2 aprile 2020
Tra Bosnia ed Erzegovina, e Unione Europea, migliaia di vite sospese nei nuovi campi di vite nude. Non disagio ma crollo della civiltà nelle fauci del Novecento più cupo.
“Chiese una volta un tale a un vecchio saggio: / che cos’è questa / con rispetto parlando / dove si trova / da dove viene / dove / va questa Bosnia / come la chiamano // L’interrogato gli diede pronta risposta: / la Bosnia, con rispetto parlando, è una terra / digiuna e scalza con rispetto parlando / tremante di freddo e di fame / e come se non bastasse / con rispetto parlando / dispettosa / per sonno”.
(Mak Dizdar, “Annotazione sulla Bosnia”, traduzione di Giacomo Scotti)
Scrive un’amica da Sarajevo: “La Bosnia ed Erzegovina (BiH) ha superato l’Italia per numero dei morti in relazione al numero degli abitanti. Leggo nel giornale che le agenzie di pompe funebri non riescono a sostenere lo sforzo a causa del numero di morti per covid o per colpa della covid. Abbiamo un governo assolutamente incapace di gestire la pandemia, ci sono scandali di acquisti poco chiari, giochi politici, corruzione e sistema sanitario che funziona solo in minima parte. Ogni giorno nell’ultima pagina del giornale appaiono volti di amici e conoscenti che se ne sono andati … E i vaccini sono un mistero assoluto. Una certa quantità li ha portati in dono il presidente della Serbia, Vučić, dicono che arrivino anche gli altri… e nel frattempo i cittadini della BiH vanno a vaccinarsi in Serbia. Chi non può, aspetta. Oggi, 31 marzo, per prima volta è rintracciabile un link dove si possono registrare i cittadini che vogliono essere vaccinati. Non so quando sarà il nostro turno. In città è cominciato il coprifuoco, alle 20.00, ma nonostante tutto oggi si gioca la partita di calcio BiH-Francia… Solo la primavera entra e fiorisce tutto, è in corso la festività ebraica di Pesah, domenica c’è la Pasqua cattolica e il 13 comincia il mese di Ramadan: ma di feste, gente, turisti come gli anni precedenti non c’è niente…” I giornali di Sarajevo e, per noi, i puntuali resoconti dell’Osservatorio Balcani e Caucaso (soprattutto quanto scrive e dice Nicole Corritore) confermano questa visione desolata della situazione in BiH. Come vivere, a Sarajevo, Tuzla, Banja Luka, Mostar, e nelle campagne? Qual è la consistenza in cui sono i popoli della BiH? Qual è il loro quotidiano?
SATRAPI D’ORIENTE E D’OCCIDENTE
Il mondo occidentale e l’Unione Europea ormai da secoli e ancora negli ultimi decenni governano il mondo: ne ricavano ricchezze, ne strutturano bisogni e desideri, lo bombardano. Forse questo dominio non è così totalizzante come ci sembra guardando le cose da qui (sembriamo innocenti vittime di complotti altrui), ma esso esiste. Una delle forme di questo dominio è l’attrazione esercitata sugli altri popoli: una piccola ma consistente parte di questi ultimi, depredati dall’occidente ma anche da feroci satrapi locali, da tempo ha intrapreso il cammino per giungere alle frontiere del mondo libero, entrarvi, provare a godere della ricchezza, vera o presunta, di cui qui si gode. Le migrazioni, da sempre esistite, sono diventate un fatto epocale –narrativamente- solo quando anche noi ce ne siamo accorti: per decenni esse si fermavano altrove, Libia, Turchia, Libano, o interessavano continenti lontani. Ma la dissoluzione di alcuni Stati con relativa perdita di controllo sul territorio, provocata dal terribile connubio tra micro e macroimperialismi, ha rotto l’incantesimo: in particolare la dissoluzione di Stati come la Jugoslavia e la Libia, unita alle guerre ormai endemiche in numerose regioni e all’ingiustizia globale e dentro singoli Paesi, hanno aperto le strade alla grande migrazione di questi ultimi anni verso l’Unione Europea.
