Lettura dell’opera poetica di Nohad Salameh, poetessa franco-libanese, una delle voci più importanti della francofonia contemporanea.

« Il me paraît difficile, voire impossible, d’ôter au Poème sa légitimité, laquelle se définit par l’authenticité. C’est à l’intérieur de cette sphère vitale que germe le texte. Hors de ce lieu de vie, toute écriture se réduit à un piétinement morne dans le règne du copié/collé et des métaphores gratuites. Quand on écrit, on s’écrit soi-même, devenant simultanément le moule et le contenu ; notre langage se développe alors au rythme d’une double pulsation : cérébrale et charnelle. » [Mi sembra difficile, se non impossibile, togliere alla Poesia la sua legittimità, che si definisce attraverso l’autenticità. È all’interno di questa sfera vitale che germoglia il testo. Fuori da questo luogo di vita, ogni scrittura si riduce a un triste calpestio nel regno del copia/incolla e delle metafore gratuite. Quando si scrive, si scrive se stessi, diventando simultaneamente stampo e contenuto; il nostro linguaggio si sviluppa al ritmo di una doppia pulsazione: cerebrale e carnale. – N. Salameh in Gwen Garnier-Duguy, Rencontre avec Nohad Salameh, Recours au poème 13 giugno 2014, https://www.recoursaupoeme.fr/rencontre-avec-nohad-salameh/].
Quale modo migliore e più esemplare per iniziare questo tentativo di lettura dell’opera poetica di Nohad Salameh, autrice che non ho finora incontrato personalmente, ma di cui ho conosciuto e tradotto diverse poesie, grazie all’ottima intuizione di Rossella Nicolò, che, attraverso l’incontro virtuale con una donna dalla grande cortesia e disponibilità, ha portato alla pubblicazione in Italia di Il tempo muore delle sue ferite (Gattomerlino edizioni, Roma 2024, traduzione di R. Nicolò e G. Cavallo, postfazione di R. Nicolò; in seguito per brevità Il tempo muore), primo suo libro italiano costituito da inediti assoluti. Considero davvero importante riuscire a diffondere, almeno tra gli appassionati, il dono prezioso di parole e di visioni affascinanti della poesia di questa autrice, un caleidoscopio metamorfico in cui ad ogni piccolo movimento corrisponde un nuovo straordinario immaginario.
Dovendo riassumere in uno spazio circoscritto un’attività poetica che ha attraversato molti decenni e parecchi eventi significativi, proporrò inizialmente delle brevi note bio-bibliografiche che possano orientare il lettore prima di passare alla consueta analisi di qualche testo.
Un’adolescenza levantina
Saïda/Sidon et Baalbek/Heliopolis (Ed. du Cygne, Paris 2024) è fra i libri più recenti di Nohad Salameh e reca come sottotitolo Une adolescence levantine (Un’adolescenza levantina); infatti Nohad è nata a Baalbek nel Libano, e in queste città (le citate Sidon e Baalbek) ricche di importanti reperti archeologici di epoca fenicia e romana (ma con tracce ancora più antiche) si è svolta la sua adolescenza, con un padre, Youssef, archeologo, ma anche poeta in lingua araba e fondatore della rivista letteraria Jupiter, da cui ha ereditato il gusto delle parole e un vitale approccio ai simboli. Scoperta in gioventù da Georges Schéhadé che vide in lei “une étoile prometteuse du surréalisme oriental” (una promettente stella del surrealismo orientale), esordisce con L’Echo des souffles nel 1968. Giornalista dapprima sul quotidiano Le soir, dirige in seguito i servizi culturali di alcuni giornali nel Libano all’epoca così martoriato dalla guerra civile (1975-1990). L’incontro a Beirut con lo scrittore e poeta francese Marc Alyn nel 1972, sconvolgerà la sua vita (come testimonia l’epistolario Ma menthe à l’aube, mon amante : correspondance amoureuse, Marc Alyn, Nohad Salameh, éditions Pierre-Guillaume de Roux, Paris 2019), fino al matrimonio e al trasferimento a Parigi nel1989. È autrice di una ventina di raccolte poetiche, nonché di molti libri d’artista e alcuni saggi, tra i quali segnalerei almeno Rimbaud l’Oriental (Cahiers Poésie Lascours, 1991) e Marcheuses au bord du gouffre (La Lettre volée, Bruxelles 2017) su undici figure tragiche della Letteratura femminile. Il Livre de Lilith (2016), dedicato a Nadja, Camille Claudel ed alle « captives d’alzheimer », costituisce un approccio innovativo alla condizione della donna. Le sue poesie sono state tradotte in arabo, spagnolo, rumeno e serbo, oltre che in italiano.

