A mio fratello Franck,
compagno d’infanzia e d’esilio
Il vecchio negro si siede di fronte a se stesso e intraprende l’inventario di ciò che gli resta dei suoi tesori.
Nella soffitta di una grande maison à balcon1, scopre una piccola automobile su gambe di legno. L’altra era già scomparsa, le sue ruote, i suoi pedali, tutti i suoi pezzi erano stati donati o venduti ad amici d’infanzia per le loro vetture fabbricate con delle assi.
Le due piccole automobili importate erano state le prime del loro genere in città. Suo fratello minore e lui le avevano inaugurate sulla piazza d’armi o sagrato della chiesa con grande meraviglia della marmaglia che gridava a squarciagola e si agitava come i ladri alla fiera per essere tra quelli che, dopo i proprietari, sarebbero entrati in questo nuovo carosello. A quel ritmo, le piccole vetture non ne ebbero per molto e furono relegate nella soffitta della grande maison à balcon da dove il vecchio negro le esumò.
Gli anni sono passati. Il bambino si è trasformato in adolescente. Abbiamo cambiato la maison à balcon e la soffitta con una con terrazza e con la finestra miracolosa. Come il corridor Trésor2, la grande scala di legno è diventata la scala di Giacobbe3, con, in cima, questa apertura sulla casa a fianco dove una donna nuda attraversa la camera nuziale. Nuda dai piedi alla testa avvolta nel turbante di un asciugamano bianco. Palazzo delle mille e una notte, oh regina del paradiso e l’albero da frutta protetto dal rigoglio vegetale dove sono acquattate le belve del desiderio. Eccoti immobilizzato e tremante come un pesce che il pescatore tira su nella rete dei sogni. Gli anni sono passati. Il ragazzo si è trasformato in uomo e il vecchio negro in adolescente, alla finestra dell’eternità.
Tra la piccola vettura relegata in soffitta e la donna nuda che attraversa la stanza nuziale, le acque verdi della Grand’Anse, malgrado l’apparenza immobile dello specchio, non hanno cessato di scorrere sotto il ponte di Jérémie.
Bello come un dio nero, un giovane poeta imbocca la tromba del profeta per lanciare appelli alla resistenza contro gli Occupanti mentre un vegliardo, avvolto nella sua dignità come una redingote, invita gli Americani a lasciare il paese dove non sono i benvenuti. Di notte, travestiti da contadini, i fratelli Mauclair, che avevano tagliato la testa di uno Yankee col machete, rientrano nella città col loro carico d’erba per i cavalli. All’età in cui si gioca ancora al lago, mio fratello ed io raggiungiamo i ranghi degli scioperanti, a fianco di nostro padre la cui alta figura domina la folla e la cui voce si ripercuoterà attraverso il tempo fin nel nostro esilio.
L’adolescente fa l’apprendistato della propria virilità sulle natiche della vicina. Dalla porta socchiusa, alla luce di un fanale, lei solleva la sua veste per sistemare le mutandine e improvvisamente la luce acceca. Accarezzando i suoi capelli il cui colore è quello del chiar di luna sul mare, egli penetra i segreti dei suoi sogni senza turbare la pennichella che il dondolo culla nell’ombra del balcone. Dalla seta delle ascelle al velluto dei seni che si gonfiano sotto la mano, le dita navigano allegramente e, con un salto da pirata, si ficcano sotto la lingerie dove, attraverso il lungo cammino delle cosce, partono alla conquista del vello, che sarà prevenuta appena in tempo da un risveglio di soprassalto. Bisognerà attendere, in un altro giorno, l’ora della siesta, con il corpo disteso vicino al suo sul letto, per scoprire, senza danno o profitto per la verginità dell’uno o dell’altro, l’estasi dell’orgasmo.
Tra le ragazze appena più grandi di lui, alle quali si incollava nella danza, ce n’era una il cui sorriso spumeggiava spesso, champagne di spensieratezza, zampillo della gioia, fuoco d’artificio del desiderio; un’altra un po’ ansimante e la cui bocca si socchiudeva come per meglio respirare e un’altra ancora che si concentrava, con lo sguardo fisso, per gioire dell’istante fino al limite permesso in pubblico – immagini che nel vortice delle coppie gli rinviava il grande specchio della sala. Non tardava ad attraversarlo portandole l’una dopo l’altra con lui. Soli dall’altro lato, essi avevano tutta la libertà di amarsi. Fino al momento in cui, finito il ballo, bisognava rientrare a casa per ritrovarle nel sonno che, mescolando memoria e immaginazione, prolungava la realtà attraverso il sogno.
