Ernesto Cardenal racconta in occasione del centenario della nascita di Pablo Neruda nel corso di Latinoamericapoesia del 2004 il suo rapporto con il grande poeta cileno.
Rafael Alberti racconta la grande emozione provata quando a 15 anni lesse per la prima volta Darío. Anch’io provai lo stesso quando alla stessa età lessi per la prima volta Alberti, Lorca e Neruda.
È un’esperienza indimenticabile quella che si vive quando si scopre per la prima volta una poesia, si incontra un linguaggio diverso al quale non si era abituati,
“Sono più tristi i moli quando attracca la sera” ora non sorprende nessuno, ed è perché il nostro linguaggio è completamente cambiato quando c’è stato il cambiamento di una nuova poesia.
Ma in quel periodo il fatto che la sera del mare attraccasse ad un molo era qualcosa di insolito, e affascinante per noi. Qualcosa che non era stato detto prima, e che per la maggior parte della gente era incomprensibile.
In Messico, il mio maestro Rafael Heliodoro Valle mi raccontò che nella sua gioventù i vecchi non comprendevano la poesia di Darío, quando parlava della Versaille autunnale con “un volgo errante, municipale e rozzo”; o diceva che l’ala del cigno era “eucaristica e lieve”.
Anche quando Neruda dice “le tue dita soavi come l’uva” potrà sembrare ora un paragone di senso comune. Ma benchè sempre ci sia stata l’uva, questo non lo aveva detto nessuno, mi sembra, da quando il mondo è mondo.
Questa fu per me la novità della poesia di Neruda, e il turbamento che provai quando la scoprii per la prima volta in Veinte poemas de amor y una canción desesperada, e poco dopo in Residencia en la tierra; un’esperienza che nella la mia vita non si sarebbe ripetuta.
La mia poesia giovanile fu assoggettata a quella di Neruda, e lui per me fu un idolo letterario. Come molti altri del mio tempo in America e Spagna subii la sua influenza, e fu per me una prodezza liberarmi da essa.
La mia prima uscita dalla provincia fu un lungo viaggio via terra in Messico a 18 anni. Una delle mie illusioni era che lì avrei conosciuto Neruda che era allora Console Generale del Cile, ma nel giungere a Veracruz lessi la notizia che era appena andato via e che cento scrittori gli avevano offerto un banchetto di commiato.
Non mi incontrari con Neruda in Messico, e non mi incontrai con lui dopo in nessuna altra parte perché per tutto il tempo abitammo geografie differenti.
Anni dopo, tornato in Nicaragua, conoscemmo Canto General, la sua grande epica americana, nella quale aveva raggiunto una poesia più concreta, più chiara e piana. E l’altra novità contenuta in essa fu la poesia politica.
In Nicaragua ci fece molto piacere che il Somoza che noi combattevamo fosse combattuto da Neruda, e che esaltasse Sandino, nostro grande eroe nazionale proibito a quei tempi.
In quei giorni cominciavo a scrivere i miei epigrammi politici, che naturalmente non si potevano pubblicare in Nicaragua e li inviai in alcuni paesi dell’America Latina, firmati “Anónimo Nicaragüense”.
Pablo Neruda li pubblicò così firmati nella Gaceta de Chile, che dirigeva, senza sapere chi ne fosse l’autore. È possibile che lo abbia saputo dopo quando io ero più conosciuto.
Fu poco tempo fa, in un recente viaggio in Cile, che il poeta Cesar Soto mi mostrò, nella sua biblioteca di vecchio, i numeri della Gaceta de Chile in cui ero stato pubblicato da Neruda.
Mai mi incontrai con Neruda perché durante quegli anni che vissi in Nicaragua non avevo soldi per viaggiare in nessun paese, neanche in Costa Rica. E per Neruda che viaggiava molto, era vietato il Nicaragua sotto il tenebroso regime di Somoza.
Poi entrai in un monastero trappista; più tardi rimasi in un seminario in Colombia; in seguito rimasi molti anni isolato nella mia isola di Solentiname. Una delle poche volte che interruppi questo isolamento fu per visitare la rivoluzione cubana, e la rivoluzione del Cile con Salvador Allende.
Il giorno che Allende mi ricevette nel palazzo de La Moneda era circondato da giornalisti che erano andati ad intervistarlo perché si era appena saputa la notizia del premio Nobel a Neruda, allora ambasciatore a Parigi.
Mi portarono in quei giorni a visitare la sua casa di Isla Negra, che era chiusa; e gli lasciai un biglietto di congratulazioni in un piccolo negozio lì accanto gestito da persone che si prendevano cura della sua casa.
Non molto tempo dopo nella mia comunità di Solentiname sentimmo da Radio Habana, che era l’unica radio che sentivamo, le notizie terrificanti del bombardamento de La Moneda, e di tutto quello che ne seguì.