Questa rapida e incompleta bio-bibliografia può nondimeno risultare utile a comprendere la complessità del vissuto e la rilevanza letteraria di questa scrittrice; tuttavia, come è caratteristica di questa rubrica, essa deve essere integrata da una disamina delle componenti stilistiche e tematiche che ne caratterizzano l’opera, per trovare riscontro a quanto finora detto.
Un legame intimo con la forma
Dal punto di vista formale le sue poesie sono generalmente costituite da versi liberi, talvolta articolati in strofe asimmetriche, mentre tutti i libri presi qui in considerazione (“Le livre de Lilith”, L’atelier du Grand Tétras, Mont de Laval 2016, “Les Eveilleuses”, Idem 2019, e Il tempo muore, cit.), così come Passagère de la durée (Editions Phi, Differdange 2010) sono suddivisi in sezioni composte da sequenze di testi numerati o separati da asterischi, cosa che sembra rivelare l’esigenza di uno sviluppo più ampio, quasi di una struttura narrativa. “Je me prêtais, non sans agrément, à une liaison intime avec la forme, de façon à épouser les divers registres du transfert poétique, en l’occurrence thématique, allant du verset au poème en prose, pratiquant une fusion de la prose poétique et du vers, avant d’aboutir au langage concis , cisaillé de silences. ” (Mi sono prestata, non senza piacere, a un legame intimo con la forma, così da abbracciare i vari registri del transfert poetico, in questo caso tematico, passando dal verso alla poesia in prosa, praticando una fusione di prosa poetica e verso, prima di arrivare al linguaggio conciso, interrotto dai silenzi. – N. Salameh, D’Autres annonciations, Le Castor Astral, Pantin 2012, p. 10)

I principali nodi tematici
I principali nodi tematici sono già emersi, come la forte attenzione alle problematiche femminili – “Personnellement, j’appartiens à la génération des écrivains femmes qui a laissé loin derrière elle les temps d’obscurantisme où le Moi féminin de l’écriture ne pouvait émerger sans se heurter aux limites des interdits et des tabous sociaux.” (Personalmente, appartengo alla generazione degli scrittori donne che ha lasciato lontano dietro di sé i tempi di oscurantismo in cui l’Io femminile della scrittura non poteva emergere senza scontrarsi con i limiti dei divieti e dei tabù sociali. – N. Salameh in Gwen Garnier-Duguy, Rencontre avec Nohad Salameh, cit.); l’appartenenza ad “[…] un surréalisme levantin surgi de mes abysses.” (un surrealismo levantino sorto dai miei abissi; N. Salameh, D’Autres annonciations , cit. p. 10-11) da cui scaturisce una dimensione onirica e ricca di mistero; la doppia nazionalità franco-libanese che provoca “déchirements interminables entre deux langues et une double culture” (lacerazioni interminabili tra due lingue e una doppia cultura; N. Salameh, D’Autres annonciations , cit. p. 10); l’universale sentimento del tempo e la rilevanza del soggetto erotico-amoroso.
Non è dunque un caso che la parola femme (donna, ma anche moglie) sia la più frequente nelle raccolte che ho preso in considerazione (le citate “Il tempo muore”, “Le livre de Lilith”, e “Les Eveilleuses”). Tuttavia, si tratta di una parola troppo generica che richiede di venire posta in contesto per diventare determinante semanticamente; è opportuno, dunque, leggere qualche verso.
Iniziamo dal testo di apertura della prima sezione, intitolata Le livre des présences, di Les Eveilleuses:
De quelle béance
émergent en moi ces présences
sanglot d’oiseau surnaturel
ou lucioles issues d’un monde parallèle ?
