La poesia della settimana è dedicata ad un poeta che in America Latina è stato “leggendario”, Nicanor Parra, scomparso nel 2018 a 103 anni. Cileno, fratello maggiore della famosa cantautrice, Violeta Parra, matematico, fisico, inventore dell’antipoesia, ironico, corrosivo, crudele, smitizzante, scandaloso nel mondo sacrale della poesia, utilizzando un linguaggio vicino alla prosa, del parlare quotidiano, costruendo i suoi testi con originalità avvicinandole a forme di conferenze, narrazioni rapporti, lezioni. È considerato da molti uno dei maggiori poeti latinoamericani. La poesia scelta è “È oblio / Es olvido”, la traduzione di Ugo García Robles e Umberto Bonetti, è tratta dal volume Einaudi “Antipoesie”. Come al solito è possibile leggere, insieme alla traduzione, il testo originale e soprattutto ascoltare la voce di Parra, tratta da un vecchio disco cileno. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
Nicanor Parra
È oblio
Giuro che non ricordo neanche il nome
Ma morirò chiamandola Maria,
Non per semplice capriccio di poeta:
Per il suo aspetto da piazza di provincia.
Che tempi! Io uno spaventapasseri,
Lei una ragazza pallida e triste.
Al ritorno una sera dal Liceo
Seppi della sua morte immeritata,
Notizia che mi causò tanta amarezza
Che versai una lacrima sentendola.
Una lacrima, sì, è cosa da non crederci!
E dire che sono pieno di energia.
Se devo dare credito a quello che diceva
La gente che mi diede la notizia,
Devo credere, senza esitazione,
Che morì col mio nome dentro agli occhi,
Cosa che mi sorprende, perché mai
Fu per me qualcos’altro che un’amica.
Mai ebbi con lei altro che semplici
Relazioni di stretta cortesia,
Nient’altro che parole su parole
Ed alcune menzioni alle rondini.
La conobbi al mio paese (del quale
Resta un pugno di cenere soltanto),
Ma non le vidi mai altro destino
Che essere giovane triste e pensierosa.
Tanto che arrivai al punto di trattarla
Con il celeste nome di Maria,
Circostanza che prova chiaramente
La precisione della mia dottrina.
Forse una volta sola l’ho baciata,
Chi è quello che non bacia le sue amiche!
Ma tenete presente che lo feci
Senza pensare a quello che facevo.
Non negherò, questo sì, che mi piaceva
La sua immateriale e vaga compagnia
Che era come lo spirito sereno
Che i fiori domestici vivifica.
Io non posso tacere in nessun modo
L’importanza che ebbe il suo sorriso
Né trascurare il positivo influsso
Che fin sulle pietre esercitava.
Aggiungiamoci poi che della notte
Furono i suoi occhi fonte fededegna.
Ma nonostante tutto, è necessario
Che comprendiate che l’amavo solo
Con un affetto vago come quello
Con cui si parla di un parente infermo.
Eppure è capitato, ciò malgrado,
E ancor oggi mi desta meraviglia,
Quest’inaudito e singolare esempio
Di morire col mio nome dentro agli occhi,
Lei, molteplice rosa immacolata,
Lei che era una luce genuina.
Ha ragione, ben ragione, chi continua
A lamentarsi sempre notte e giorno
Che il mondo traditore in cui viviamo
Vale di meno che una ruota ferma:
Molto più onorevole è una tomba,
Vale di più una foglia ammuffita,
Qui non c’è verità, niente perdura,
Neanche la lente attraverso cui guardiamo.
Oggi è un giorno di primavera,
Credo che morirò di poesia,
Di quella ragazza malinconica
Non mi ricordo neanche il nome.
So solo che passò per questo mondo
Come una colomba fuggitiva:
La dimenticai senza volerlo, lentamente,
Come tutte le cose della vita.
Traduzione di Ugo García Robles e Umberto Bonetti
Nicanor Parra
Es olvido
Juro que no recuerdo ni su nombre,
Mas moriré llamándola María,
No por simple capricho de poeta:
Por su aspecto de plaza de provincia.
¡Tiempos aquellos!, yo un espantapájaros,
Ella una joven pálida y sombría.
Al volver una tarde del liceo
Supe de la su muerte inmerecida,
Nueva que me causó tal desengaño
Que derramé una lágrima al oírla.
Una lágrima, sí, ¡quién lo creyera!
Y eso que soy persona de energía.
Si he de conceder crédito a lo dicho
Por la gente que trajo la noticia
Debo creer, sin vacilar un punto,
Que murió con mi nombre en las pupilas,
Hecho que me sorprende, porque nunca
Fué para mí otra cosa que una amiga.
Nunca tuve con ella más que simples
Relaciones de estricta cortesía,
Nada más que palabras y palabras
Y una que otra mención de golondrinas.
La conocí en mi pueblo (de mi pueblo
sólo queda un puñado de cenizas),
Pero jamás vi en ella otro destino
Que el de una joven triste y pensativa.
Tanto fué así que hasta llegué a tratarla
Con el celeste nombre de María,
Circunstancia que prueba claramente
La exactitud central de mi doctrina.
Puede ser que una vez la haya besado,
¡Quién es el que no besa a sus amigas!
Pero tened presente que lo hice
Sin darme cuenta bien de lo que hacía.
No negaré, eso sí, que me gustaba
Su inmaterial y vaga compañía
Que era como el espíritu sereno
Que a las flores domésticas anima.
Yo no puedo ocultar de ningún modo
La importancia que tuvo su sonrisa
Ni desvirtuar el favorable influjo
Que hasta en las mismas piedras ejercía.
Agreguemos, aun, que de la noche
Fueron sus ojos fuente fidedigna.
Mas, a pesar de todo, es necesario
Que comprendan que yo no la quería
Sino con ese vago sentimiento
Con que a un pariente enfermo se designa.
Sin embargo sucede, sin embargo,
Lo que a esta fecha aún me maravilla,
Ese inaudito y singular ejemplo
De morir con mi nombre en las pupilas,
Ella, múltiple rosa inmaculada,
Ella que era una lámpara legítima.
Tiene razón, mucha razón, la gente
Que se pasa quejando noche y día
De que el mundo traidor en que vivimos
Vale menos que rueda detenida:
Mucho más honorable es una tumba,
Vale más una hoja enmohecida,
Nada es verdad, aquí nada perdura,
Ni el color del cristal con que se mira.
Hoy es un día azul de primavera,
Creo que moriré de poesía,
De esa famosa joven melancólica
No recuerdo ni el nombre que tenía.
Sólo sé que pasó por este mundo
Como una paloma fugitiva:
La olvidé sin quererlo, lentamente,
Como todas las cosas de la vida.
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