Corpo contro corpo nella folla di danzatori, il desiderio bussava alla porta. Poi, all’ultimo tocco di mezzanotte, fu questo bacio che gli fece girare la testa. Ebbro da perdere la ragione. La sete appena placata si esasperò. Altra città: non più colline e alberi corallo, ma assolutamente piatta e salata. Altra epoca: il poeta si è travestito con una divisa da ufficiale… Lei dice: “zombi gustato sale”, senza sapere che stava risuscitando Lazzaro. Ma le ferite dell’amore erano ancora troppo vive.
Dopo la stagione morta, venne il tempo dell’abbondanza. Gli era offerto più di quanto potesse prenderne. Toccava tutto e tutte senza darsi e senza conservare niente. Il gusto gliene è restato per tutta la vita ma anche una insoddisfazione che l’avvenire non potrà colmare. Almeno fino a te.
Venezia e le sue gondole. Il Palazzo dei Dogi e il Ponte dei sospiri. Ieri Rolando Candiano4, oggi Fabrizio del Dongo5. Non bere una chartreuse che sognando Parma. Nuova madeleine6 che ci fa ritrovare il tempo delle meraviglie. Peccati immortali. Innocenza eterna. Ragione ardente e vertiginosa follia. Senza perdere di vista la realtà, percepire ciò che si nasconde dietro le apparenze. Oltre il paradiso perduto, scoprire la terra promessa e conquistarla. Tra il sogno e l’azione, c’è un fossato da superare a rischio di caderci. Il viaggio al termine della notte condurrà alla terra natale dove solo l’arca popolare sarà emersa dal diluvio della rivoluzione.
Dalla città bassa alla alta, dalla Grand’Rue con i suoi ma¬gazzini e le sue case borghesi a Côtes-de-Fer con i suoi dancing e le sue prostitute, dai sargassi maturati dal vento del nord agli alberi corallo i cui fiori rossi cospargono il cammino delle processioni, Boule7-Tonton-Boc o Boule-Bout-Queue era il sovrano del regno dei cani. Ogni pomeriggio un gruppo di monelli gli faceva da codazzo nelle sue prodezze attraverso la città. Piantati sulle loro zampe posteriori, le fauci aperte sulle zanne lucenti, il pelo arruffato e gli occhi lampeggianti, i due lottatori misurano la loro forza e la loro abilità. Più la cosa dura, più la folla si accresce e si eccita come ai tempi dei gladiatori. Lo spettacolo termina sempre con la vittoria di Boule che fa mordere la polvere al suo avversario.
Più tardi, sarà la festa meravigliosa dei combattimenti di galli in campagna. Altrettante valvole di sicurezza ai nostri istinti cannibali fino al giorno in cui avremo infine disimparato la giungla.
La brezza trasportava un profumo di anice stellato. Sceso da cavallo il cavaliere coi baffi si è svestito davanti alla porta ma ha conservato i suoi gambali. Ancora brillo per la sbronza della serata, in mezzo al cortile pieno d’alberi e di uccelli addormentati, è entrato nel catino vuoto riempito dal chiarore della luna. Spruzzato da onde immaginarie, si è messo allora a saltare cantando “a la bondlo se dlo reken”8. Risvegliati, i suoi amici della Grande Penserie9 si sono lan¬ciati tutti all’inseguimento delle sirene di cui uno di loro, poeta, aveva raccontato la leggenda. E le loro voci, mentre bandivano l’inattività e la noia, cambiavano il chiar di luna in acqua di mare in cui si dondolavano i loro sogni come i velieri della rada di Jèrèmie, tra il rosseggiare dei pesci volanti.
Io la rivedo in costume da bagno, vicino al mare, in piedi sulle spalle di suo padre. Le più belle gambe che si possano immaginare. E, con la grazia del musicista, fanciulla dai capelli di lino. Già mi attirava, ma non sapevo ancora di amarla.
Ritornato in vacanza con dei compagni di corso, l’ho rivista ad un ballo di carnevale, gonna corta e scarpe rosse, mentre passa di mano in mano. L’indomani, in kimono variopinto, eccola trasformata in cinese. Io mi sentii di dirle che l’amavo come non avevo mai amato. Lei aveva chiuso i suoi occhi. Corpi uniti nella danza, la fusione delle anime si fece silenzio.
