La parodia al potere irride chi sta in basso: i nuovi nichilisti sono padroni del presente. A quando un rovesciamento dell’attuale mondo alla rovescia?
“…è tempo che gli umili membri dell’equipaggio prendano il timone…” (in The forgotten space/Lo spazio dimenticato, film-saggio di A. Sekula e N. Burch, 2010)*
La ricerca della verità è soffocata ovunque e con essa la verità stessa viene a subire scacchi continui. Irritano le mosse di partiti e leader politici che a tutti i livelli dicono di combattere contro le fake news e contro il falso in generale, quando ne sono i principali spacciatori. Leggiamo nel settimanale anarchico Umanità nova l’articolo “L’oggettività è una falsa notizia” 1, e la seguente epigrafe, da Théophile Gautier: “Nulla di solito ha l’aria più falsa del vero, mentre il falso ha sempre una grande apparenza di probabilità”. Non contestazione del concetto di verità, che esiste in quanto ricerca assidua, ma smarrimento dinanzi al suo sgretolio e all’uso/abuso che se ne fa e, contemporaneamente, accensione dell’indagine sullo statuto del falso (geniale F come falso di Orson Welles, 1973). Soprattutto in Italia è diventata subito farsa –ma con drammi appena si raschia un poco- questa voglia di rivelare la presunta falsità dell’altro: spettri di miseri partiti, cui il disastro politico globale e leggi elettorali truffa stanno affidando il compito di reggere lo Stato, si battono tra di loro, come cani attorno a un osso ma con infinita minore dignità, per denunciare l’inganno e il ladrocinio dell’altro. Gli spacciatori di falso e di corruzione –quante inchieste e condanne hanno coinvolto i maggiori partiti, PD, M5S, Forza Italia, Lega- hanno per solo scopo denunciare i rivali e nascondere le proprie malefatte. L’indignato Partito Democratico lancia campagne contro l’amministrazione M5S a Roma e a Ostia (popoloso municipio della capitale), dopo che esso stesso è stato il protagonista di stagioni infami con collusioni con la mafia –l’inchiesta mafia capitale ha coinvolto molti esponenti del PD- e sindaci arrestati –ad esempio il sindaco PD di Ostia, Andrea Tassone, nel luglio di quest’anno condannato in primo grado a cinque anni per “associazione a delinquere semplice, non mafiosa” (che sollievo…). Ma si spacciano per virtuosi. Così il governo di Roma: per lungo tempo in mano al centrosinistra e poi al PD, a un certo punto il partito ha votato contro un uomo eletto con i suoi voti (Ignazio Marino) così che l’amministrazione della capitale è finita nelle mani di Virginia Raggi (M5S), probabilmente incompetente (molti lo saremmo a governare una città dai mille intrighi) ma sicuramente capace di cancellare precisi impegni pre-elettorali: quello sul nuovo stadio della Roma calcio, ad esempio, contro cui si era battuto l’ottimo assessore all’urbanistica M5S (ma indipendente), Paolo Berdini, subito cacciato per dare il via libera all’ennesima colata di cemento in una città che avrebbe bisogno di forti riqualificazioni urbane e non di speculazioni. Roma necessitava di un nuovo stadio, per regalare ancora profitti ai padroni di quell’ambiente corrottissimo che è il calcio professionistico? No. Ma le ferite alle città sono facile da arrecare, bastano politici compiacenti, verso la soglia dell’irrimediabilità (forse già superata). “Molti rifiutan lo comune incarco; / ma il popol tuo sollecito risponde / sanza chiamare, e grida: I’ mi sobbarco”, scrive con intuizione modernissima Dante nel VI canto del Purgatorio, celebre per l’invettiva contro l’Italia e contro Firenze. Da un lato c’è l’accusa a chi altrove -rispetto a Firenze- non si fa carico del bene comune e dell’amministrazione della cosa pubblica (forse per ignavia, forse perché consapevole delle poche forze che si hanno e del peso insostenibile, allora come ora, del governo di una città, se affrontato con dignità e coscienza); dall’altro quella a chi invece, con leggerezza o frode, si ‘sobbarca’ e si sacrifica –dicono- per la collettività. Oggi in Italia, ovunque: migliaia di candidati e candidate, spumeggianti, scodinzolanti, in fila a ogni elezione a mendicare voti, che puntualmente ricevono (anche se l’astensione aumenta a ogni tornata), e con il frutto della loro mendicità costruiscono goffe e ricche carriere, intrise di disprezzo e di odio antipopolare – fingendo di coccolarlo, quel popolo, che invece offendono istante dopo istante.
