrema destra della Lega nord, è l’89 definitivo italiano, figlio e fratello degli altri: perché mette la parola fine a un percorso secolare di lotta politica per l’emancipazione, macchiato di troppo sangue. E non sappiamo da dove poter ricominciare, ammesso che questo abbia una qualche utilità/necessità, se non dal rispetto della memoria di chi non c’è più e di chi muore oggi nei campi, nelle officine e al fronte, come cent’anni fa, per lavoro omicida e guerra.
Gianluca Paciucci
30.03/24.04 2018
Nelle foto: “Danza macabra a Hrastovlje”, in Slovenia.
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1David Armitage, Guerre civili. Una storia attraverso le idee, Roma, Donzelli, 2017 (ed. originale inglese 2017), pp. 247.
2su Saviano aleggiano giustificati dubbi. La sua indiscutibilità fa paura, certe sue approssimazioni fanno tremare (lo sottolineammo in altra Lettera marrana). Di qualche anno fa, ma sostanzialmente ancor oggi valido, il testo Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee (Roma, Manifestolibri, 2010, pp. 158) di Alessandro Dal Lago.
3cui seguì il 3 febbraio un tentativo di strage da parte di Luca Traini, candidato per la Lega nord in elezioni locali: sei persone ferite. Al momento dell’arresto fa il saluto romano e si avvolge nella bandiera italiana. Negli stessi giorni del crimine di Macerata, altri feroci femminicidi vennero commessi: ignorati sistematicamente, non moltiplicati dalla furia necrofila e razzista dei media, giornali e social. Eccone qualcuno: “Ha esploso un colpo di pistola alla testa di una nigeriana di 37 anni, con la quale aveva una frequentazione da circa due anni, uccidendola nella camera di un albergo di Dalmine, il Daina, dove i due avevano trascorso la notte assieme, come spesso facevano. Dopodiché Fabrizio Vitali, 62 anni, ex operaio disoccupato di Bottanuco, ha telefonato al 112 e ha dato l’allarme…” (20.01 2018); “Arietta Mata, la prostituta ungherese di 24 anni morta sotto un treno nel Modenese tra sabato e domenica – in località Gaggio, nella tratta compresa fra Modena e Castelfranco Emilia – sarebbe stata uccisa. Si tratterebbe dunque di un omicidio. Nel frattempo è stato fermato un 50enne sardo residente a Osilo (Sassari), ma domiciliato da tempo a Modena, come principale indiziato…” (26.01 2018) ; “A quasi due anni dal delitto c’è un arresto per l’omicidio della badante albanese di 40 anni uccisa con un colpo di pistola alla testa e trovata morta nel Po, nel giugno di due anni fa, nei pressi di una diga in località Isola Serafini del comune di Monticelli d’Ongina (Piacenza). I carabinieri di Stradella (Pavia) hanno arrestato un pensionato italiano di 64 anni, Franco Vignati, 64 anni, residente a Chignolo Po (Pavia)…” (17.02 2018). E quando uccidono gli italiani non sono da meno degli extracomunitari, per ferocia: “Noi non uccidiamo così”, titolò anni fa La Padania, quotidiano della Lega nord, a proposito di un caso di omicidio plurimo, effettivamente commesso da italiani. Noi, brava gente, uccidiamo così, anche così: “L’ha uccisa con quarantasette coltellate, una delle quali alle spalle. E prima di farlo l’ha colpita al volto, rompendole il setto nasale e devastandole lo zigomo destro. È la verità agghiacciante che emerge dall’esame autoptico sul corpo di Nunzia Maiorano, la 41enne di Cava de’ Tirreni assassinata lunedì mattina in casa dal marito Salvatore Siani al culmine di un violento litigio…” (26.01 2018). Nella costante diminuzione di omicidi e di altri reati maggiori (siamo, nell’Italia del 2017, al numero più basso dal 1861 ad oggi, con una popolazione che è triplicata – notizia occultata dalla stampa oggettivamente corrotta), solo i femminicidi risultano ancora stabili o in leggero aumento. Ma questi sono interessanti, perché politicamente spendibili, solo se a compierli è l’uomo nero.
4https://twitter.com/taimaz/status/930460084102103040.
5 “Jamais” (Mai), editoriale di Riss, direttore di Charlie hebdo, nel n. 1321 del 15 novembre 2017.
6di operaio golem scrive a più riprese Rita Di Leo, e soprattutto nel suo Cento anni dopo: 1917-2017. Da Lenin a Zuckerberg, Roma, Ediesse, 2017, pp. 142. “La leggenda del golem, metà ceca e metà polacca, riguarda la creazione di una creatura antropomorfa, creata a protezione della comunità ebraica, e divenuta poi quasi sinonimo del primo robot” (pag. 43, in nota). Dall’operaio golem nell’era sovietica (letto in maniera critica), si sarebbe passati all’algoritmo golem oggi: ipotesi forte, e accolta con angoscia dall’autrice, una delle più attente interpreti del Novecento e del tempo attuale.
7Editions La Lenteur, Paris, 2017, pp. 141, un libro composto di testimonianze, interviste, analisi.
8tutte queste affermazioni si possono leggere nella “Nota degli editori” del volume sopra citato -nota (7); esse vengono confermate e sostenute da tutti gli altri interventi. La tesi di fondo è che, a rivolte pacifiche per il pane e la libertà, il regime di Assad “ha risposto provocando deliberatamente una guerra” (pp. 28-29) in cui le vittime sarebbero da attribuire al 93% (pag. 22) o al 97% (pag. 33, intervista a Leïla al-Shami) al regime.
9lettura rigorosa e straziante è il volume di Miguel Gotor Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino Einaudi, 2011, pp. 622. È proprio Gotor a usare, nel quarto paragrafo del primo capitolo, l’espressione L’arma della filologia.
10“Cosa leggeva un brigatista a Milano nel settembre del 1978?” (in Gotor, cit., pagg. 52-53). Illuminante.
11segnaliamo un lucido testo di Annamaria Rivera, http://temi.repubblica.it/ micromega-online/litalia-dopo- il-4-marzo-e-il-rischio- razzismo/
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