Ci rituffiamo nel vasto archivio sonoro di Casa della poesia per presentare una poesia della settimana che ci porta sia nel passato e, in un certo senso, nell’attualità. La grande passione per la poesia russa del Novecento ci porta a leggere e ad ascoltare con grande emozione la voce di Anna Achmatova, nata ad Odessa (ora città dell’Ucraina ancora sotto attacco). Nel 1937, negli anni terribili del terrore staliniano (ežovščina), Lev figlio di Anna Achmatova e del poeta Nikolaj Gumilëv (fucilato nel 1921 per attività antigovernative), viene rinchiuso nel carcere delle Croci (Kresty) di Leningrado. Per diciassette mesi Anna vi si reca quasi tutte le mattine per averne notizie, fa la fila per intere giornate insieme a centinaia di altre donne, nel gelo, nel silenzio. Poi, scrive l’Achmatova: «Una volta qualcuno mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavamo sussurrando: «Ma lei questo può descriverlo?». E io dissi: «Posso». Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era il suo volto». Quella domanda e quella risposta diventata poi leggendaria “Могу – Posso”, sono l’essenza della poesia. Nasce così Requiem, probabilmente il suo capolavoro, il dramma di un popolo in 12 canti. Si tratta di un piccolo gioiello che vogliamo condividere con tutti gli amici di Casa della poesia e coloro che seguono Potlatch. La traduzione è di Michele Colucci (dal volume Einaudi La corsa del tempo). Ecco la Russia che amiamo e che appartiene a tutti noi. Prosegue l’impegno di Potlath e di Casa della poesia per una cultura libera, democratica, accessibile, condivisa.
Anna Achmatova
REQUIEM
Epilogo
1
Ho appreso come si infossano i volti,
come dalle palpebre si affaccia la paura,
come traccia il dolore sulle gote
rigide, cuneiformi pagine,
come d’un tratto, da cinerei o neri
i riccioli diventano d’argento,
su labbra docili appassisce il sorriso
e in un arido ghigno trema lo spavento.
E non per me sola prego,
ma per quanti erano là con me,
nel freddo crudele, nell’afa di luglio,
sotto la rossa, accecata muraglia.
2
L’ora del suffragio di nuovo è giunta,
io vi vedo, io vi ascolto, io vi sento:
quella che a stento spinsero al vetro
quella che non calpesta il suolo natio,
e quella che disse, scuotendo il bel capo:
«Vengo qui come a casa».
Le volevo tutte chiamare per nome,
ma han preso l’elenco, e non so come fare.
Coi poveri suoni che ho inteso da loro
per loro ho intessuto un largo manto.
Le ricorderò sempre e in ogni dove,
non le scorderò neanche in nuove sventure,
ma se tapperanno la bocca straziata
con cui un popolo di centinaia di milioni grida,
mi commemorino loro allo stesso modo,
la vigilia del mio giorno di suffraggio.
E se un dì pensassero in questo paese
di erigermi un monumento,
acconsento ad essere celebrata
ma solo ad un patto: non porre la statua
accanto al mare dove nacqui –
col mare ho reciso l’estremo legame –
o nel parco dello zar, presso il fatale ceppo
dove mi cerca l’ombra sconsolata,
ma qui, dove stetti trecento ore e dove
non mi apersero i chiavistelli.
Perché anche nella beata morte temo
di scordare un rombo di nere marúsi,
di scordare come l’odiosa porta sbatteva
e – bestia ferita – una vecchia ululava.
E dalle immote, bronzee palpebre
la neve sciolta scorra come lacrime,
e il colombo del carcere tubi di lontano,
e vadano le navi placide sulla Nevà.
Marzo 1940, Casa della Fontanka.
Traduzioni: Michele Colucci
Анна Ахматова
РЕКВИЕМ
Эпилог
1
Узнала я, как опадают лица,
Как из-под век выглядывает страх,
Как клинописи жесткие страницы
Страдание выводит на щеках,
Как локоны из пепельных и черных
Серебряными делаются вдруг,
Улыбка вянет на губах покорных,
И в сухоньком смешке дрожит испуг.
И я молюсь не о себе одной,
А обо всех, кто там стоял со мною
И в лютый холод, и в июльский зной
Под красною, ослепшею стеною.
2
Опять поминальный приблизился час.
Я вижу, я слышу, я чувствую вас:
И ту, что едва до окна довели,
И ту, что родимой не топчет земли,
И ту, что, красивой тряхнув головой,
Сказала: «Сюда прихожу, как домой».
Хотелось бы всех поименно назвать,
Да отняли список, и негде узнать.
Для них соткала я широкий покров
Из бедных, у них же подслушанных слов.
О них вспоминаю всегда и везде,
О них не забуду и в новой беде,
И если зажмут мой измученный рот,
Которым кричит стомильонный народ,
Пусть так же они поминают меня
В канун моего поминального дня.
А если когда-нибудь в этой стране
Воздвигнуть задумают памятник мне,
Согласье на это даю торжество,
Но только с условьем — не ставить его
Ни около моря, где я родилась:
Последняя с морем разорвана связь,
Ни в царском саду у заветного пня,
Где тень безутешная ищет меня,
А здесь, где стояла я триста часов
И где для меня не открыли засов.
Затем, что и в смерти блаженной боюсь
Забыть громыхание черных марусь,
Забыть, как постылая хлопала дверь
И выла старуха, как раненый зверь.
И пусть с неподвижных и бронзовых век,
Как слезы, струится подтаявший снег,
И голубь тюремный пусть гулит вдали,
И тихо идут по Неве корабли.
Март 1940
Фонтанный Дом
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