Giovanna Zambon è nata a Roma nel 1994. Laureanda in Diritto Islamico presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, dopo la laurea triennale ha portato avanti lo studio della lingua araba e persiana iscrivendosi al Corso di Laurea Magistrale “Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa”.
Nata nel 1977 nella provincia afghana di Qandahar, Mahbubeh Ebrahimi lascia l’Afghanistan a seguito degli sconvolgimenti che hanno attraversato il paese a partire dagli anni Settanta per emigrare in Iran, dove ha la possibilità di ricevere un’educazione scolastica e universitaria. Mahbubeh diventa così non solo una delle poetesse afghane più conosciute nella Repubblica Islamica, ma anche docente universitaria di Lingua e Letteratura Persiana, organizzatrice del festival letterario Qând-e farsī, regista di documentari, direttrice della rivista Farkhâr e collaboratrice dell’istituto culturale Dar-e darī di Mashhad, dove vengono promossi eventi culturali e letterari che gravitano attorno al tema dei giovani afghani immigrati in Iran dagli anni Settanta in poi. Attualmente Mahbubeh Ebrahimi risiede in Svezia, vivendo così, per la seconda volta, l’esperienza dell’esilio.
LE VOCI DELL’ESILIO AFGANO
Se il fenomeno della migrazione afgana in Iran è già noto alla fine del XIX secolo, a partire dagli anni Settanta, a seguito dell’invasione sovietica e l’instaurazione del regime dei Talebani, sono sempre di più le persone che decidono di lasciare l’Afghanistan alla ricerca di una vita migliore. L’Iran ha così rappresentato, soprattutto per il gruppo etnico degli Hazara in quanto sciiti e madrelingua darī, molto simile al persiano, una destinazione quasi scontata.
Il fattore linguistico è stato determinante per l’inserimento di questa generazione di rifugiati nel sistema educativo iraniano, da cui usciranno molti poeti e poetesse che riusciranno a esorcizzare il trauma dell’esilio tramite la composizione in versi o in prosa. Non solo: questo ha dato modo di esprimersi anche alle donne. In Afghanistan infatti, seppur la produzione poetica femminile sembra affiora già nel X secolo, la società patriarcale del paese non ha lasciato molto spazio alle voci femminili che risultano quindi essere quantitativamente inferiori rispetto a quelle maschili.
Una volta inserite nel sistema d’istruzione scolastica iraniano, le giovani afghane rifugiate hanno beneficiato anche dell’ “esempio” delle loro coetanee iraniane: cittadine di una Repubblica islamica, quest’ultime nel corso degli ultimi decenni si sono imposte non solo nella scena universitaria dove eccellono (al punto tale che l’allora Presidente Ahmadinejad si è visto costretto a inserire delle quote blu nei test di accesso ai corsi universitari per garantire dei posti anche agli uomini che non ottenevano risultati al pari di quelli delle loro colleghe), ma anche nella scena letteraria, dove la letteratura femminile o femminista, a seconda delle interpretazioni degli studiosi, è sempre più produttiva.
Ma, per quanto l’Iran abbia rappresentato sicuramente un’alternativa migliore al paese d’origine per questa generazione di esiliati, la condizione di rifugiato è un tema molto sentito nella produzione letteraria in lingua darī. Marginalizzazione etnica, perdite e traumi, povertà, pregiudizi di inaffidabilità, inclinazione al furto e coinvolgimento nel traffico di droga sono solo alcuni dei problemi che lo jangzadè (il rifugiato di guerra, letteralmente il colpito dalla guerra) si ritrova ad affrontare una volta in Iran (basti pensare alla produzione cinematografica che ha denunciato le condizioni dei rifugiati afghani nella Repubblica Islamica, quindi a Baran e I bambini del cielo del regista Majidi Majidi).
È quindi attorno al tema dell’esilio e della costrizione alla migrazione che ruota la produzione poetica dei rifugiati afghani in Iran. In Marz (“la frontiera”) Mahbubeh Ebrahimi denuncia l’angoscia e il dolore che la assalgono una volta arrivata al confine, oltre il quale la attenderà solitudine, povertà e il dilaniarsi nel vedere i propri figli patire la fame (Sobh, “il mattino”). La poetessa denuncia la violenza degli uomini afghani che continuano a non rinunciare a vendette e rappresaglie, puntando il dito all’abuso di armi, il traffico di droga e il tappeto di mine antiuomo che riveste il suolo del paese natio, su cui i bambini non possono più correre e giocare.
