Il nuovo appuntamento con “la poesia della settimana” è dedicato a Tony Harrison un poeta britannico che abbiamo la fortuna di avere tra gli amici più affezionati di Casa della poesia. Ospite generoso e compagno di viaggio straordinario, Harrison, famoso ed apprezzato in tutto il mondo, ci ha offerto in questi anni letture memorabili. Vi proponiamo una delle sue poesie più note e a lui più care “I cicli di Donji Vakuf”. La traduzione è di Massimo Bacigalupo. che scrive in una sua prefazione di poesia «come saggio, racconto, ragionamento. Come le sue poesie giornalistiche sono destinate non alla terza ma alla prima pagina, così tutta la sua opera vuole essere letta come comunicazione di esperienze e scoperte e letture, luoghi e persone. Leggendo Harrison, abbiamo a che fare con dei realia. Il poeta come corrispondente dal fronte (Iraq, Bosnia) e come storico e coscienza della sua epoca.». Potete leggere la versione originale di “I cicli di Donji Vakuf”, la traduzione e ascoltare l’intensa lettura del poeta registrata nel corso di Napolipoesia nel 2002. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
TONY HARRISON
I cicli di Donji Vakuf
Prendiamo la via Smeraldo per Bugojno, poi l’Opale
fino a Donji Vakuf, dove i kalashnikov sparano
sui Serbi in ritirata o verso il cielo in gloria
per far rullare i tamburi plumbei della vittoria.
Ancora una volta le case – serbe, eccezionalmente –
vengono ridotte a facciate bucherellate.
Oggi è il turno dei Bosniaci maomettani
di «pulire» città occupate, saccheggiare e bruciare.
Donji Vakuf è caduta ieri alle ventitre.
Annunciano la vittoria scaricando i mitra in aria
per il Dio a cui pensano di doverla.
Vedo vincitori cavalcare per la strada
su biciclette troppo piccole. Sono così gloriosi
e grossi che ogni veicolo sarebbe povera cosa,
uno però inforca il triciclo di un bambino,
ha le ginocchia sotto il mento e un mandolino,
anch’esso piccolo, legato alla sella,
che gli batte la coscia mentre pedala.
Mitragliatore e mandolino inceppano
i suoi movimenti, e rallentano la marcia
del vincitore grosso e instivalato,
così vinto da un triciclo rubato.
I saccheggiatori più fortunati sospingono un animale,
anche due o tre, presi a furia di sparare.
Una capra con le mammelle lì lì per scoppiare
butta latte per dissetare un vincitore,
altri si attaccano alla birra, mentre una mucca,
ignara di essere maomettana, spruzza
un arco trionfale di piscio sui passi
del suo nuovo ringalluzzito padrone bosniaco.
Un altro arranca con lo zaino strapieno e una bici
piccola e rossa che porterà a suo figlio,
e mi porge il kalashnikov per liberarsi
le mani. È freddo e bagnato di pioggia.
Risistemato il suo carico, se la svigna,
quasi dimenticandosi del mitra,
lo rimette a tracollo col resto del bottino
e procede barcollando per il cammino
dove passa un mietitore solitario,
falce in spalla, aspettando che i campi asciughino,
sperando, mentre ascolta il tuono, che il tempo
migliori abbastanza per tagliare il fieno.
Stasera qualche ragazzino si rallegrerà
della bici avuta in regalo dal papà,
che per essa sfidò l’artiglieria e il fuoco serbo
anche se è ammaccata e ha le gomme a terra.
E fra le migliaia in fuga verso nord, un altro
avrà perso ogni gioia, e vicino alla madre
vedendo l’incubo dei cicli in cui si aggirano
rimpiangerà la musica di un mandolino.
(Donji Vakuf, 14 Settembre 1995)
Traduzione di Massimo Bacigalupo
da: “Tre Poesie dalla Bosnia”.
TONY HARRISON
The Cycles of Donji Vakuf
We take Emerald to Bugojno the the Opal route
to Donji vakuf where Kalashnikovs still shoot
at retreating Serbs orat the sky
to drum up the leaden beat of victory.
Once more, though this time Serbian, homes
Get pounded to façades like honeycombs.
This time it’s the Bosnian Muslims’ turn
To “cleanse” a taken town, to loot, and burn
Donji Vakuf fell last night at 11.
Victory’s signalled by firing rounds to Heaven
and for the god to whom their victory’s owed.
We see some victors cycling down the road
on bikes that they’re too big for. They feel so tall
as victors, all conveyances seem small,
but one, whose knees keep bumping on his chin,
rides a kid’s cycle, with a mandolin,
also childish size, strapped to the saddle,
joggins against him as he tries to pedal.
His machine gun and the mandolin impede
his furious pedalling, and slow down the speed
appropriate to victors, huge-limbed and big-booted,
and he’s defeated by the small bike that he’s looted.
The luckiest looters come down draging cattle,
two and three apiece they’ve won in battle.
A goat whose udder seems about to burst
squirts her milk to quench a victor’ thirst
which others quench with a shared beer, as a cow,
who,’s no idea she’s a Muslim’s now,
sprays a triumphel arch of piss across
the path of her new happy Bosnian boss.
Another struggles with stuffed rucksack, gun, and bike,
small and red, he knows his kid will like,
and he hands me his Kalashnikov to hold
to free his hands. Rain makes it wet and cold.
When he’s balanced his booty, he makes off,
for a moment forgetting his Kalashnikov,
which he slings with all his looted load
on to his shoulder, and trudges down the road
where a solitary reaper passes by,
scythe on his shoulder, wanting fields to dry,
hoping, listening to the thunder, that the day
will brighten up enough to cut his hay.
And tonight some small boy will be glad
he’s gt the present of a bike from soldier dad,
who braved the Serb artillery and fire
to bring bak a scuffed red bike with one flat tyre.
And among the thousands fleeing north, another
with all his gladness gutted, with his mother,
knowing the nightmare they are cycling in,
will miss the music of his mandolin.
(Donji Vakuf, 14 September 1995)
from: “Three Poems from Bosnia”.
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