Vers quel havre de grâce
progressent ces invisibles
qui remontent le temps sinueux
de la germination
jusqu’au château des vocables
hypnotisées par ma parole
– ces bienveillantes vêtues de fraîche solitude
qui m’apprivoisent dès l’Appel
nues et proches
ainsi qu’un secret ?
[“Da quale vuoto/ emergono in me queste presenze / singhiozzo di uccello soprannaturale/ o lucciole uscite da un mondo parallelo?// Verso quale porto di grazia/ queste invisibili avanzano/ risalendo il tempo sinuoso/ del germogliare/ fino al castello dei vocaboli/ ipnotizzato dalla mia parola/ – queste benevole vestite di fresca solitudine/ che mi vengono incontro dalla Chiamata/ nude e vicine/ come un segreto?” – le traduzioni dal francese, se non specificato diversamente, sono mie]
Una risposta in forma dubitativa si affaccia immediatamente nella prima quartina della poesia successiva:
Seraient-elles le porte-voix de l’autre rive :
femmes d’avant la Chute
d’avant la Faute
à jamais épargnées ?
[Potrebbero essere le portavoci dell’altra riva:/ donne prima della Caduta/ prima della Colpa/ per sempre risparmiate?]

In queste sequenze di versi liberi riscontriamo il valore simbolico, di immagini dell’ispirazione, attribuito a queste presenze.
Les Eveilleuses continua il lavoro iniziato in prosa con Marcheuses au bord du gouffre: infatti nella sezione intitolata Conquérantes sono presentate (starei per dire illustrate) alcune donne celebri (Lou Andreas Salomé, Colette, Karen Blixen, Gabriela Mistral, Simone de Beauvoir, Marguerite Yourcenar, ecc.), mentre in quella conclusiva Vol au-dessus du volcan troviamo quelle travolte dalla vita pur lasciandoci opere indimenticabili (Sibilla Aleramo, Virginia Woolf, Anna Achmatova, Dora Carrington, Cristina Campo, Ingeborg Bachmann, ecc.).
Ma più che un elenco di nomi credo possano illuminarci alcuni attributi relativi alle donne (fermo restando che tutti i titoli/nomi sono accompagnati da perifrasi descrittive, come ad es. “Colette : Les Noces du réel et de l’imaginé” , “Karen Blixen :Shéhérazade des mers de glace”, ecc.): Femmes de plusieurs regards/ et de douleurs fécondes (donne di molteplici sguardi/ e di dolori fecondi); femme plurielle et seule (donna plurale e sola); afin de vous rejoindre femmes-filles/ femmes-sœurs roseraie de blessures (per unirci a voi donne-figlie/donne-sorelle roseto di ferite); Femme aux péchés exquis/ pareille aux orchidées du purgatoire (Donna dai peccati squisiti/ come le orchidee del purgatorio – e qui siamo, come in alcuni esempi precedenti, in pieno Libro di Lilith).
Carole Mesrobian a proposito del Libro di Lilith ci dice, tra l’altro: “Lilith apparaît non plus comme la face noire de la lune, mais comme la part nécessaire à la révélation de la lumière. L’introspection n’est plus ni féminine ni masculine, les clivages sont abrogés, dépassés par la parole de la poète qui en une langue imagée et travaillée de manière à en déployer toutes les potentialités sémantiques permet d’ouvrir la voie à la part d’Humanité que chacun de nous porte.” (Lilith non appare più come la faccia oscura della luna, ma come la parte necessaria per la rivelazione della luce. L’introspezione non è più né femminile né maschile, le differenze sono abrogate, superate dalla parola della poeta che in un linguaggio pittorico e lavorato in modo da dispiegarne tutte le potenzialità semantiche permette di aprire la strada a quella parte di Umanità che ciascuno di noi porta in sé. – Mesrobian C., Nohad Salameh, éponyme au poème in NU(e) numero 74, Nice, novembre 2021, p. 371, https://poezibao.typepad.com/files/nue7427nov—copie.pdf).