Proprio gli Stati distrutti da sanguinose guerre imperialistiche, Libia e Jugoslavia, sono quelli che ora rappresentano il cuore del problema (la Siria è un caso da analizzare a parte – vedi oltre). La frammentazione dello spazio territoriale libico (iniziata il 19 marzo 2011 con l’intervento straniero di molti Stati, tra cui la servile Italia di Berlusconi, amico di Gheddafi…)1 e quella precedente dello spazio jugoslavo hanno consegnato agli appetiti internazionali e al caos delle bande i due Paesi. Se la Libia, oggi, è divisa in tre o forse più monconi e la sicurezza interna, per abitanti e migranti, ridotta al minimo, anche l’ex Jugoslavia non attraversa un buon periodo: l’infinito dopoguerra cui è condannata non ha risolto quasi nessuno dei problemi presentatisi negli anni Ottanta e aggravati dal ricorso alle armi degli anni Novanta. Anzi, povertà, disoccupazione e predominio di mafie politico-religiose stanno mettendo in ginocchio la maggior parte di questi Paesi. Inoltre lo spazio jugoslavo è ormai spezzato in due dal confine dell’Unione Europea: il sogno di unità balcanica si infrange là dove si toccano il “dentro” dell’U.E. (Slovenia e Croazia) e il “fuori” degli altri Paesi (si tratta di frontiere che risalgono a Diocleziano…) Più prepotenti che mai le polizie di confine nei confronti degli ex concittadini di uno stesso Stato (polizia croata nei confronti di bosniache e bosniaci); ferocissime nei confronti delle persone migranti: sono comprovate le torture e gli atti di violenza nei confronti di chi tenta l’ormai famoso game tra Bosnia e Croazia. Inoltre la pandemia sta mettendo a dura prova i sistemi sanitari di tutti i Paesi, ma particolarmente devastanti risultano le condizioni di alcuni degli Stati ex jugoslavi passati da un livello del tutto accettabile e con settori di eccellenza al più totale disfacimento dopo il 1995 (fuga del personale medico verso Slovenia o altre terre, liberismo nei suoi aspetti più feroci in Stati ridotti a “protettorati”).
ABITANTI E MIGRANTI
Soffre chi vi abita stabilmente, in Bosnia ed Erzegovina, soffrono le persone migranti. Da anni nel cantone Una-Sana vengono a riaccendersi o a spegnersi le speranze di viaggi durati mesi e, a volte, anche anni da Paesi lontani, preda di guerre, fanatismi, povertà, cui si aggiungono i disastri ambientali che generano le cosiddette migrazioni climatiche. Migliaia di persone sono intrappolate tra Tuzla, Sarajevo, Bihać, Velika Kladuša in attesa di entrare in Unione Europea. Si tratta di campi dove la vita è difficilissima per condizioni igieniche e il troppo freddo o il troppo caldo (magari da affrontare in capanne improvvisate in mezzo ai boschi, alcuni dei quali ancora minati…)2 , sottoalimentazione, rapporti complicati all’interno di alcuni gruppi e tra le persone migranti e le comunità bosniache. Colpevoli di tutto questo sono le istituzioni europee e i nostri governi che danno denaro a Bosnia (e Turchia…) affinché frenino l’inarrestabile flusso migratorio, ma che in realtà desiderano che passino clandestinamente i confini uomini e donne che andranno a costituire una manodopera a basso e bassissimo costo, pressoché schiavistica, nei nostri Stati: uomini e donne senza diritti, questo serve al capitalismo e alle democrazie europee, persone ricattabili e non lavoratrici e lavoratori coscienti; complici però sono anche le istituzioni della Bosnia ed Erzegovina che governano contro il loro popolo, impedendo sviluppo e lucrando sui finanziamenti europei; e complici i passeur, spesso membri di enormi organizzazioni criminali e non romantici personaggi d’altri tempi (qualche attivista però rivendica, provocatoriamente e con qualche ragione, questa definizione).
