Prosegue il nostro impegno di solidarietà e fratellanza, vicini a tutti i resistenti degli Stati Uniti che combattono il razzismo, le discriminazioni, le prevaricazioni, la povertà, con una poesia di Devorah Major, grande amica di Casa della poesia. Scrive Genny Lim che “queste poesie sono dirette e provengono dal corpo e dall’anima per aprire i nostri cuori alla consapevolezza del razzismo che ci separa come esseri umani e della violenza che ci disumanizza». Devorah Major dà voce ai più deboli e dimenticati, ai migranti, alla “razza mista / mixed breed”, a quelli che prima poi, nonostante il razzismo e il fascismo crescente, “erediteranno questa terra”. È importante in questi giorni di resistenza alla barbarie ascoltare questa testimonianza di una protagonista della poesia e della cultura americana. In questa pagina: il testo originale, la traduzione di Raffaella Marzano e la bella lettura di Devorah Major. La foto di copertina è di Salvatore Marrazzo, il fotografo dei poeti. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
Devorah Major
razza mista
io parlo per gli impuri
i mezzosangue
gli altri
quelli di colore.
segnati dal nostro aspetto
definiti dal nostro colore
temuti per il nostro spirito.
non fummo i primi,
ma ancora, nel sangue,
portiamo la madre del Kilimangiaro
e sopravviviamo.
castano chiaro, cannella, rame,
caffè e latte, zenzero, bruni
non abbiamo nessun continente
ma li rivendichiamo tutti.
ambra, ecru, oro
oliva, scuri, con sfumature
questo è per la tribù
che non può essere contata
sulle dita di una mano.
per quelli che non hanno una sola patria
e non possono reclamare alcuna proprietà aborigena,
gli impuri
i mezzosangue
gli altri.
la passione per l’esplorazione
i profitti della guerra
il bottino dello stupro
il conforto dell’amore
il pus del rifiuto.
noi siamo ripudiati da tutti
persino, a volte, da noi stessi
come i qualcos’altro
e i qualcosa di più
e i non proprio
e i mai abbastanza.
quelli che odi
quelli che ami
quelli coi quali
hai lottato per una eternità
quelli che non fanno trattati.
chiamateci arabi
i nostri nasi, i capelli e la pelle cantano africa
i nostri nasi, la pelle e i capelli echeggiano le montagne del caucaso
i nostri capelli, la pelle e i nasi dichiarano india
chiamateci arabi
chiamateci indiani
i nostri petti, i piedi e le guance cantano mongoli
i nostri petti, i piedi e le guance sputano ariani
i nostri petti, i piedi e le guance ricordano etiopia
chiamateci indiani
chiamateci creoli
le nostre anche, i fianchi, le mascelle hanno ritmo francese
le nostre anche, i fianchi, le mascelle mordono choctaw
le nostre anche, i fianchi, le mascelle parlano fulani
chiamateci creoli
portoricani a new york
pakistani a tehran
algerini a parigi
bengali a hong kong
chiamateci di colore
non voi
uno di loro
un altro
nessuna tribù
nessuna patria
nessuna àncora
nessun legame.
una razza umana,
che sanguina rosso
piange sale
mostra i lividi
rivela le vene
di tutti i nostri antenati.
chiamateci nocepesca
pieni di succo, dolci e sodi
il nostro seme, grande e duro
come la nostra storia
come le nostre radici.
chiamateci sorella
chiamateci fratello
chiamateci dei vostri
o non.
chiamateci spick
chiamateci wet back
chiamateci kaffir
chiamateci cani
chiamateci scarafaggi
chiamateci iguana del millennio
chiamateci sopravvissuti
o non.
allontanatevi, cercate di dimenticare
disprezzate la parte di voi che noi non siamo
negate la parte di voi che noi siamo
guardate le nostre risate
lasciate che vi perseguitino.
chiamateci domani,
che è il nostro nome.
non avete scelta
dovunque vi volgiate
ci confondiamo con voi.
e allora chiamateci, chiamateci
come volete
chiamateci come potete.
poi guardate nello specchio
e ascoltate la nostra fervente risposta.
Traduzione: Raffaella Marzano
Devorah Major
mixed breed
i speak for the impure
the cross-bred
the other than
the coloreds.
marked by our cast
defined by our tint
feared for our spirit.
we were not first,
but we still hold
the mother of kilimanjaro
in our blood, and we endure.
auburn, cinnamon, copper
cafe au lait, ginger, dun
we have no one continent
but we claim them all.
amber, ecru, gold
olive, dusky, shaded
this is for the tribe
that cannot be counted
on the fingers of one hand.
for those who have no single land
and can claim no aboriginal homestead,
the impure
the cross-bred
the other than.
the passion of exploration
the profits of war
the bounty of rape
the solace of love
the pus of denial.
we are repudiated by all
even, at times, ourselves
as the something else
and the something more
and the not really
and the never enough.
the ones you hate
the ones you love
the ones with whom
you have warred for eons
the ones who make no treaties.
call us arab
our noses, hair and skin chant africa
our noses, skin, and hair resonate caucus mountains
our hair, skin, and noses intimate india
call us arab
call us indian
our breasts, feet, and cheeks sing mongols
our breasts, feet, cheeks, spit aryan
our breasts, feet, cheeks, remember ethiopia
call us indian
call us creole
our hips, waist, jaw swings of frenchness
our hips, waist, jaw bite of choctaw
our hips, waist, jaw speak of fulani
call us creole
puerto rican in new york
pakistani in tehran
algerian in paris
bengali in hong kong
call us colored
not you
one of them
an other
no tribe
no homeland
no anchor
no bond.
a human breed,
bleeding red
crying salt
showing bruises
revealing the veins
of all our ancestry.
call us nectarines
juice full, sweet and firm
our pit, large and hard
like our history
like our roots.
call us sister
call us brother
call us yours
or don’t.
call us spick
call us wet back
call us kaffir
call us dog
call us cockroach
call us iguana of the millennium
call us survival
or don’t.
turn away, try to forget
scorn the part of you we are not
deny the part of you we are
see our laughter
let it haunt you.
call us tomorrow,
that is our name.
you have no choice
everywhere you turn
we are mixed up with you.
so call us, call us
what you will
call us how you may.
then look in the mirror
and hear our fervent answer.
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