Aggiungerei che la sezione L’infini servage de la femme di Les Eveilleuses porta in esergo una citazione da Rimbaud (“Quand sera brisé l’infini servage de la femme,/ quand elle vivra pour elle et par elle, l’homme,/ jusqu’ici abominable,- lui ayant donné son renvoi,/ elle sera poète, elle aussi !), a conferma della rilevanza del poeta di Charleville nell’opera della Salameh, che in questa sezione ci dà una visione crudele delle pratiche odiose che continuano ad essere inflitte ancora oggi a moltissime donne: escissione, uccisione alla nascita delle figlie femmine, femminicidi, ecc.

Nohad Salameh poeta dell’esilio
Ad arricchire ulteriormente la trama del lavoro poetico contribuisce, come è ovvio, il vissuto della nostra autrice, ma la definizione di poeta dell’esilio può avere, nel caso di Nohad Salameh, una doppia valenza:
– quella letterale di una donna andata via nel 1989 dal proprio paese natale, il Libano all’epoca devastato dalla guerra civile (1975-1990) a cui la scrittrice partecipò attraverso la redazione di un giornale di guerra, Les Enfants d’avril (Le Temps Parallèle, 1980) – del quale in occasione della ripubblicazione nell’antologia D’autres annonciations (2012) dice “[…] un langage inhérent à l’inspiration tragique de ce conflit lointain, même s’il se révèle susceptible de s’adapter à la conjoncture actuelle de tant de pays. Dépourvu par nature de frontières, le poème ne s’harmonise-t-il pas avec toutes les différences ? ” (un linguaggio inerente all’ispirazione tragica di quel conflitto lontano, anche se esso si rivela suscettibile di adattarsi alla congiuntura attuale di tanti paesi. Sprovvista per natura di frontiere, la poesia non si armonizza con tutte le differenze?) – e le cronache apparse a Beirut nel quotidiano Le Réveil (Il risveglio) durante gli anni di occupazione siriana, paese, il Libano, coinvolto ancora oggi nella perenne instabilità dell’area mediorientale;
– ma anche quella metaforica (e in tal senso comune all’intera umanità) di un esilio dalla propria infanzia, (dal proprio paradiso terrestre?) che ritorna sotto forma di memoria costellata di alberi (“frutteti immacolati” ad es.), uccelli (moineau, ramiers, ecc.) e oggetti d’affezione (come, ad esempio, le “medaglie di cartone dorato”).
Ancora Nohad, nella citata intervista, ci dice: “Nella mia raccolta Les Lieux visiteurs, il Noi dell’angoscia, di fronte all’esilio e all’erranza imposti dalle mutazioni geografiche, si traduce in alcune interrogazioni più grandi:
Où se situe le Lieu ?
Où commence et finit notre fuite vers le non-dicté
affiché aux portes de l’île ?
Où s’édifie la Résidence : sous la flèche de l’aube
qui déjà nous vit depuis des saisons
ou contre le mur lézardé lorsque le noir
se découpe en palmes bleues ?
[Dove si trova il Luogo?/ Dove inizia e finisce la nostra fuga verso il non detto/ affisso alle porte dell’isola?/ Dove si edifica la Residenza: sotto la freccia dell’alba/ che già ci ha visto da tante stagioni/ o contro il muro incrinato quando il nero/ si taglia in palme blu?]
Questa capacità di trasformare l’esperienza individuale in un sentire universale, senza dissolverne la pregnanza in un generico universalismo, mi sembra una delle qualità che rendono la poesia di Nohad Salameh davvero di primaria grandezza nel panorama internazionale.
Il Tempo, nemico e alleato
Un ruolo fondamentale viene attribuito al Tempo (scelto per il titolo dell’intero libro pubblicato in Italia, costituito da tre sezioni di inediti) nella sua valenza multiforme di – mi si perdoni l’estrema riduttività – nemico e alleato, fondamento dell’edificio del ricordo e dissipatore dell’esistenza (“Quante ore ancora/ all’orologio del cuore?”).
Ad esempio, ne Les Eveilleuses troviamo questi versi a conclusione della sesta poesia della prima sezione:
Grâce à votre médiation
le Temps pulvérisé reconstitue ses marges
de l’alpha à l’oméga.
