Il 6 novembre 2017 la nave spagnola Cantabria attracca al porto di Salerno con quattrocento migranti salvati nel Mediterraneo, a bordo anche 26 cadaveri di donne, “presumibilmente nigeriane” tra i 14 e i 18 anni, presumibilmente annegate: “il barcone è affondato e le donne purtroppo hanno avuto la peggio, in quanto soggetti più deboli”, si legge in un dispaccio dell’ANSA. Quel numero, il 26, diventa il titolo del poemetto di Giancarlo Cavallo: “26. Tribute to the twenty-six dead women“. Dice l’autore: “Se una voce nel cuore della notte, tra veglia e sonno, ti ordina di scrivere, non puoi fare altro che obbedirle. Così, quasi di getto, sono nate le prime due parti e poi, in una specie di trance, sono arrivate le altre. A me non è rimasto che il montaggio e il lavoro di lima. Mi sono anche chiesto se fosse giusto che io, maschio, bianco, agiato, parlassi per loro, donne, nere, spinte dal bisogno ad affrontare un viaggio che comportava un rischio mortale. Ma credo che siano state loro, dopo oltre due anni, quando il silenzio stava per richiudersi, come quel mare fatale, per sempre su di loro, ad avermelo chiesto. Quindi ho scritto per loro, che parlano per tutti noi, chiedendoci di restare umani”. Un canto, un corale, una cerimonia collettiva, un rituale laico. Il bellissimo testo di Giancarlo Cavallo, “26 – Tribute to the twenty-six dead women”, diventato un libro della collana “fatamorgana” della Multimedia Edizioni, accompagnato dai disegni di Emanuela D’Andria (sua l’immagine di copertina) e dalla puntuale postfazione di Gianluca Paciucci, è dedicato alle 26 donne morte nel Mediterraneo e sbarcate a Salerno il 6 novembre 2017 e con esse a tutte le vittime della tragedia immane dell’immigrazione. Da questo straordinario atto d’amore, di compassione e d’accusa, abbiamo estratto questo “Rosario“, 26 grani neri e femmina di un rosario che il poeta vuole sgranare in preghiera laica e perciò religiosissima (Gianluca Paciucci).
La lettura proposta da Giancarlo Cavallo e Raffaella Marzano è stata registrata a Casa della poesia.
GIANCARLO CAVALLO
Rosario
(26 grani neri)
la prima preghiera non ha nome
e neppure parole tra le onde
ma sta chiamando un dio che non risponde;
la seconda preghiera ha gli occhi belli
grandi come la terra che ha lasciato
caldi come quel sole adesso spento;
la terza preghiera ha il ventre gonfio
partorirà soltanto figli morti
lungo il calvario dell’eternità;
la quarta preghiera è già finita
prima d’essere stretta tra le dita
quasi che avesse fretta di passare;
la quinta preghiera sa di sale
ma non conosce vele né cordame
né marinai che possano salvarla;
la sesta preghiera era bugiarda
giurava i suoi vent’anni ed era appena
appena poco più di una bambina;
la settima preghiera nulla chiede
ha finito per credere al destino
che le predisse un giorno uno sciamano;
l’ottava preghiera sta fingendo
d’essere ancora viva e di baciare
l’uomo che l’aspetta in riva al mare;
la nona preghiera parla piano
non vorrebbe svegliare il suo bambino
che dorme dondolato dalla luna;
la decima preghiera è molto triste
sente che il mondo l’ha dimenticata
e finirà sepolta tra i rifiuti;
l’undicesima preghiera è quasi un urlo
un urlo sordo e muto che ha smarrito
la strada soffocata della gola;
la dodicesima preghiera ha gambe forti
che attraversarono foreste e tradimenti
e ora non sanno camminare sulle acque;
la tredicesima preghiera maledice
quelli che l’hanno spinta ad emigrare
spietati signori della guerra e del male;
la quattordicesima preghiera resta al buio
perché non riesce più ad aprire gli occhi
troppo è stato l’orrore da vedere;
la quindicesima preghiera chiede perdono
per tutto il male che pensava di fare
per tutto il bene che credeva di rubare;
la sedicesima preghiera vuol fuggire
ma non ha più la forza per nuotare
perché da troppo le manca il respiro;
la diciassettesima preghiera sta ridendo
come succede a chi è vinto dal terrore
e non controlla più le sue reazioni;
la diciottesima preghiera ancora spera
d’avere un giorno una vita migliore
o almeno di morire in santa pace;
la diciannovesima preghiera è un po’ confusa
balbetta biascica confonde le parole
come se avesse sabbia nella testa;
la ventesima preghiera era ribelle
non voleva un tiranno per marito
non calava per prima mai lo sguardo;
la ventunesima preghiera era distratta
forse inseguiva un sogno o un desiderio
o non avrebbe mai voluto essere là;
la ventiduesima preghiera non amava
rimanere in balia della fortuna
seme di mela sputato sulla strada;
la ventitreesima preghiera avrebbe voluto
essere almeno la prima della fila
ma era davvero troppo povera e affamata;
la ventiquattresima preghiera non crede in dio
ma ha troppa paura dei preti e dei parenti
per confessarlo senza timore ai quattro venti;
la venticinquesima preghiera pensò per un momento
d’essere l’ultima quella che avrebbe detto
adesso basta ora finisce qui il sacrificio;
la ventiseiesima preghiera non si illuse
no, non si illuse nemmeno per un momento:
se nasci donna non avrai mai scampo
la moneta ha due teste
e tu la croce.
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