Quando ritornai l’anno successivo, lei danzava nelle braccia del suo fidanzato. Il giorno delle nozze, compresi che non avevo più il suo corpo ma che la sua anima mi apparteneva per sempre. Dieci anni più tardi, pronto infine per una nuova accoglienza all’angelo, scrivevo: “Io ti raggiungo vergine del bacio di Atena”.
Nènel era il capo indiscusso della nostra banda. All’epoca dei film muti che Madame Jules accompagnava al piano, egli inventò il cinema sonoro. Era talmente più vivo ascoltare la sua voce cantare “Sono io Matéo Escalucio”10 che leggere sullo schermo. Ci divideva in banditi e poliziotti ma, come nella vita, era difficile distinguere i buoni dai cattivi: ce n’erano da ambedue i lati. Benché io e mio fratello fossimo il più delle volte in campi opposti, non ci capitava mai di arrivare alle mani fra di noi. Bisognava scalare alti muri o scendere dei pendii scoscesi e lottare nell’arena delle vaste terrazze del caffè per tesori immaginari.
Nènel trionfava sempre. Grande e smilzo, ci dominava al punto che la paura paralizzava i più robusti, fin troppo felici di lasciarsi battere. “Capitano delle sabbie”, correva sulla spiaggia e noi al suo seguito tra i pali del pontile di legno, piantato nel mare. Se si giudicava offeso, delegava uno dei suoi luogotenenti per punire il colpevole. Infagottato nella toga di suo padre, era di volta in volta pubblico ministero o avvocato difensore e il suo eloquio era folgorante. Eroe di un romanzo di avventure, la sua ombra si allunga nella luce della nostra infanzia.
La città è una cattedrale dominata dalle ombre di due poeti: Etzer Vilaire che testimoniò il disastro morale di una generazione; Edmond Laforest che non potè sopravvivere all’onta dell’occupazione.
Tornato di fresco dalle rive della Senna dove gli mancava il calore delle isole, Emile Roumer officia nella nave indigena11. La chiesa è circondata da gendarmi in divisa kaki agli ordini dei “marines” americani, barbari dei tempi moderni partoriti dal “caimano stellato”. Più chiara del bagliore delle baionette nel crepitio delle pallottole, la libertà prende la voce di Jean F. Brierre e la rende immortale. Intorno fluttuano i fantasmi di Robert Lataillade e di Fernand Martineau, morti l’uno a Jèrèmie e l’altro a Cuba di una malattia che non perdona.
Più tardi li raggiungono nella bruma dell’aldilà le figure tragiche di altri poeti di Jèrèmie portati via dalla burrasca che soffia senza tregua da più di un quarto di secolo sul nostro paese: Roland Chassegne e Hamilton Garoute, entrambi scomparsi nel regno dei “macoutes” e, nel ghiaccio dell’esilio, Regnor C. Bernard, l’ultimo in ordine di tempo. Non ne manca che uno per chiudere il cerchio dei “Dix hommes noirs”12
C’era questa giovane donna cernitrice di caffè la cui casacchina blu, tirata al limite del sesso, rivelava delle cosce nere di una bellezza scultorea, cosparse della leggera polvere dei chicchi. Senza averne l’aria, io la seguivo nelle strade, invincibilmente attratto dalle sue lunghe forme esaltanti. L’ho ritrovata in molte città di provincia e, ogni volta, lei mi passava la corda al collo ed io me ne liberavo. Era lì che si faceva la divisione delle acque. Il cavallo indomito si lanciava liberamente nella savana dove cavalcava con la puledra. Il cuore, quanto a lui, era in gabbia; batteva al ritmo di un altro cuore e restava legato all’inaccessibile. Il desiderio si separava così dall’amore per permettermi di vivere corpo e anima o piuttosto il corpo da un lato e l’anima dall’altro. Fino al giorno in cui la straniera simile per razza mi offrì la speranza della loro riconciliazione poi, a causa delle circostanze, me ne privò. Io mi ritrovai di nuovo nel deserto. E’ allora che ti ho incontrato e che la fonte, nuovamente, è scaturita.