È con struggente nostalgia o con quelle che potrebbe essere definita come sehnsucht che le poetesse afghane rifugiate guardano al paese d’origine, a cui continuano a far riferimento nei propri versi: Mahbubeh Ebrahimi, Simin Hosseinzadeh, Zahara Hosseinzadeh, Mariam Torkemani, Ziagol Soltani, Shakirieh ‘Erfani e il poeta Fa’eqeh Javad, che al proprio nome aggiunge Mahâjer (immigrato) sono tra le voci più note della produzione poetica in lingua darì pubblicata in Iran.
PUBBLICAZIONI
Mahbubeh Ebrahimi ha sinora pubblicato due raccolte di poesie: I venti sono mie sorelle (2007) e Majnun, Leila e i bambini (2008). Nel corso delle interviste tenute con diverse testate iraniane e afghane, tra cui Sobh-e Kâbul, racconta della sua esperienza di bambina afghana inserita nel sistema di educazione scolastica iraniana: a casa e a scuola si parlava con accenti diversi, i compagni e gli insegnanti la guardavano dall’alto verso il basso e l’aggettivo “afghana” con il tempo assumeva un tono sempre più dispregiativo. La poesia per lei ha rappresentato, secondo le sue parole, una via di fuga da tutto ciò che non le piaceva e la tormentava, liberando tramite i versi le proprie angosce e i propri dolori. Oltre alle poesie, Mahbubeh si è anche dedicata alla produzione di cinque brevi documentari, il primo dei quali, Kâbus-e bâgh-e vahsh, ritrae Kabul come uno zoo, dove la guerra civile tra i mojâhedin ha trasformato gli uomini in bestie che si uccidono brutalmente tra loro. Altro documentario è stato girato in Svezia, dove risiede attualmente, esplorando le sfide che gli immigrati devono affrontare per inserirsi in una nuova società.
BIBLIOGRAFIA
• Vanzan, A. (2008) “Il doppio esilio: la poesia della rifugiate afgane in Iran” in El-Ghibli, 22: dicembre 2008, http://archivio.el-ghibli.org/index.php.html
• https://af.shafaqna.com/FA/248880
• http://archivio.el-ghibli.org/index.php%3Fid=1&issue=05_22§ion=3&index_pos=1&author=469.html
• https://www.bbc.com/persian/afghanistan/story/2007/06/070614_s-poet-couple
• http://www.dailyafghanistan.com/entertainment_detail.php?post_id=146788
• https://www.libreriadelledonne.it/_oldsite/news/articoli/contrib240109_vanzan.htm
• https://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/tehranbureau/2012/05/poetry-one-tongue-no-tongue-return-and-its-story-of-cultural-dialogue.html
• https://subhekabul.com/%D9%85%D8%B7%D8%A7%D9%84%D8%A8-%D9%85%D9%87%D9%85/interview-with-mahboba-ibrahemi/
Un caro ringraziamento alla Professoressa Natalia Tornesello che non solo mi ha accompagnata in questi cinque anni di percorso universitario, ma mi ha anche affiancata nella revisione delle traduzioni e nella stesura dell’articolo. Kheili motashakkeram!
ذره بین
ذره بین خریده پسرم
می گذارد روی ریزترین چیزها
و جهانش را ده برابر بزرگتر می کند
واقعیت
نمی تواند
این قدر سهمگین و بزرگ باشد
پسرکم
پرز روی پوست هلو
همان قدر ناچیز است
که تنهایی ما
در این سرزمین بزرگ
پاهای این مگس
فقط
زیر ذره بین
حال ما را بد می کند
هوا و غم
وقتی
در بارهی شان حرف می زنیم
ذره بینت را
از روی خط های کف دستم بردار
و گرنه
در این جادههای پر پیچ و خم
گم می شویم
نه به گلبرگ ها دقیق شو
نه به دانه ی درخشان برف
زندگی
اغلب
لبههای تیزش را نشان می دهد
!کمی دورتر ایستاد شو
افغانستان
چشمی، خون
آهی، حسرت
لبی، سرخوشی
پنچه ای، دلتنگی
گلویی، گریه
دستی، نوازش
تو
افغانستان منی!
!که خون مرا هر روز بر خاک می ریزی
که مرا هر روز از خودت می رانی
که از داشتنت هر روز ناامیدترم
که هر روز به تو عاشقتر!
من دیوانه نیستم
که این گونه دوستت دارم
چیزی در تو هست
که رگهای همه زنان را
به روی مرگ
می گشاید
افیونی ناشناخته
که نمی دانیم
چند نسل از ما را
در سرکها
در سردابه ها کشته است
من نمی دانستم تو چیستی
دوست داشتن تو
نمی دانم از کجا
در خاطرات مادرم حک شد
و چون ژنی ناهنجار به من رسید
!به من باز نگرد
مرد، درد است
که تسکینش را هنوز نیافته ام!
