La poesia della settimana è dedicata ad una meravigliosa poetessa boliviana che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e di ospitare anni fa, Blanca Wiethüchter e che purtroppo ci ha lasciato nel 2004. La poesia scelta è “L’irrequietudine / El desasosiego“, la traduzione di Martha L. Canfield, la registrazione realizzata nel corso di Latinoamericapoesia nel 1998 a Casa della poesia. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera, democratica, condivisa.
Blanca Wiethüchter
L’irrequietudine
Sarà stato dopo che ho conosciuto il mare
che la bambina che fui
raccolse una pietra dall’acqua.
Quella pietra
sconosciuta e verbale
mi possiede
come un sole prigioniero
con un fulgore
di territorio a lungo ricercato.
Quella pietra
come carbone per via del nero
come carbone perché bruciante
come carbone per via della cenere.
Quella pietra
rozza
ardua nella memoria
diventò fuoco nel toccarla
e fu senza saperlo
un bagliore lontano
del cristallo della morte
il dono della vita
l’albero del cammino.
Ma esiste forse il fuoco per me?
– domandai allora.
Mi guardai intorno.
Un silenzio muto
cercandomi
osservando con occhi di viva luce.
Ed ebbi paura
perché sono donna, credo.
Perché non sapevo chi fossi io
né chi sarei stata
né sapevo dire, e neanche ridere
né stancarmi
soltanto percepire
il rigore della fiamma
che annuncia il deserto.
Attesi un segnale
un segno, un sogno, una cometa
per mettermi in moto, mi dissi
senza perdere di vista
la follia del fuoco:
quella pietra
nelle mie mani.
Ed era illuminare
con un lampo
un abisso
ed era scendere
e forgiare
e salire
soltanto per poter morire
insieme al fulgore di quella luce
resa prigioniera.
Traduzione: Martha L. Canfield
Blanca Wiethüchter
El desasosiego
Sería después de conocer el mar
que la niña que fui
cogió una piedra del agua.
Esa piedra
desconocida y verbal
me posee
como un sol cautivo
con un fulgor
de país largamente buscado.
Esa piedra
como un carbón por lo negro
como un carbón por lo quemante
como un carbón por la ceniza.
Esa piedra
tosca
ardua en la memoria
se hizo fuego al tacto
y fue sin saberlo
un resplanador lejano
del cristal de la muerte
el don de la vida
el árbol del camino.
¿Y existe acaso el fuego para mí?
– pregunté entonces.
Miré alrededor.
Un silencio mudo
buscándome
observando con ojos de viva luz.
Y me dio miedo
porque soy mujer, creo.
Porque no sabía quién era yo
ni quién sería
ni sabía decir, ni tampoco reír
ni cansarme
sólo percibir
el rigor de la llama
anunciando el desierto.
Esperé una señal
un signo, un sueño, un cometa
para echar a andar, me dije
sin quitar el ojo
a la locura del fuego:
esa piedra
entre mis manos.
Y era alumbrar
con un relámpago
un abismo
y era bajar
y forjar
y subir
tan sólo para poder morir
junto al fulgor de esa luz
en cautiverio.
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