La poesia della settimana ripropone, per tutti gli amici e gli appassionati, un testo importante e una lettura straordinaria: “Borges y yo” (Borges e io) di Jorge Luis Borges, uno dei più grandi, amati e discussi scrittori del Novecento. La traduzione è di Domenico Porzio (I Meridiani Mondadori) e potete come al solito leggere anche il testo originale, ma soprattutto ascoltare la voce del geniale scrittore argentino. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
Jorge Luis Borges
Borges e io
All’altro, a Borges, accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e indugio, forse ormai meccanicamente, a guardare l’arco di un androne e la porta che dà a un cortile; di Borges ho notizie attraverso la posta e vedo il suo nome in una terna di professori o in un dizionario biografico. Mi piacciono gli orologi a sabbia, le mappe, la stampa del secolo XVIII, il sapore del caffè e la prosa di Stevenson; l’altro condivide queste preferenze, ma in un modo vanitoso che le muta negli attributi d’un attore. Sarebbe esagerato affermare che la nostra relazione è di ostilità; io vivo, mi lascio vivere, perché Borges possa tramare la sua letteratura, e questa mi giustifica. Non ho difficoltà a riconoscere che ha dato vita ad alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perché ciò che v’è di buono non appartiene a nessuno, neppure all’altro, ma al linguaggio o alla tradizione. D’altronde, io son destinato a perdermi, definitivamente, e solo qualche istante mio potrà sopravvivere nell’altro. A poco a poco vado cedendogli tutto, sebbene conosca la sua perversa abitudine di falsificare e ingigantire. Spinosa intese che tutte le cose vogliono perseverare nel loro essere; la pietra eternamente vuol essere pietra e la tigre, tigre. Io resterò Borges, non in me (seppure sono qualcuno), ma mi riconosco meno nei suoi libri che in molti altri o nell’elaborato arpeggio d’una chitarra. Anni addietro cercai di disfarmi di lui e passai dalle mitologie dei sobborghi ai giuochi col tempo e con l’infinito, ma codesti giuochi ormai sono di Borges e dovrò ideare altre cose. Così la mia vita è una fuga e io perdo ogni cosa e tutto è dell’oblio, o dell’altro.
Non so chi dei due scrive questa pagina.
Traduzione di Domenico Porzio
Jorge Luis Borges
Borge y yo
Al otro, a Borges, es a quien le ocurren las cosas. Yo camino por Buenos Aires y me demoro, acaso ya mecánicamente, para mirar el arco de un zaguán y la puerta cancel; de Borges tengo noticias por el correo y veo su nombre en una terna de profesores o en un diccionario biográfico. Me gustan los relojes de arena, los mapas, la tipografía del siglo XVII, las etimologías, el sabor del café y la prosa de Stevenson; el otro comparte esas preferencias, pero de un modo vanidoso que las convierte en atributos de un actor. Sería exagerado afirmar que nuestra relación es hostil; yo vivo, yo me dejo vivir para que Borges pueda tramar su literatura y esa literatura me justifica. Nada me cuesta confesar que ha logrado ciertas páginas válidas, pero esas páginas no me pueden salvar, quizá porque lo bueno ya no es de nadie, ni siquiera del otro, sino del lenguaje o la tradición. Por lo demás, yo estoy destinado a perderme, definitivamente, y sólo algún instante de mí podrá sobrevivir en el otro. Poco a poco voy cediéndole todo, aunque me consta su perversa costumbre de falsear y magnificar. Spinoza entendió que todas las cosas quieren perseverar en su ser; la piedra eternamente quiere ser piedra y el tigre un tigre. Yo he de quedar en Borges, no en mí (si es que alguien soy), pero me reconozco menos en sus libros que en muchos otros o que en el laborioso rasgueo de una guitarra. Hace años yo traté de librarme de él y pasé de las mitologías del arrabal a los juegos con el tiempo y con lo infinito, pero esos juegos son de Borges ahora y tendré que idear otras cosas. Así mi vida es una fuga y todo lo pierdo y todo es del olvido, o del otro.
No sé cuál de los dos escribe esta página.
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