به تو باز نمی گردم هر چند
هیج سرزمینی آغوش تو نمی شود
دریاچه
دریاچه ای! در تور ماهیگیر می میری
دیوانهای! هر روز در زنجیر می میری
دیوانهای که با دهانی پرز مرواريد
در آبگیری کوچک و دلگیر می میری
در سینه ات می پوسد آخر ماه و ماهیها
آن وقت در لای و لجن درگیر می میری
!اما تصور کن پری شاد دریایی
وقتى که دردت را نفهمی دیر می میری
می بافت مادر روزها را با شب مویم
می گفت روزی در همين زنجیر می میری
LENTE D’INGRANDIMENTO
Mio figlio ha comprato una lente d’ingrandimento
la passa sulle più piccole cose
e rende il suo mondo dieci volte più grande
La realtà
non può
essere così grande e spaventosa
Figlio mio
la peluria sulla buccia di pesca
è tanto insignificante
quanto la nostra solitudine
in questa grande terra
Le zampette di queste mosche
solamente
sotto la lente d’ingrandimento
ci inquietano
Sospiro e tristezza,
Quando
ne parliamo
togli la tua lente d’ingrandimento
dalle linee del palmo della mia mano
altrimenti
su queste strade tortuose
ci perdiamo
Non fissarti né sui petali
né sui fiocchi di neve lucenti
la vita
spesso
mostra i suoi lati taglienti
allontanati un poco
Afghanistan
un occhio, sangue,
un sospiro, malinconia
un labbro, allegria
un artiglio, rabbia
un petto, nostalgia
una gola, pianto
una mano, carezza
Tu
sei il mio Afghanistan!
Che ogni giorno spargi il mio sangue per terra
che ogni giorno mi allontani da te
che ogni giorno per averti perdo sempre più la speranza
che ogni giorno ti amò di più
Non sono pazza
ad amarti in questo modo
c’è qualcosa in te
che apre
davanti alla morte
le vene di tutte le donne
Oppio sconosciuto
che non sappiamo
quante nostre generazioni
ha ucciso
nelle strade e nelle cantine
Non sapevo cosa fossi
il mio amarti
non so da dove
è stato inciso nei ricordi di mia madre
è come un gene irregolare ereditato
Non tornare da me!
Amico, è un dolore
di cui non ho ancora trovato sollievo, non tornerò da te!
sebbene
nessuna altra terra assomigli al tuo abbraccio
Lago
Tu sei lago! Muori nella rete del pescatore
Tu sei folle! Muori ogni giorno in catene
Un pazzo che con la bocca piena di perle
muore in un piccolo e cupo stagno
e alla fine nel tuo petto marciscono luna e pesci
e allora morirai intrappolato nel fango e nella melma
Oh allegra sirena del mare, pensa che
quando non comprendi la tua pena, muori più tardi
Mia madre intrecciava i giorni con la notte dei miei capelli
diceva: “Un giorno in questa stessa catena morirai”.
مرز
بر تابلو نوشته شده مرز، چند بار
یعنی چقدر مانده به تو؟ چند انتظار؟!
بر تابلو غریب نشسته است نام تو
در سینه شوق رد شدن از سیم خاردار
این سو شکسته تلخ غزل در گلوی من
آن سو شکفته شعر به لبهای قندهار
ای باد! بوسههای مرا تا لبش ببر
بنشان به گونههای زمستان گل انار
حالا که سبزه سر زده از جای زخم هاش
ای ابر! گریههای مرا بر تنش ببار
این سو کنار مرز نشسته است انتظار
آن سو شکفته است لب رود نوبهار
LA FRONTIERA
Sul cartello è scritto “frontiera”, quante volte
ovvero, quanto ti manca? Quanta attesa?!
Sul cartello il tuo nome sta come uno straniero
nel petto desideroso di attraversare il filo spinato
Da questo lato nella mia gola c’è una poesia amara e spezzata
dall’altro, la poesia fiorisce sulle labbra di Qandahar
Oh vento! Porta i miei baci alle sue labbra
fa adagiare sulle guance dell’inverno i fiori di melograno
ora che l’erba è spuntata dalle sue ferite
Oh nuvola! Fa piovere le mie lacrime sul mio corpo
Da questo lato, accanto alla frontiera, sta l’attesa
dall’altro, sulla riva del fiume è sbocciata una nuova primavera.