ORCHI RIUNITI
Così anche in chiave internazionale. Governi che per secoli hanno ucciso, bruciato e distrutto, organizzato golpe e schiavizzato intere parti del mondo (e che lo fanno tuttora), e soprattutto che hanno spiato e spiano il nemico, ora si dicono vittima di spionaggio da parte di hacker russi: puerili e ridicoli, gli hacker, gli orchi. L’orco Trump e l’orco Putin tra di loro si battono alla pari per infamia d’alleati –nei fatti-, con corollario di altri sciagurati orchi e orchesse (usiamo volutamente questo femminile spregiativo). E invitano i loro vassalli a fare altrettanto: Israele, guidata dall’orco Nethanyau, che all’O.N.U. vota per il mantenimento del blocco economico contro Cuba (solo U.S.A. e Israele lo hanno fatto, le due democrazie faro del mondo intero) 2; la Siria, guidata dall’orco Assad, ora rimesso sul trono dall’aviazione russa e dai crimini commessi. Crimine contro l’umanità è il blocco contro Cuba, crimine è la guerra in Siria, tutta e da parte di tutti –con in mezzo la popolazione civile e sparuti gruppi di uomini e donne libere che, in entrambi i casi, sono vittime del Festival degli orchi riuniti. Democrazie, dittature e democrature, tutte concorrono a questo Festival, occidente e oriente insieme. Nel Mediterraneo continuano le stragi di migranti, favorite dal comportamento della misera Europa, vile nelle sue alte proclamazioni dei diritti umani così come nelle concrete applicazioni di leggi disumane. Il governo italiano, in mano a progressisti, spesso cinici ex comunisti e ex democristiani, con corollario di nuovi avventurieri, ha approvato il decreto Minniti-Orlando che prevede accordi con la Libia e denaro a chi schiavizza e uccide: schiavizza e uccide in nostro nome. L’antropologa Annamaria Rivera, militante antifascista/antispecista/femminista, ipotizza il reato di migranticidio, variante del genocidio, che consiste nella volontaria promulgazione di leggi e in comportamenti atti a stroncare quello che una squallida campagna politica e di stampa ha definito “traffico di esseri umani”, insieme al “reato di solidarietà” –altro capolavoro semantico- e alla criminalizzazione delle ONG indipendenti che prestano soccorso in mare. C’è volontà di uccidere: inutile cercare un’occulta pistola fumante, come nei genocidi del Novecento (quello armeno, ad esempio, peraltro ormai provato da documenti chiari). La pistola è lì, sulla scrivania di politici e tecnocrati al potere a Roma come a Bruxelles, anime pie della peggior specie, non fascisti o leghisti ma più sciagurati perché ipocriti. “…Dal 1° gennaio al 22 giugno 2017, i decessi accertati lungo le tre rotte del Mediterraneo sono stati almeno 2.018, esclusi quelli accaduti lungo le rotte terrestri. È un dato impressionante, se si considera che corrisponde a più del 74% del totale mondiale: nello stesso periodo, infatti, 2.848 sono state le vittime di migrazioni ed esodi su scala planetaria…” 3 Nemmeno chiedersi che fare?, scioccamente, narcisisticamente. Perché molti e molte fanno: manifestano, lottano per far ottenere permessi di soggiorno, strappano corpi dalla gola del leone. Come quelle navi di O.N.G. che Luigi Di Maio, il futuro Presidente del consiglio italiano in caso di vittoria del M5S, ha definito “taxi del Mediterraneo” 4, in una delle sue innumerevoli stomachevoli esternazioni: chi salva è complice, è scafista, è trafficante. Questo, secondo una campagna violenta e conformistica, scatenata e moltiplicata da media e social media, tutti identici nella catena dello squallore. Mentre spezziamo le catene è la campagna dell’amministrazione comunale di Trieste contro parcheggiatori abusivi e mendicanti, perché i soldi così raccolti “potrebbero essere usati per finalità illecite”. Potremmo aggiungere, e far affiggere manifesti in tutta la città –se avessimo i loro soldi-: non pagate le tasse a questi amministratori, perché potrebbero essere usate per fini illeciti, da sindaci e assessori. Siamo nel Seicento manzoniano, grida contro i poveri e gli emarginati emanate da signorotti arroccati in luoghi imprendibili oppure, oggi, da teppisti in giacca e cravatta, anch’essi imprendibili.
