La poesia della settimana è dedicata ad un brillante e affermato poeta nato a Trinidad ma che vive da molti anni in Gran Bretagna, Roger Robinson. La poesia scelta è “Canzone per Angela / Song for Angela“, registrata nel corso di Napolipoesia nel 2002. La traduzione è di Raffaella Marzano e con Robinson è al pianoforte Gaspare Di Lieto. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
ROGER ROBINSON
Canzone per Angela
Mia madre è una gemella,
o dovrei dire che mia madre
è parte di una coppia di gemelli.
Mia nonna mi diceva
che cantavano insieme.
Mi ha mostrato una loro foto
di quando hanno vinto dei premi.
Quello che la gente non sapeva
era che in realtà
avevano la stessa voce, diceva,
ed insieme
avevano un timbro ossessivo
che colpiva i giudici
ogni volta.
Da bambino
mi ricordo notti assonnate
in piccoli teatri,
dove innalzavano
le loro voci in coro,
i loro tagli afro perfettamente circolari,
che inquadravano le loro facce come aureole.
I loro vestiti dashiki,
come equivalenti di stoffa
delle vetrate dipinte
della Cappella Sistina,
mentre urlavano
il ritornello della melodia folk.
Quando ero adolescente
una mattina le ho viste mentre cucinavano
il pranzo per il weekend di Pasqua.
Mentre affettavano e tagliuzzavano
l’odore di timo fresco
e pesce arrostito
era sospeso nell’aria come foschia,
le ho sentite intonare all’unisono una melodia
senza nessun segnale,
nemmeno uno sguardo,
i loro tagli afro adesso stirati
in caschi lisci come lame di rasoio,
spioventi sulle loro guance
densi e fluidi come inchiostro indiano,
i loro dashiki abbandonati
per mantelli batik, melodie folk rimpiazzate
da inni dal sapore calypso.
Cantarono insieme il loro duetto a dio,
per tre ore, finché il cibo
fu pronto da servire.
Le vidi cantare di nuovo
insieme in quella stanza
quando Angela,
la gemella di mia madre,
il viso sereno
come quello di un neonato
giaceva a letto.
I capelli di mia madre tagliati
corti e grigi per l’età.
I capelli di Angela corti
per la chemio
e grigi per l’età,
tenere la mano di mia madre,
dire di non sentire il dolore
dire di non avere rimpianti
dire addio a tutti,
poi cantare:
“Then sings my soul my saviour god to thee
How great thy art, how great thy art
Then sings my soul, my saviour god to thee
How great thy art, how”
poi lei stringe la mano di mia madre
interrompendola,
e mia madre la guarda
e Angela sussurra che è pronta,
e spinge la testa indietro
sul cuscino
come se si mettesse comoda per il suo viaggio
mentre sorrideva e chiudeva gli occhi.
Oggi questa mattina di Pasqua
mia madre comincia a cucinare il pranzo,
e cerca di mantenere una melodia
malgrado le crepe nella gola,
e sorridendo attraverso le lacrime
si ferma, ricomincia,
cercando di mantenere la melodia
attraverso le lacrime, asciugandole
via dalle guance si ferma.
Ricomincia di nuovo ed io mi unisco
cantando la parte di Angela.
Traduzione: Raffaella Marzano
ROGER ROBINSON
Song for Angela
My mother is a twin,
or should I say my mother
is part of a twin.
My grandmother told me
that they used to sing together.
She showed me a picture
of them winning prizes.
What people didin’t know
is that they actually
had the same voice, she said,
and together,
they had a haunting texture
that would impress the judges
time after time.
As a child
I remember sleepy nights
in small theatres,
where they’d raise
their voices in chorus,
their afros perfectly circular,
framing their faces like halos.
Their dashiki robes,
like the cloth equivalents
of stained glass windows
of the Cistine chapel,
as they belted out
their folk tune chorus.
When I was a teen
one morning I saw them cooking
an easter weekend brunch.
As they diced and chopped
the smell of fresh thyme
and baking fish
hung in the air like mist,
I heard them start a tune together in key,
without any signals,
not even a look,
their afros now straightened out
into razor sharp bobs,
falling at their cheeks
as thick and fluid as indian ink,
their dashikis abandoned
for batik wraps, folk tunes replaced
by hymns with calypso flavour.
They sang their duet to god in unison
for three hours, till the food
was ready to be served.
I saw them sing again,
together in that room
when it seemed Angela,
my mother’s twin,
her face serene
as a newborn baby
lie in bed.
My mother’s hair cropped
short and grey with age.
Angela’s hair short
through chemo
and grey with age,
holding my mother’s hand,
saying she felt no pain
saying she had no regrets
saying goodbye to everyone,
then they sang:
“Then sings my soul my saviour god to thee
How great thy art, how great thy art
Then sings my soul, my saviour god to thee
How great thy art, how”
then she squeezes my mothers hand
stopping her short,
and my mother looks at her
and Angela whispers, shes ready,
and pushes her head back
into her pillow
as if to get comfy for her journey
as she smiled and closed her eyes.
Today this easter morning
my mother starts cooking brunch,
and she’s tryiing to keep a tune
past the cracks in her throat,
and smiling through her tears
she stops, she starts again
trying to keep her tune
past the tears, palming them
off her cheeks she stops.
She starts again and I join in
to sing Angela’s part.
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