Mi sembra opportuno che dalla memoria riesca a recuperare anche Carter Revard, che ha lasciato questo mondo all’età di 90 anni, il 3 gennaio 2022. L’ho incontrato diverse volte agli incontri di poeti organizzati dalla Casa della poesia di Baronissi / Salerno. L’incontro significativo per questa occasione è stato a Trieste nel 2001, nei giorni dall’8 all’11 settembre. Gli incontri erano denominati Sidaja, un nome composto dalla parola affermativa ‘sì’ in tre lingue per rappresentare le lingue dei popoli di confine: italiani, croati e sloveni: sì-da-ja. A Trieste, in quei tre giorni, era difficile trovare camere singole; quindi, siamo stati sistemati anche in doppie. Io ho condiviso la stanza con Carter Revard, poeta americano e professore universitario. Conoscevo Revard da tempo, ci eravamo incontrati almeno tre volte in simili occasioni; quindi, condividere la stanza con lui non è stato un impegno arduo. Il nostro hotel si chiamava Stella Polare, non so se esiste ancora oggi. Abbiamo ricevuto una camera del tipo molto comune in Italia, con il pavimento di piastrelle di ceramica, cosa che in settembre non ci dava fastidio, ma abbiamo entrambi detto che non ci abitueremo mai a un pavimento che non sia di legno. All’epoca passavo tre mesi sul Lago di Costanza e sono arrivato a Trieste da lì, facendo tappa a Zagabria. I poeti hanno letto le loro poesie in due serate al Teatro Stabile Sloveno.
Dunque, dopo esserci salutati, ho detto a Revard che a Gottlieben, dove ho soggiornato per quei tre mesi, di fronte alla casa in cui risiedevo, c’è una scuola con solo un’aula, e la mattina, dal mio balcone, vedo l’insegnante attraverso le finestre aperte della classe, con sei classi di studenti che, tuttavia, seguono contemporaneamente le lezioni che lui tiene. Gli ho detto che mi ricorda la mia scuola elementare, dove nella stessa aula c’erano due classi con quasi cento alunni. Mi ha risposto subito che lui frequentava una scuola simile a quella di Gottlieben: nella riserva degli Osage, in Oklahoma, e che conosceva molto bene quel tipo di scuola, lì un’aula conteneva otto classi. Mi ha detto che andava a scuola con sua sorella Maxine, mi ricordo bene il suo nome insolito. La conversazione è proseguita e ho detto che a Zagabria ora ci sono mia moglie e i nostri gemelli. Oh, anch’io sono gemello, ha esclamato. Allora ho aggiunto che anch’io sono gemello. Monozigotico o dizigotico? Ho detto monozigotico, ma mio fratello è morto. Io sono dizigotico, ha detto, ma anche la mia gemella è morta. Quale sorella, Carter? Ma Maxine, quella che ti ho appena menzionato. Carter e Maxine erano di origine indiana tramite il padre, del popolo Osage, nati nel 1931 a Pawhuska (Oklahoma), sono cresciuti in quella riserva Osage e hanno frequentato quella scuola, un’aula per otto classi, dove lui e sua sorella Maxine, quando frequentavano l’ottava, lavoravano come custodi. La scuola era nella valle del Buck Creek e si chiamava Buck Creek. In quella valle, Carter lavorava già da bambino nei campi mietendo e raccogliendo il fieno, e ha imparato anche ad addestrare cani da caccia.
Nel bar sotto il nostro hotel, Carter mi ha raccontato quanto dovesse il suo percorso educativo alla sua sorella gemella. Era stata lei a convincerlo a partecipare a un quiz di una radio locale, e lui era risultato il migliore, aggiudicandosi una borsa di studio per l’università di Tulsa. Mi ha detto che ha descritto tutto questo in dettaglio nel libro ‘Winning the Dust Bowl’, che era appena uscito e che teneva sul tavolino della stanza. (Una sua foto con la sorella gemella mi è stata inviata recentemente da Sergio Iagulli, direttore di Casa della poesia). Dopo essersi laureato nel 1952, Carter Revard è diventato uno dei primi nativi americani a ricevere la borsa di studio Rhodes, che gli permise di conseguire un master a Oxford e successivamente un dottorato a Yale, iniziando così il suo percorso come professore che durò quasi quarant’anni, durante i quali insegnò letteratura inglese medievale e linguistica. Gli eventi politici degli anni Settanta, come il Trail of Broken Treaties nel 1972 e l’Occupazione di Wounded Knee nel 1973, lo riportarono alle sue radici e si dedicò a tenere seminari sulla letteratura e la cultura dei nativi americani. Tutto ciò, disse, non sarebbe avvenuto senza sua sorella gemella, non saremmo nemmeno stati a Trieste oggi. Poi ha raccontato come sua sorella morì di un rapido tumore ovarico, a malapena trentenne. E che senza di lei si sente per tutta la vita come la Luna senza atmosfera. Disse anche che sua sorella era dotata per la scrittura. Se ne accorse quando lei si sposò e si trasferì in California, da dove gli inviava i suoi scritti. (Qui sono riportati i versi di Carter da cui emerge la complessità del rapporto tra gemelli:
In California, all that milk and honey,
When my twin sister was going to die with cancer,
She asked me pointblank, „Mike, you belive in God?“
She’d kept trying to reform me since, at thirteen,
I said there was no God. Well, no use lying
To somebody that always sees you blush about it –
So I just told her, „No, I realy don’t,“
Then lied about expecting her to live.