La casa di zia Fèfè aveva l’aria di una colombaia. Di giorno, il pianterreno era un alveare ronzante di scolare che bottinavano i primi fiori di un sapere limitato che le preparava al matrimonio o al convento ma le privava di qualunque mezzo per rendere evidente l’uguaglianza dei sessi. Di sera, chiusa la scuola, la vita, come una fiamma nell’ombra, si concentrava al primo piano. Ci si arrivava attraverso un lungo corridoio oscuro e una grande scalinata che girava ad angolo retto e la cui rampa non era più cavalcata da monelli incuranti del pericolo.
Fianco a fianco o l’una sotto l’altra, non so più, si trovavano la camera della zitella, cappella dove si univano solitudine e preghiera, e quella del suo figlio adottivo, rifugio di poeta, battello ebbro13 navigante su onde infrante che finiva per arenarsi sulla sabbia della realtà dove i grappoli dell’amore ridavano il gusto di vivere e, nelle conchiglie marine, soffiava ancora il vento della libertà.
Una finestra si apre sulla città leggendaria: città di luna e di uragani tra la montagna ed il mare, con la sua collana di fiumi, la sua cintura d’arcobaleno e il suo corsetto di pregiudizi, città che il vento del nord delle passioni ha rovesciato, città fantasma dove i bambini, lasciando i loro aquiloni, bruciavano il giudeo14 al sole della irragionevolezza, città degli alberi corallo dell’eroismo, città martire lasciata in balia dei coltelli dagli assassini con gli occhiali neri15, città salvata dalle acque, città-fenice che rinascerà nelle nostre braccia.
Traduzione: Giancarlo Cavallo
1 Letteralmente “casa con balcone”.
2 Corridoio del tesoro, un passaggio molto stretto con le scale che collegano due vie.
3 Giacobbe fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.” (Genesi 28, 12).
4 Figlio del Doge di Venezia, personaggio del film muto del 1921 “Il ponte dei sospiri”.
5 Protagonista del romanzo di Stendhal “La certosa di Parma”.
6 In “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, il sapore della madeleine, riassaporato dopo anni, ricorda al protagonista le giornate d’infanzia.
7 boule o boul può essere in creolo la traduzione di bulldog.
8 che buona acqua è l’acqua dello squalo, detto godendo dell’acqua di uno stagno artificiale, (bacino). Usato per elogiare l’acqua denominandola “l’acqua dello squalo” (acqua salata, oceano).
9 Una casa estiva affittata per stare o pensare insieme.
10 Un bandito gigante in uno dei romanzi di cappa e spada di Michel Zévaco, probabilmente “Le Pont des Soupirs”.
11 Il movimento di indigenista iniziato da Jean Price-Mars.
12 Opera di Etzer Vilaire.
13 Palese riferimento al poema di Arthur Rimbaud.
14 Ogni Venerdì Santo, i giovani bruciavano un effigie dell’ebreo giudicato responsabile della morte del Cristo.
15 Si tratta dei famigerati “tonton macoutes” polizia segreta agli ordini del dittatore Duvalier.
Paul Laraque (in creolo, Pòl Larak) è nato a Jérémie. Haiti, nel 1920. Diplomato all’Accademia militare nel 1941. Ha incontrato André Breton a Port-au-Prince nel 1945. Scrive in francese e in creolo. In esilio a New York dal 1961 al 1986. È stato privato della nazionalità haitiana nel 1964 per attività politiche contro la dittatura dei Duvalier. Professore di francese dal 1966 al 1985 e Segretario Generale dell’Associazione degli scrittori haitiani all’estero dal 1979 al 1986. È stato il primo francofono a ricevere il Premio Casa de las Américas. Il suo secondo esilio è cominciato nel 1991 dopo il colpo di stato militare contro il governo costituzionale e popolare del Presidente Aristide. Ha pubblicato: Ce qui demeure (Montreal 1973), Fistibal (Montreal 1974), Les armes quotidiennes /Poésie quotidienne (L’Avana, 1983), Solda mawon / soldat marron (Port-au-Prince, 1987), Camourade (Willimantic 1988), Le vieux nègre et l’exil (Paris, 1988), Fistibal / Slingshot (Port-au-Prince / San Francisco, 1989). La sua raccolta La sabbia dell’esilio è stata pubblicata dalla Multimedia Edizioni; le traduzioni e la prefazione sono del poeta italiano Giancarlo Cavallo. Laraque è scomparso nel 2007.