[Grazie alla vostra mediazione/ il Tempo polverizzato ricostituisce i suoi margini/ dall’alfa all’omega.]
Molti sono gli aggettivi attribuiti al tempo che viene scritto a volte con iniziale minuscola altre con la maiuscola: sinueux, habitable, désaxé, sans mesure, ancora pulverisé, assassiné, inachevé, virtuel, ambigu, soluble, prisonnier, ecc.
Ora incontriamo (in L’infini servage de la femme, III di La malvenue) questi versi:
[…]tandis que sur les deux rives
le temps surgi du Temps
se vide de sa sève.
[mentre sulle due rive/ il tempo sorto dal Tempo/ si svuota della sua linfa]
E in Dames blanches de l’oubli , XII :
Le temps assassiné
qui circule en vos veines
réinvente le temps virtuel.
[Il tempo assassinato/ che circola nelle vostre vene/ reinventa il tempo virtuale]
Da questi tre ultimi brevi estratti si comprendono alcune cose: 1) che effettivamente esiste un “Tempo” e un “tempo”; 2) che il Tempo può essere polverizzato ma che può ricostituirsi; 3) che il tempo può sorgere, nascere, dal Tempo; 4) che il tempo può essere assassinato, metafora del tempo della vita che è stato negato attraverso l’assassinio; 5) che esso ha la capacità di reinventare, dunque è un attore nel senso che agisce; 6) che esiste altresì un tempo virtuale.
La seconda sezione eponima del libro pubblicato in Italia, Le temps meurt de ses propres blessures, ci conferma la notevole complessità di questa figura, che diventa Temps ambigu (ambiguo), Temps soluble (solubile), temps prisonnier de nos rires (prigioniero delle nostre risate), Le Temps se met en marche (Il Tempo si incammina) e infine:
Le Temps demeure éternel
lorsque nous touchons des yeux
le rivage de l’enfance
avec ses vergers immaculés
et ses médailles de carton doré.
Le temps qui meurt de ses propres blessures
lape le lait frais de nos années
de sa langue de sphinge.
È possibile ascoltare alcune poesie (Le temps partagé, Editions d’art FMA 2024) lette dall’autrice al link:

Come è noto, il tempo è uno degli argomenti principali di cui si sono occupati i filosofi di tutti le epoche; forse potremmo far risalire la dicotomia temps/Temps a quella dei greci antichi chrònos/Kairos, o considerare che esiste un tempo circolare o ciclico ed uno lineare, ma anche un tempo virtuale ecc. Mi rendo conto che non può essere questo lo spazio nel quale approfondire tali questioni e le propongo al lettore solo come suggestioni che provengono dai vasti territori nei quali spazia la poesia che stiamo leggendo.

Questa rete incantatrice: tarab, songe, rêverie
Mi sembra essenziale riportare questa dichiarazione della Salameh rilasciata in Recours au poème nel 2014 (Gwen Garnier-Duguy, Rencontre avec Nohad Salameh, cit.) che chiarisce ulteriormente il perimetro all’interno del quale si sviluppa la poetica di questa scrittrice: “[…] ce filet incantatoire fusant des entrailles du texte, que les poètes arabes nomment tarab en raison de cette forme de volupté qu’il procure chez le lecteur. Car toute poésie dénuée de cet élément vital demeure désincarnée, vouée à la décrépitude et à une abstraction décourageante. On comprend pourquoi en Orient la poésie, traditionnellement irriguée par cette luminosité du chant de l’origine, est parvenue à conserver jusqu’à présent ses hauts suffrages, tandis qu’en Occident, elle tend à perdre son pouvoir de fascination.” (questa rete incantatrice che scaturisce dalle viscere del testo, che i poeti arabi chiamano tarab a causa di questa forma di voluttà che procura al lettore. Perché ogni poesia priva di questo elemento vitale rimane disincarnata, votata alla decrepitezza e a un’astrazione scoraggiante. Si comprende perché in Oriente la poesia, tradizionalmente irrigata da questa luminosità del canto dell’origine, sia riuscita finora a conservare i suoi alti consensi, mentre in Occidente tende a perdere il suo potere di fascino.)
