La prima poesia della settimana del mese di novembre è dedicata ad un poeta “leggendario” Nicanor Parra, giunto oggi all’età di 102 anni. Cileno, fratello maggiore della famosa Violeta Parra, matematico, fisico, inventore dell’antipoesia, ironico, corrosivo, crudele, smitizzante, scandaloso nel mondo sacrale della poesia, utilizzando un linguaggio vicino alla prosa, del parlare quotidiano, costruendo i suoi testi con originalità avvicinandole a forme di conferenze, narrazioni rapporti, lezioni. È considerato da molti uno dei maggiori poeti viventi. La poesia scelta è “Autoritratto / Autorretrato”, la traduzione è tratta da un vecchio e introvabile volume Einaudi curato da Hugo García Robles e Umberto Bonetti e come al solito potete ascoltare la lettura del poeta. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
NICANOR PARRA
Autoritratto
Guardate un po’, ragazzi,
Questo paltò da frate mendicante:
Sono insegnante in un liceo oscuro,
Non ho più voce a furia di lezioni.
(Dopo tutto o dopo niente
Faccio quaranta ore settimanali).
Che vi dice il mio volto schiaffeggiato?
Faccio pena a guardarmi, non è vero!
E cosa vi ispirano queste scarpe da prete
Che sono invecchiate senz’arte né parte.
In relazione agli occhi, da tre metri
Non riconosco la mia stessa madre.
Che mi succede? – Niente!
Li ho rovinati a furia di lezioni:
La poca luce, il sole,
La velenosa luna miserabile.
E tutto ciò, perché!
Per guadagnare un pane imperdonabile
Duro come la faccia del borghese
E con odore e con sapor di sangue.
Perché siamo nati come uomini
Se ci dànno una morte da animali!
Per il troppo lavoro, qualche volta
Vedo nell’aria delle forme strane,
Sento delle corse pazze,
Risate, conversazioni criminali.
Osservate ‘ste mani
E queste guance bianche da cadavere,
Questi pochi capelli che mi restano,
Queste rughe nere ed infernali!
Eppure sono stato come voi,
Giovane, pieno di ideali,
Ho sognato fondendo il rame
E limando le facce del diamante:
Eccomi qui, oggi
Dietro a questo scomodo bancone
Abbrutito dal tambureggiamento
delle cinquecento ore settimanali.
Traduzione di Hugo García Robles e Umberto Bonetti
NICANOR PARRA
Autorretrato
Considerad, muchachos,
Este gabán de fraile mendicante:
Soy profesor en un liceo obscuro,
He perdido la voz haciendo clases.
(Después de todo o nada
Hago cuarenta horas semanales).
¿Qué les dice mi cara abofeteada?
¡Verdad que inspira lástima mirarme!
Y qué les sugieren estos zapatos de cura
Que envejecieron sin arte ni parte.
En materia de ojos, a tres metros
No reconozco ni a mi propia madre.
¿Qué me sucede? -¡Nada!
Me los he arruinado haciendo claes:
La mala luz, el sol,
La venenosa luna miserable.
Y todo ¡para qué!
Para ganar un pan imperdonable
Duro como la cara del burgués
Y con olor y con sabor a sangre.
¡Para qué hemos nacido como hombres
Si nos dan una muerte de animales!
Por el exceso de trabajo, a veces
Veo formas extrañas en el aire,
Oigo carreras locas,
Risas, conversaciones criminales.
Observad estas manos
Y estas mejillas blancas de cadáver,
Estos escasos pelos que me quedan.
¡Estas negras arrugas infernales!
Sin embargo yo fui tal como ustedes,
Joven, lleno de bellos ideales,
Soñé fundiendo el cobre
Y limando las caras del diamante:
Aquí me tienen hoy
Detrás de este mesón inconfortable
Embrutecido por el sonsonete
De las quinientas horas semanales.
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