FURORE DISTRUTTIVO
È quel “furore distruttivo di una classe dirigente in agonia”, come scrive Gaetano Azzariti 5, che è nichilismo militante, furia locale e dozzinale in perfetta sintonia con la furia che anima le guerre e il mercato globale. Nichilismo a servizio del capitale, a Washington come a Pechino. “…Per la leggendaria Via della Seta oggi non arrivano spezie e broccati preziosi ma calze e reggiseni a due euro il pacco da dieci pezzi…” 6. Siamo in un continuo Novecento –altro che ‘secolo breve’- ma senza la speranza rivoluzionaria dei tempi appena andati: un Novecento rassegnato, disilluso, ingeneroso. Le stesse classi protagoniste di rivolte e rivoluzioni, sono le prime attrici di una rappresentazione poco sacra che le vede, prive di potere, a sostenere il passo degli abbienti, come stampelle universali, badanti (secondo il pessimo termine coniato a partire da una battuta di Umberto Bossi) di vecchi e giovani leader decrepiti. È un mondo di sommersi e salvati, per dirla con Primo Levi, seppure uno schema bipartito non riesce a rendere conto della complessità della fase (ma anche in Levi si parla di una zona grigia, di un terzo regno). Allora ecco Dante, che torna ad aiutarci, con i suoi tre regni, e persino un quarto, il Limbo. Ecco Godard a servirsene nel film Notre musique del 2004: un Inferno costituito da immagini di guerre freneticamente montate, senza spazio per commenti né per redenzioni; è l’universo chiuso del totalitarismo bellico, del militarismo, del fanatismo delle patrie e degli eroi. E anche se oggi le guerre convenzionali tra Stati sono sempre di meno, non per questo si è in una fase di pace perpetua, anzi: “guerre sicurocratiche” e “pacificazione globale” 7 generano tutt’altro che sicurezza e pace. Il montaggio usato da Godard lascia senza fiato: non vi sono gironi, ma solo il lugubre dominio delle immagini di morte e di alta tecnica, dominio monotono, virato in tinte sanguigne. E poi il Purgatorio: Sarajevo, dieci anni dopo la fine della guerra (1995, con gli accordi di Dayton), Rencontres européens du Livre, organizzati dal Centre “Malraux” della capitale bosniaca e ideati da Francis Bueb, incallito utopista –si racconta del suo arrivo, in una Sarajevo sotto assedio, mentre scende dall’aereo con un ritratto di Arthur Rimbaud sotto il braccio- sigaretta eternamente accesa e bicchiere di rosso. Incontri ideati da Bueb e sostenuti da un’équipe, soprattutto femminile, di primissimo ordine, poliglotta, pulita, generosa. Il Purgatorio è il dopoguerra, l’infinito dopoguerra della Bosnia Erzegovina (e della Cecenia, dell’Iraq, della Libia…), pieno di ospiti meravigliosi –la Sarajevo dei Rencontres è stata una capitale rigogliosa di cultura e di politica radicale contro ogni radicalismo- ma anche di speranze troncate: le mafie politico-religiose dominavano, e dominano, quello splendido Paese, gestito da chi aveva voluto la guerra. Il crimine paga: distruzione di un grande Paese, e di splendide vite di donne e di uomini; e non bastano le condanne nella Norimberga dell’Aja, i suicidi, le strane morti in prigione per far rinascere un progetto nuovo. Ecco la differenza tra il Purgatorio dantesco e quello di Sarajevo: il primo è destinato a scomparire, dopo il giudizio universale, perché solo l’Inferno e il Paradiso sono eterni; il secondo è definitivo, è vero regno, è punizione senza purgazione/purificazione, senza la minima speranza dell’altezza.
