L’ultima poesia della settimana del mese di novembre è dedicata ad uno dei maggiori poeti afroamericani del nostro tempo Yusef Komunyakaa, Premio Pulitzer nel 1994. Corrispondente dal Vietnam ha scritto versi potenti e penetranti sugli orrori della guerra. Appassionato conoscitore di jazz ha collaborato spesso con musicisti e cantanti scrivendo anche un tributo in versi per Charlie Parker. La poesia che vi proponiamo in traduzione in originale e attraverso la voce dell’autore è “Lettere d’amore di mio padre / My Father’s Love Letters”. La traduzione di Antonella Francini è parte del volume “Il ritmo delle emozioni” pubblicato da Liberodiscrivere di Genova nel 2004. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
Yusef Komunyakaa
Lettere d’amore di mio padre
Il venerdì apriva una lattina di birra
tornato a casa dalla fabbrica,
& mi chiedeva di scrivere una lettera a mia madre
che mandava cartoline di fiori del deserto
più alti degli uomini. Implorava,
promettendo di non picchiarla
mai più. In qualche modo ero felice
che se ne fosse andata, & a volte volevo
aggiungere un promemoria, che “Polka Dots &
Moonbeams” di Mary Lou Williams
non faceva mai diminuire il gonfiore.
Il suo grembiule da carpentiere sempre rigonfio
di vecchi chiodi, un martello a granchio
agganciato al fianco & prolunghe
attorcigliate ai piedi.
Le parole rotolavano sotto la pressione
della mia penna a sfera: Amore,
Baby, Dolcezza, Ti prego.
Sedevamo nella quieta brutalità
di contatori della luce e filettatrici,
persi tra frase e frase…
Il bagliore di una bietta di cinque libbre
sul pavimento di cemento
faceva entrare un tramonto
dalla porta della sua rimessa.
Mi chiedevo se lei ridesse
& le conservasse sopra un fornello a gas.
Mio padre sapeva solo scrivere
il suo nome, ma guardava i progetti
& diceva quanti mattoni
formavano ogni muro. Quest’uomo,
che rubava rose e giacinti
per il suo giardino, rimaneva là
a occhi chiusi & pugni stretti,
a faticare su una semplice parola, quasi
redento da quel che cercava di dire.
Traduzione: Antonella Francini
Yusef Komunyakaa
My Father’s Love Letters
On Fridays he’d open a can of Jax
After coming home from the mill,
& ask me to write a letter to my mother
Who sent postcards of desert flowers
Taller than men. He would beg,
Promising to never beat her
Again. Somehow I was happy
She had gone, & sometimes wanted
To slip in a reminder, how Mary Lou
Williams’ “Polka Dots & Moonbeams”
Never made the swelling go down.
His carpenter’s apron always bulged
With old nails, a claw hammer
Looped at his side & extension cords
Coiled around his feet.
Words rolled from under the pressure
Of my ballpoint: Love,
Baby, Honey, Please.
We sat in the quiet brutality
Of voltage meters & pipe threaders,
Lost between sentences . . .
The gleam of a five-pound wedge
On the concrete floor
Pulled a sunset
Through the doorway of his toolshed.
I wondered if she laughed
& held them over a gas burner.
My father could only sign
His name, but he’d look at blueprints
& say how many bricks
Formed each wall. This man,
Who stole roses & hyacinth
For his yard, would stand there
With eyes closed & fists balled,
Laboring over a simple word, almost
Redeemed by what he tried to say
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