Per la poesia della settimana torniamo ad un poeta spagnolo, tra i maggiori della sua generazione, profondamente legato al progetto di Casa della poesia e che di recente è stato nostro ospite, Juan Vicente Piqueras. La poesia scelta è la bellissima “La stanza vuota” (La habitación vacía), dedicata ad un grande poeta spagnolo Carlos Edmundo de Ory fa parte del volume “Vigilia di restare“, pubblicato da Multimedia Edizioni con la traduzione di Raffaella Marzano. La registrazione della bella lettura di Piqueras è stata realizzata a Casa della poesia lo scorso dicembre e la foto di copertina è di Salvatore Marrazzo. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultuta libera, democratica, condivisa.
JUAN VICENTE PIQUERAS
LA STANZA VUOTA
A Carlos Edmundo de Ory in memoriam
Era uno dei tuoi giochi preferiti.
Cosa c’è in una stanza vuota?
domandavi. Noi restavamo in silenzio.
Cosa c’è in una stanza vuota?
Quelli che non conoscevano il gioco
dicevano magari: Niente, e tu dicevi: No.
Niente è niente, ho chiesto cosa.
Finché qualcuno diceva, ad esempio: Silenzio.
E tu dicevi: Sì.
E un altro diceva: Polvere.
E il gioco cominciava a decollare.
Orme di passi sopra il pavimento.
Un fantasma. Una presa. Il foro
d’un chiodo. La penombra.
Il quadrato che lascia sul muro
l’assenza di un quadro. Un filo.
Una lettera per terra.
L’impronta di una mano sulla parete.
Un raggio di sole che entra dalla finestra.
Una ragnatela. Un pezzetto
di carta. Un’unghia. Una formica smarrita.
La musica che arriva dalla strada
(c’è musica senza nessuno che la ascolti?).
Una macchia d’umidità o di fumo.
Scarabocchi o uccelli o nomi
o un disegno di Laura sulla parete.
E tu dicevi sì o no.
Tu lo sapevi. Eri l’inventore del gioco.
Tu già sapevi, Carlos, cosa c’è
nella stanza vuota dove sei appena entrato.
Era uno dei tuoi giochi preferiti.
– Cosa c’è in una stanza vuota?
– Un fantasma.
– L’hanno già detto.
– Sì, ma quello che dico io è un altro.
Traduzione: Raffaella Marzano
JUAN VICENTE PIQUERAS
LA HABITACIÓN VACÍA
A Carlos Edmundo de Ory in memoriam
Era uno de tus juegos preferidos.
¿Qué hay en una habitación vacía?,
preguntabas. Guardábamos silencio.
¿Qué hay en una habitación vacía?
Los que no conocían el juego
tal vez decían: Nada, y tú decías: No.
Nada es nada, he dicho qué.
Hasta que alguien decía, por ejemplo: Silencio.
Y tú decías: Sí.
Y otro decía: Polvo.
Y el juego comenzaba a tomar vuelo.
Unas huellas de pasos en el suelo.
Un fantasma. Un enchufe. El agujero
de un clavo. La penumbra.
El cuadrado que deja en la pared
la ausencia de un cuadro. Un hilo.
Una carta en el suelo.
La huella de una mano en la pared.
Un rayito de sol que entra por la ventana.
Una telaraña. Un trozo
de papel. Una uña. Una hormiga extraviada.
La música que llega de la calle
(¿hay música sin alguien que la escuche?).
Una mancha de humo o de humedad.
Garabatos o pájaros o nombres
o un dibujo de Laura en la pared.
Tú ibas diciendo sí o no.
Tú lo sabías. Eras el inventor del juego.
Tú ya sabías, Carlos, lo que hay
en la habitación vacía donde acabas de entrar.
Era uno de tus juegos preferidos.
– ¿Qué hay en una habitación vacía?
– Un fantasma.
– Ya lo han dicho.
– Sí, pero el que yo digo es otro.
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