INFINE, UN PARADISO
Il Paradiso di Notre musique è un mondo etereo, leggero, luminoso, fatto di giovani bianchi sulle rive di un lago o di corso d’acqua: ma l’immagine si allarga e lentamente scopriamo che tutte/i loro, i beati e le beate, vivono dentro un reticolato sorvegliato dall’esterno da pattuglie di soldati, marines superarmati. Dopo tanto discorrere, ecco cosa trova, Dante-Godard 8: la sicurezza di un’esistenza paradisiaca come giardino chiuso, separato, regno d’apartheid in cui la cosca dei santi vincenti alleva i suoi dolci figli, e che crepi tutto il resto, fatto di fango sterile, di trincee e di asfalti ghiacciati, o di vite gettate nello sfinimento della quotidianità. È quel Geworfenheit di Heidegger, di cui parla Giorgio Pressburger, in L’orologio di Monaco 9, e cioè “l’ ‘essere gettati’ come un dado; dal nulla nella vita” (pag. 85). Heidegger, “questo vero porco”, sempre secondo Pressburger, che nel 1933 “divenne addirittura rettore dell’Università di Friburgo e non disse una parola a favore del suo maestro, quando Husserl venne espulso dal corpo accademico per le sue origini ebraiche…” (pag. 90). Anche Pressburger ha fatto ricorso a Dante in una potente trilogia: Nel regno oscuro (2008) e Storia umana e inumana (2013) fatto di due romanzi, Nella regione profonda e Nei boschi felici. Condotto da guide straordinarie (Freud, Simone Weil), il protagonista dell’opera, Dante-Pressburger, attraversa i tre regni canonici, in realtà non così ordinatamente strutturati come nel poeta fiorentino ma legati da un flusso di angosce e paure e con chiari rimandi all’opera dantesca. Il Novecento, tutto il Novecento entra nei tre testi, e senza sconti: nazifascismo, comunismo stalinista e schiavismo/colonialismo vengono passati in rassegna con vigorosa passione, e i rappresentanti dei movimenti di cui sopra sono inchiodati a condanne inflessibili e a rare assoluzioni. L’arbitrio di Pressburger è identico a quello di Dante, identiche le passioni: entrambi esuli, almeno il primo poté rivedere la sua terra natale, cosa che a Dante non fu concessa. Centinaia di personaggi condannati o salvati, oppure lasciati in bilico, verso una qualche salvezza futura. Toccanti le pagine dedicate a Rosa Luxemburg, a Paul Celan, a Peter Szondi, a Mejerchol’d e a Babel, e poi Michaelstaedter (contro la “comunella dei malvagi”), Hannah Arendt, Lumumba e il Ruanda (“orrore dell’occidente”) e tanti altri, in puro spirito dantesco. Pagine decisive quelle contro la parodia (e qui Dante, Pressburger e Godard si ritrovano): la guida Simone Weil, all’inizio del secondo regno, dice al protagonista che “la parodia vincerà su tutto. La risata, lo stupido riso forzato o il sentimento facile, inesistente, assorderà le menti della tua epoca. Ma tu devi gridare sempre e sempre, pur sapendo che la tua voce si perderà nella ruttante risata dei grandi parodisti, dei grandi buffoni, dei grandi ottimisti ridanciani…” 10 Il rigetto della parodia, in favore della comedìa/tragedìa, non è rifiuto della sovversione (avanguardistica) del riso, ma è rigetto della banalizzazione d’ogni male e del conformismo reale nascosto sotto le vernici del rovesciamento. Quanti buffoni al potere abbiamo oggi, quanti Ubu che irridono chi sta in basso, quante pernacchie da parte di re e di amministratori delegati contro il popolo inebetito e sottomesso che li applaude! La parodia al potere, ultimo urlo del Novecento, decapitazione dell’utopia, ma per ridere: solo che la testa dei popoli è davvero finita in fondo al cesto.
17/12/2017
Gianluca Paciucci
* Le foto sono di Gianluca Paciucci
Note
* Grazie a Sergio Bologna per averci fatto conoscere questo film.