Per molto tempo il Cile mi fu vietato. Fino a quando ci fu la resurrezione del Cile, e mi si aprirono le porte di Isla Negra strapiena di statue di prua e barche in bottiglie e conchiglie e mille cose e più di tutte le terre e i mari del mondo; ci fu poi un recital collettivo nella Isla Negra con poeti del Cile e di altri paesi; mi toccò anche di leggere la mia poesia dal balcone di Allende a La Moneda, mentre il pubblico che riempiva la piazza era bombardato con i versi dall’alto.
I partecipanti a quell’evento internazionale che si chiamò “Cile-Poesia”, celebrarono così la liberazione del Cile, e resero un giusto omaggio a Salvador Allende e con lui al massimo cantore del Cile, Pablo Neruda.
Per me la maggiore impresa di Neruda fu l’aver fatto una poesia con linguaggio parlato. Dire quello che in poesia non era stato detto prima, come ad esempio:
È tornato di nuovo ai dormitori solitari,
a mangiare nei ristoranti piatti freddi
Riuscire a fare una poesia con il linguaggio reale, della vita ordinaria, del quotidiano.
Definire questa poesia “prosastica” è cosi assurdo quanto definire così quella di Omero. È pura poesia e non prosa, sebbene scritta con la naturalezza della prosa, per meglio dire del linguaggio parlato. Come quando scrive
Voglio andare
su un tronco, lungo la corrente del Toltén
odoroso, voglio uscire dalle segherie,
entrare nelle taverne con i piedi pieni d’acqua,
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Voglio andare
su un tronco, lungo la corrente del Toltén
odoroso, voglio uscire dalle segherie,
entrare nelle taverne con i piedi pieni d’acqua,
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Voglio andare
su un tronco, lungo la corrente del Toltén
odoroso, voglio uscire dalle segherie,
entrare nelle taverne con i piedi pieni d’acqua
Ma considero che il più importante valore letterario di Neruda sia il suo amore per il popolo. La sua maggiore ispirazione, soprattutto nelle ultime tappe della sua poesia, fu quella che egli definì “la rosa collettiva”.
Il suo impegno politico fu ciò che lo portò a scrivere il genere di poesia che scrisse. Egli stesso dice in una poesia che canta così semplicemente perché canta per tutti.
Dice anche che scrive “per la fratellanza verso chi non conosco”. In un’altra poesia dice che compie il suo destino col suo canto. E in un’altra:
Perché sembra che qualcuno
Abbia bisogno del mio canto
Le sue parole preferite sono “il povero” e “i poveri”. “Poeta figlio di poveri” definì se stesso.
Certo amava la buona vita ma anche e per la stessa ragione la voleva per i poveri e per tutti. Questa fa la chiave della sua militanza nel partito. E io aggiungerei anche la chiave della sua poesia.
E alla fin fine, della sua vita e della sua morte. La sua morte fu in protesta. E con essa si identificò con tutte le vittime di quell’altro 11 settembre.
Ma continua a vivere in noi perché come disse in un verso:
Non termino in me stesso.
Ernesto Cardenal
Traduzione di Raffaella Marzano
Ernesto Cardenal è nato nel 1925 a Granada in Nicaragua. Prete cattolico (poi sospeso a divinis), poeta, co-fondatore della comunità religiosa di Solentiname nel 1979 entrò a Managua con le truppe rivoluzionarie sandinista abbattendo il regime di Somoza e venne nominato ministro della Cultura. Il tema principale dell’opera di Cardenal è l’oppressione nella società contemporanea. In Cardenal il cristianesimo è inteso come denuncia dell’ingiustizia e profezia di riscatto. Tra le sue opere, vanno ricordate: Epigramas (1961), considerato il suo capolavoro; Salmos (1964), parafrasi dei salmi biblici riletti in chiave contemporanea, Oracion por Marilyn Monroe y otros poemas (1965), denuncia dell’alienazione e della mercificazione del mondo capitalistico; El Estrecho Dudoso (1966) e Homenaje a los indios americanos (1969), dedicate al dramma storico degli indios americani; Quetzalcoatl (1988), poema in cui l’evocazione delle antiche civiltà precolombiane diventa una critica alla degradazione dei rapporti umani nel mondo capitalistico; Canto Cosmico, grande ed originale poema del 1992, uno dei più importanti prodotti dalla poesia latino-americana dopo il Canto Generale di Pablo Neruda. L’abilità tecnica e la rilevanza sociale della sua opera hanno contribuito a farlo considerare come uno dei più importanti poeti latino-americani della seconda metà del XX secolo, candidato ripetutamente al Premio Nobel per la Letteratura.
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