آمده باز هم بهار، ولی
هر کجا می رود به میل خودش
بچهها! این زمین بازیگوش
باز هم دور زد به میل خودش
کسی از راه دور آمده باز
چون شما خسته و کولهبار به دوش
می خرد از شما کلوچه و غم
!بچهها، بچههای دستفروش
بازهم بهار شد پرندهها!
با خبر! دوباره جنگ می شود
دشتها و تیه های دهکده
باز لانه تفنگ می شود
بارهم کنار چشمه بین ما
از ستاره و بهار بود
سال پيش اول بهار بود
قبرهای دهکده زیاد شد
باید این بهار هم درختها
رختهای نو دوباره تن کنند
خوش به حال شان که نیستند مثل ما
سال نو به جانشان کفن کنند
بچههای ده! دعا کنید
تا خدا بهار را نیاورد
تا همیشه برف باشد و کسی
جنگ را به خانهها نیاورد
PRIMAVERA
È tornata primavera, ma
va ovunque lei voglia
Bambini! Questa terra giocosa
è mutata di nuovo a suo piacimento
Di nuovo qualcuno è tornato da lontano
come voi è stanco e ha un bagaglio sulle spalle
Da voi compra biscotti e tristezza
Bambini, bambini venditori ambulanti!
La primavera è tornata di nuovo, uccelli!
Badate! C’è di nuovo la guerra
Le pianure e le colline del paese
Diventano di nuovo nido di fucili
Di nuovo, accanto alla sorgente, tra di noi
si ricordano le stelle e la primavera
L’anno scorso fu all’inizio della primavera,
che le tombe del villaggio aumentarono
Anche questa primavera gli alberi
devono indossare vestiti nuovi
Fortunati loro che non debbono come noi
all’anno nuovo avvolgere le vite nei sudari
Oh ragazzi del villaggio! Pregate
che Dio non porti la primavera
cosicché ci sia sempre neve e nessuno
riporti la guerra nelle case.
صبح می شود و باز کودک بهانهگیر
خستگی، ملال، غم، نان و چایی و پنیر
پشم را نمی شود روی صبح وا کنی
صبح چادری به سر، رفته پشت نان و شیر
صبح رخت های چرک- صبح، کوه ظرفها
در اتاق کوچکی باز می شود اسیر
در خودت فشرده ای ابرهای تیره را
صبح تازهات بخیر آسمان دور و دیر
نه! به دست و پا زدن، دل رها نمی شو
!یا پرنده شو، بپر! یا به خانه خو بگیر
صبح، سیب، صبح، گل- از دقیقه ها بچین
پیش از آن که بسپری دل به خاک ناگزير
از گلوی خسته ام زندگی! غزل بخوان
زیر دست و پای غم، ای ترانگی نمیر!
باید نبود ماه و نتابید بر زمین
-این گریه زار حسرت بانوی اولین-
ما چشم بر بهار و زمین وا نکردهایم
حوا! بهشت کو؟ که نگریییم بیش از این
حوا! زمین ما، چه بگویم؟ جهنم است
این جا نمی شود دل مان آسمان نشین
حالا بگو چگونه تحمل کند مرا
جغرافیای خسته این خاک آتشین؟
من چیدهام شبیه تو این سیب سرخ را
!من امتداد دست توام، ماه خوشه چین
MATTINA
Torna la mattina e di nuovo il bambino capriccioso
Stanchezza, noia, tristezza, pane, tè e formaggio
Non puoi cardare la lana al mattino
La mattina, chador in testa, se n’è andata appresso a pane e latte
Mattina di vestiti sporchi; mattina, una montagna di piatti
Di nuovo è prigioniera in una stanzina
Hai soffocato dentro di te nuvole scure
Buon mattino nuovo, oh cielo distante
No! Il cuore non si libera dimenando mani e piedi
O fatti uccello e vola! Oppure abituati alla casa!
Mattina, mela, mattina, fiori- cogli gli attimi
prima che il tuo cuore si consegni alla terra
Declama versi, o vita, dalla mia gola stanca
O Cantore, non morire schiacciato dalla tristezza!
Non doveva esserci luna e non doveva brillare sulla terra,
-valle di lacrime della melanconia della Prima Donna,
Non abbiamo aperto gli occhi sulla primavera e sulla terra
Eva! Dov’ è il Paradiso? Così da non piangere ancor di più
Eva! E della nostra terra, che dire? È un inferno
Non è qui che i nostri cuori riescono a toccare il cielo
Ora dimmi come può sostenermi
la geografia stanca di questa terra infuocata?
Ho raccolto questa mela rossa come te
Sono l’estensione della tua mano, oh luna raccoglitrice di grappoli!
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