In California, il paese della cuccagna
Quando la mia sorella gemella stava per morire di cancro,
Mi chiese a bruciapelo: “Mike, tu credi in Dio?”.
Aveva continuato a cercare di convertirmi fin da quando, a tredici anni,
Avevo detto che Dio non esisteva. Beh, è inutile mentire
A qualcuno che si accorge sempre se arrossisci…
Così le dissi semplicemente: “No, davvero”.
Poi mentii dicendole che mi aspettavo che avrebbe vissuto.
Il giorno seguente, dopo la lettura delle poesie al Teatro Stabile Sloveno, al nostro ritorno in camera abbiamo continuato a discutere del tema della gemellarità. Da Carter ho saputo che il miglior libro sul fenomeno dei gemelli nelle culture native americane è stato scritto da Claude Levi-Strauss, con il titolo in inglese The Story of Lynx (“La storia della Lince”) e mi ha raccomandato di leggerlo assolutamente, se non lo avessi già fatto. Non l’avevo mai letto, non ne avevo neppure sentito parlare fino a quando Carter Revard me ne parlò nell’hotel Stella Polare a Trieste. Inoltre, Carter mi disse che gli indiani hanno un rapporto molto complesso con il concetto di gemellarità e che essere gemelli tra loro non è mai stato facile, che per i gemelli europei è più semplice rispetto a quelli nativi americani. Carter Revard era un americano che anche in Europa teneva molto alle sue radici indiane. Mi disse che aveva anche un nome nella lingua degli Osage: Nompehwahthe. Il nome gli era stato dato dalla nonna acquisita. Al festival di poesia a Napoli, quell’anno, lesse vestito in abiti tradizionali indiani e recitò in inglese. Era straordinariamente calmo, sembrava che avesse tutto il tempo del mondo.
Prima di addormentarci, l’ultima notte a Trieste, dissi al mio compagno di stanza gemello di scusarmi, se per caso avessi russato nel sonno. Lui rise e mi disse che la notte precedente non mi aveva sentito russare, che non mi avrebbe sentito neppure quella notte, perché da tempo non sentiva il russare di nessuno. Poi estrasse dall’orecchio un pugno pieno di piccoli pezzi metallici e di plastica e aggiunse, in modo molto poetico: Vedi che sono sordo! You see, I am deaf. Poi mi chiese di perdonarlo se avessi sentito il suo russare. Non l’ho sentito, né lui il mio.
Il giorno dopo, dopo la colazione, il gruppo si disperse, andando in direzioni diverse. Non so dove sia andato Carter Revard, non ricordo. Io sono tornato al Lago di Costanza. A Milano, mentre aspettavo il treno per Zurigo, entrai in un self-service della stazione e vidi come le donne alla cassa lavoravano guardando la televisione all’ingresso, trasmettevano un film in cui si vedeva un edificio in fiamme. Comprai due lattine di caffè Illy e partii. Alla frontiera svizzera salì la polizia di confine che controllò rigorosamente i documenti, mentre alcune persone venivano perquisite. A Zurigo, la prima edizione del Neue Zürcher Zeitung, quella per l’indomani, non era più disponibile, esaurita! Mi sembrava strano che il NZZ si esaurisse così rapidamente. Le persone erano in qualche modo più silenziose, il silenzio svizzero si era intensificato. Tutto questo mi sembrava strano, ma pensavo, un giorno così, fine estate, ci sono giornate del genere. Da Zurigo sono partito per Kreuzlingen, nei vagoni c’era addirittura un’atmosfera agitata. E solo sul treno locale per Sciaffusa ho chiesto a un turco se si fosse verificato qualcosa di insolito nel mondo quel giorno, trovavo il comportamento delle persone strano. Strano, eh? Non hai sentito, mi ha detto, è scoppiata la guerra in America. Centinaia di aerei hanno attaccato l’America, ci sono milioni di vittime. Sono già crollati anche quei due edifici a New York, sai quelli che si chiamano Gemelli.
Sinan Gudžević
* Le foto estratte dall’archivio di Casa della poesia documentano la partecipazione di Carter Revard a Sidaja, Trieste, 2001.
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