Meraviglia e mistero popolano le pagine de Il tempo muore in cui la dimensione onirica fa scaturire personaggi/proiezioni dell’inconscio che si affermano immediatamente grazie all’uso insistito delle maiuscole: la Notte, l’Addormentata, l’Assopita, si presentano agli occhi del lettore già nella prima strofa della poesia inaugurale; basta poi semplicemente scorrere le pagine per trovare la Pattinatrice, la Dormiente, la Visitatrice, gli Impalpabili, ecc. Altri elementi si presentano ancora con iniziale maiuscola, a sottolinearne la capitale importanza: il Libro del tempo circolare, l’Oblio, la Notte profetica, la Follia, ecc.
La Nuit : madone noire sans figure
se mélange au corps de l’Endormie
et d’un trait
d’une touche grasse sans couture
repeint ses paupières en noir
tandis que l’Assoupie
se pare de sa chair d’organza
et s’en va exhumer le soleil du songe
flottant sur l’autre rive.
Nul désordre ni effritement
quand tout devient lisse et apaisé
livré au toucher hâtif de la sphère nocturne.
Métamorphosée par le glissement de la lumière
qui soudain bleuit
et invente ses tours d’ombre,
l’Endormie perce le tulle du cauchemar
en un balancement hâtif de bras
pareil aux ailes de moineaux
palpitantes de frayeur.
[La Notte: madonna nera senza volto/ si fonde con il corpo dell’Addormentata/ e con un tratto/ denso e continuo/ ridipinge le sue palpebre in nero/ mentre l’Assopita/ si veste della sua pelle di organza/ e va a risuscitare il sole del sogno/ che galleggia sull’altra riva.// Nessun disordine né sgretolamento/ quando tutto diventa fluido e tranquillo/ lasciato al tocco rapido della sfera notturna.// Trasformata dal cambiamento della luce/ che all’improvviso diventa blu/ e inventa i suoi giri d’ombra,/ l’Addormentata buca il tulle dell’incubo/ con rapido bilanciamento di braccia/ simile alle ali di passeri/ palpitanti di paura. – da Il tempo muore, cit. pp.10-11, Traduzione R. Nicolò e G. Cavallo]
Possiamo dire che ci troviamo in un vasto territorio onirico in cui si alternano rêve e rêverie (anche se in Nohad il più letterario songe prevale decisamente su rêve), quindi sogno notturno e fantasticheria che si intrecciano molto spesso con la memoria, di modo che ad un’archeologia reale si sovrappone un’archeologia del sé che scava continuamente nel terreno dell’infanzia e dell’adolescenza. Tuttavia, almeno nella terza sezione di Il tempo muore (la bellissima Les lendemains interdits) alla consapevolezza della finitezza della vita umana e alla presenza viva della memoria, fa da contraltare, a più riprese, un anelito di rinascita:
Pourtant
mille naissances se lèvent en leur chair
de jasmin
[Eppure/ mille vite rinascono nella loro carne/ di gelsomino – da Il tempo muore, cit. pp.44-45, Traduzione R. Nicolò e G. Cavallo]
Tu écris que tu renais du corps du poème
de cette durée ambiguë
qui supprime la césure de l’instant ;
[Scrivi che rinasci dal corpo della poesia/ di questa durata ambigua/ che sopprime la cesura dell’istante; – da Il tempo muore, cit. pp.66-67, Traduzione R. Nicolò e G. Cavallo]
Mi piacerebbe concludere con questa immagine di rinascita dal corpo della poesia, che fa di questa poetessa una sorta di fenice (e non è in fondo, consentitemi il gioco di parole, una fenicia?) che continuerà a rinascere nella sua poesia per una umana eternità.
Ma, come giustamente detto da Rossella Nicolò nella sua illuminante postfazione, “[…] il suo simbolismo è un linguaggio cifrato del quale siamo lungi dal possedere tutte le chiavi”. Quindi a noi lettori, come sempre accade accostandosi ad una poesia profonda e stratificata, umanissima e arcana, spetta il compito e il piacere di leggere e rileggere più volte questi versi, ricavandone sempre ulteriori interpretazioni e nuove intense emozioni.
Giancarlo Cavallo
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