1 articolo a cura di ‘Altra informazione’ in Umanità nova, n. 34, anno 97, 10.12 2017
2 il voto, svoltosi il 1° novembre 2017, ha visto la condanna da parte dell’O.N.U. del bloqueo: 191 Paesi hanno votato contro il mantenimento, solo U.S.A. e Israele hanno votato a favore. In questo caso due cosiddette democrazie compiono (reiterano) un chiaro crimine contro una cosiddetta dittatura. Trump ringrazia e riconosce Gerusalemme come capitale di Israele, mantenendo una promessa elettorale.
3 Annamaria Rivera, “Dalle politiche migranticide dell’Unione Europea alla comunità del rancore”, pag. 11, in Cronache di ordinario razzismo. Quarto libro bianco sul razzismo in Italia, a cura dell’associazione Lunaria, Roma, 2017. Si tratta di un ottimo lavoro di un gruppo di studiose/i militanti che inquadra il tema a livello teorico (con una straordinaria attenzione al linguaggio usato per la inferiorizzazione dell’Altro/a) e che ricorda –letteralmente, ‘riporta al cuore’- le cronache dimenticate di assassinii, di rivolte di dignità e di veri e propri pogrom.
4 “Chi paga questi taxi del Mediterraneo? E perché lo fa? – ha tuonato in un post sui social il vice presidente della Camera Luigi Di Maio – Presenteremo un’interrogazione in Parlamento, andremo fino in fondo a questa storia” (Il Fatto quotidiano, 23.04 2017). Andranno in fondo, questi conformisti sedicenti antisistema, oppure, semplicemente, affonderanno?
5 a pag. 18 nel volume La Costituzione della Repubblica italiana. Con scritti di Gaetano Azzariti, Paolo Maddalena, Giovanni Russo Spena, Edizioni Q, Roma, 2017. Il testo di Azzariti, “La storia di un lungo regresso”, è l’aggiornamento dell’ultimo capitolo di Contro il revisionismo costituzionale. Tornare ai fondamentali, Roma-Bari, Laterza, 2016.
6 pag. 18 in Sergio Bologna, Tempesta perfetta sui mari. Il crack della finanza navale, Roma, DeriveApprodi, 2016.
7 di grandissima forza è il testo di Jeff Halper La guerra contro il popolo. Israele, i palestinesi e la pacificazione globale, Roma, Epoké, 2017 (ed. originale 2015). Ineludibili le sue riflessioni, sorrette da una documentazione impressionante. A pagina 18 questa osservazione: “…Ho compreso come in realtà i Territori palestinesi occupati non costituiscano per Israele un onere finanziario o una fonte indesiderata di insicurezza e di conflitto. Anzi, è vero proprio il contrario. Senza l’Occupazione e senza un interminabile conflitto, come potrebbe Israele mantenere la sua forte posizione internazionale?…”
8 su Godard è stato girato un ridicolo film del premio oscar M. Hazanavicius, Le redoutable/Il mio Godard (2017), tratto dal romanzo autobiografico di Anne Wiazemsky, Un an après (Un anno dopo), Paris, Gallimard, 2015. Come il romanzo di Anne Wiazemsky è rigoroso e teso, a tratti per nulla tenero con Godard ma mai spinto alla parodia, così il film è una furfanteria bislacca che traduce in misere gag le tensioni tra un uomo e una donna (Godard e Wiazemsky erano marito e moglie) dentro quelle del maggio francese. Carlo Valeri ha scritto che “prima o poi doveva accadere che la borghesia si vendicasse di Jean-Luc Godard. Ci ha pensato Michel Hazanavicius…” (http://www.sentieriselvaggi.it/il-mio-godard-di-michel-hazanavicius/). Ma è una vendetta di quart’ordine, non riuscita per diversità di grandezza tra i due.
9 Torino, Einaudi, 2003; romanzo dominato dall’ “ossessione genealogica”. Giorgio Pressburger (Budapest, 1937 – Trieste, 2017), formidabile scrittore, ebreo ungherese, fuggito in Italia dopo l’invasione sovietica del suo Paese.
10 pag. 34 in Storia umana e inumana (gli spazi bianchi sono nel testo originale: “L’Autore vi chiede di rispettare con l’occhio della mente la scansione segnata dagli spazi bianchi tra le parole”); a pag. 77 si legge, in nota: “La letteratura della parodia, del rovesciamento di opere classiche, l’introduzione della beffa, del disprezzo per i vecchi modelli nei primi cinque decenni del Novecento parve avere la meglio…”.
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