La passione per la poesia, la cultura, l’arte, la musica, la ricerca e la conoscenza è amplificata dal piacere aggiuntivo della condivisione e del dono. Casa della poesia, la sua biblioteca, il sito, Potlatch, “la poesia della settimana”, sono luoghi, reali e/o virtuali nei quali questa “pratica poetica” si realizza. Diamo dunque vita alla rubrica “Rovisteria“, ripescando da vecchie riviste letterarie articoli, scritti, piccoli tesori che ci sembra importante riproporre e riportare all’attenzione di tutti coloro che seguono queste pagine. Proviamo così a portare frammenti della biblioteca fuori dalle mura di Casa della poesia. Proponiamo oggi il testo integrale del saluto di Pablo Neruda al Convegno internazionale per la libertà del popolo spagnolo, tenutosi a Roma il 13 e 14 aprile 1962, in solidarietà con i poeti spagnoli vittime del franchismo in quegli anni ancora saldamente al potere. Il testo è tratto da “L’Europa letteraria” (giugno-agosto 1962).
Pablo Neruda
Franco e l’assassinio della poesia
Alcuni di voi sanno che sono venuto dal Cile a questa importante riunione e che sono uno scrittore, un poeta. Non vi parlerò del Cile ma di un paese molto più vasto: quello della poesia. Come poeta non potrei dirvi né raccontarvi né analizzare quello che abbiamo perduto in Spagna. So già che Franco significa molti altri danni materiali, pervertimenti morali e problemi politici. Qui verranno trattate tutte queste cose. Ma per la poesia spagnola del mondo iberico e di lingua spagnola che ebbe un Secolo d’Oro o più di uno, Franco ha rappresentato un secolo nero, un secolo di morte, di persecuzione e di esilio per i poeti. Il secolo nero di Franco ha significato sangue, ombra e orrore per la splendida poesia di Spagna.
In questi giorni ho abbracciato il mio gran fratello Rafael Alberti a Montevideo. Eravamo venuti io da Valparaíso e lui da Buenos Aires per commemorare i 20 anni della morte di Miguel Hernández. Questo grande poeta giovanile che si annunciava come un nuovo Lope de Vega, tant’era fine, forte e fecondo, morì in carcere, dopo quattro anni di prigione spietata. Quando l’opinione pubblica mondiale strappò a Franco una spiegazione sulla morte di Federico García Lorca, Franco l’attribuì a un errore dei primi giorni della guerra civile. La sua menzogna si rivelò soltanto una beffa sanguinaria dal momento in cui assassino lentamente nelle sue prigioni Miguel Hernández senza accogliere alcuna preghiera né lasciarsi commuovere da alcuna richiesta di coloro che volevano salvare la voce e la vita del poeta.
Rafael Alberti l’ho veduto ora con la sua testa completamente canuta. La sua testa e la sua poesia hanno 25 anni di esilio, e questo pesa sopra il suo grande cuore. Egli è stato come García Lorca poeta della terra e del mare del Sud della Spagna. Essi furono i due poeti nazionali, potentemente rappresentativi dell’oscuro splendore della loro patria. Uno fu selvaggiamente crivellato a colpi di fucile, presso un dirupo di Granada, e la polizia franchista, che lo finì con vari colpi di grazia, si vantava del delitto nei caffè. L’altro poeta ha dovuto abbandonare fino a oggi la Spagna.
Antonio Machado poté appena attraversare la frontiera e morire poco dopo in terra francese. Altri poeti continuarono a vivere e a morire nell’esilio sudamericano. Pedro Salinas Louis Cernuda, Antonio Aparicio, Serrano Plaja, Jorge Guillén, Leon Felipe, Herrera Petere. E moltissimi altri. In questi giorni ha riacquistato la libertà il giovane poeta Marcos Ana. Aveva 18 anni quando Franco lo mise in prigione. Ne ha passati più di 20 in varie carceri. Che colpa aveva questo giovane soldato, questo ragazzo, per scontare tanto dolore? Posso rispondere a questa domanda. Era un poeta. Franco lo assegnò alla sua lista del secolo nero. Questa è stata guerra contro la poesia. Se assommiamo assassini incarceramenti e condanne all’esilio, se riconosciamo che il fiore più alto di più di una generazione di poeti è stata condannata, avremo una guerra contro la poesia come mai prima ci fu nella storia del mondo.
Noi poeti americani vogliamo che di questo si tenga conto. Sappiamo che Franco non ha potuto uccidere la poesia, e che, come prima, fioriscono la grazia, la tristezza, l’amore e l’ira fra i magnifici nuovi poeti della terra spagnola. Ma vogliamo che quei delitti, quella guerra a morte contro il canto, rimangano bene scritti e stabiliti, che non si dimentichino nel resoconto storico. Di più, vogliamo non solo giustizia, ma vogliamo anche vendetta. Vorremmo che Franco cadesse in quel dirupo di Granada dissanguando siccome il nostro fratello assassinato e vorremmo che Franco risuscitasse per poterlo condannare agli anni di carcere ed esilio che ha sofferto la poesia.
Non è una richiesta da poco, ma questa è un’assemblea della speranza.
Qualche tempo fa il signor Kennedy venne a una conferenza ad alto livello a Parigi e tornò nel suo paese fermandosi solo due volte. Una prima volta a Madrid per abbracciare Franco e dargli armi e denaro per continuare a martirizzare gli spagnoli. La seconda volta il signor Kennedy si fermò per abbracciare Oliveira Salazar a Lisbona e garantirgli aiuti nella sua efficiente funzione di uccidere africani in Africa e incarcerare portoghesi in Portogallo.
Per noi poeti che soffriamo e sanguiniamo per quella guerra, questi due abbracci sono stati amari. Si tratta di una tragica incomprensione, dell’errore più grave della nostra epoca. Che Franco continui a sedere nel suo trono sanguinante e che venga premiato anziché giudicato e condannato, questo è contro ragione. Questa assemblea si riunisce per esaminare questi errori che perdurano, per raccontare questi dolori che continuano, per stabilire la speranza ed esigere la restaurazione della libertà in Spagna.
Questo lungo secolo nero di Franco deve finire. Non solo lo spera il popolo spagnolo ma le bandiere a lutto della poesia universale.
Pablo Neruda
da: “L’Europa letteraria”, Roma, anno II, n. 15-16 , giugno-agosto 1962.