Una nuova sopresa per la “poesia della settimana”, dedicata oggi ad uno dei nomi più importanti e prestigiosi della poesia e della cultura nera americana di lingua inglese, Langston Hughes, protagonista di quella Negro Renaissance, di quella Harlem che faceva crescere e diffondeva la cultura nera, poeta, drammaturgo, corrispondente dal fronte dei repubblicani durante la guerra civile in Spagna, grande interprete del legame tra poesia e musica jazz, presenta qui una delle sue poesie più famose insieme ad una formazione jazz diretta da Charlie Mingus, “The Weary Blues / Blues stanco“. Una vera pietra preziosa. La traduzione è di Stefania Piccinato. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
Langston Hughes
Blues di stanchezza
Mormorava un torpido motivo sincopato,
e si cullava a una dolce cantilena –
ho udito un negro che suonava.
A Lenox Avenue l’altra sera
sotto il fioco pallore d’un vecchio lume a gas
pigro oscillava…
pigro oscillava…
al ritmo di quegli stanchi blues.
Con le mani d’ebano a ogni tasto d’avorio
faceva gemere di melodia quel povero pianino.
Oh blues!
Avanti e indietro oscillava sul fragile sgabello
e suonava quell’aria triste e sbrindellata come un pagliaccio musicante.
Dolci blues!
Sgorgati dall’anima d’un nero.
Oh blues!
Con voce profonda di canto e malinconico accento
ho udito il negro cantare, gemere quel vecchio pianoforte:
“Non ho nessuno al mondo,
nessuno tranne me .
Stenderò le rughe della fronte
e gli affanni posero’ sul canterano”.
Tump tump tump faceva a terra il suo piede.
Suono’qualche accordo, e canto’ancora:
“Malinconie di stanchezza:
non mi so rassegnare.
Malinconie di stanchezza:
non mi so rassegnare.
Non sono piu’ felice
e vorrei essere morto”.
Fino a notte alta canto’ sommesso quel motivo.
Le stelle si spensero, e cosi’ la luna.
Il cantante lascio’di suonare e ando’a letto
e nella testa l’eco di quei blues di stanchezza.
Dormì come un sasso, o come uno ch’è morto.
Traduzione di Stefania Piccinato
Langston Hughes
The Weary Blues
Droning a drowsy syncopated tune,
Rocking back and forth to a mellow croon,
I heard a Negro play.
Down on Lenox Avenue the other night
By the pale dull pallor of an old gas light
He did a lazy sway…
He did a lazy sway…
To the tune o’ those Weary Blues.
With his ebony hands on each ivory key
He made that poor piano moan with melody.
O Blues!
Swaying to and fro on his rickety stool
He played that sad raggy tune like a musical fool.
Sweet Blues!
Coming from a black man’s soul.
O Blues!
In a deep song voice with a melancholy tone
I heard that Negro sing, that old piano moan–
“Ain’t got nobody in all this world,
Ain’t got nobody but ma self.
I’s gwine to quit ma frownin’
And put ma troubles on the shelf.”
Thump, thump, thump, went his foot on the floor.
He played a few chords then he sang some more–
“I got the Weary Blues
And I can’t be satisfied.
Got the Weary Blues
And can’t be satisfied–
I ain’t happy no mo’
And I wish that I had died.”
And far into the night he crooned that tune.
The stars went out and so did the moon.
The singer stopped playing and went to bed
While the Weary Blues echoed through his head.
He slept like a rock or a man that’s dead.
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