Si tratta di campi, come abbiamo scritto sopra: come nei peggiori momenti del Novecento lì la vita è nuda (Agamben, d’obbligo), chiunque può colpirli senza essere per questo punito. Nella narrazione trionfante dell’U.E. si parla della situazione in Bosnia Erzegovina come di un affare di inferiori, lontani dai nostri standard (barbare le persone migranti, ma barbara anche la popolazione bosniaca): ma questa narrazione omette che analoghe se non peggiori situazioni sono dentro il nostro mondo. Pensiamo solo alle terribili condizioni in cui centinaia e centinaia di persone vivono ormai da anni tra Ventimiglia e Mentone, tentando lì un altro tipo di game tra Italia e Francia, o appena un po’ più a nord, verso Oulx3. Oppure a Calais, la giungla, così la chiamano, più volte smantellata e più volte ricostruita informalmente. A Calais c’è un muro (non quello del “troglodita” Trump tra USA e Messico, ma eretto tra due Stati democratici dell’Europa post ’89 che prometteva la libera circolazione delle persone – o la libera circolazione degli schiavi): “…Sullo stradone verso il porto di Calais, poco lontano dal muro anti-migranti fatto costruire dal governo inglese nel 2016 (costato quasi 3 milioni di euro), stazionano gruppi di giovani. Sperano di infilarsi sotto la plancia di un camion o dentro un container per tentare la traversata della Manica via tunnel o mare. A volte pagano l’ennesima somma esorbitante a trafficanti senza scrupoli che li avviano verso l’ultimo tratto del viaggio infernale che li ha condotti fino a lì…”4 Pensavamo fosse finita la storia dei campi, e invece no: carni nuove per nuovissimi campi, corpi affamati e mutilati, corpi però anche capaci di sorridere quando trovano accoglienza e cura, oltre lo smarrimento di viaggi paurosi (magri ragazzini di 16-17 anni da Afghanistan o Pakistan, qualcuno solo un po’ più adulto e appena più smaliziato, qualche rara famiglia dall’Iran5, dalla Siria…)
Ecco l’attraente Occidente che bombarda, che crea confini valicabili solo clandestinamente e che dà lezioni di democrazia al mondo, quando di democrazia ce n’è ormai pochissima nei nostri Stati (elezioni –farsa, tecnocrati al potere e vecchie o giovanissime volpi di partiti-aziende o ditte). Dentro l’Occidente vi sono però vene nascoste di resistenza a tanta protervia: vene di resistenza fatte di volontarie e di volontari, uomini e donne che lavorano splendidamente e creano pratiche politiche di soccorso e di mutuo soccorso. Solo a Trieste contiamo decine di organizzazioni, grandi e piccole, che pensano e fanno solidarietà: ICS, Linea d’Ombra, Strada.SiCura, Comunità di S. Egidio, Caritas, ogni giorno nei luoghi dell’accoglienza e in piazza (piazza Libertà, appena fuori dalla Stazione dei treni); e ne scopriamo ogni giorno di nuove, dentro il solido mondo del cattolicesimo di base come in settori di sinistra, comunisti e libertari (la rete Trama, ad esempio), altre ne dimentichiamo, scusandoci. Uomini e donne magari distanti tra di loro per appartenenza politica ma che mettono il loro tempo e la loro intelligenza al servizio di chi è in difficoltà, di chi è spezzato dalla violenza dell’economia e dai meccanismi dell’emarginazione, ancora più oliati in tempi di pandemia e di crisi economica. Non occorre scrivere l’elogio acritico del volontariato, che ha anche i suoi lati oscuri e problematici (6), ma certo è doveroso e riempie il cuore prendere atto di un’altra città dentro la città, di cittadine e cittadini che praticano la politica come servizio e che sono annuncio di un possibile e auspicabile cambiamento persino nei rapporti di forza. Se le persone migranti sono state, almeno in parte, meno sole e non totalmente in balìa delle oscure forze della Storia e del potere, lo dobbiamo a tante persone, spesso miti e nascoste, ma testarde nel dire no all’indifferenza. A “odiare gli indifferenti” era Antonio Gramsci; a far scrivere la parola “indifferenza” nel binario 21 alla stazione centrale di Milano, da dove partirono i treni per Auschwitz, è stata Liliana Segre. Ogni tanto a qualcuna di queste persone fa visita la polizia, presto al mattino, come è successo a Gian Andrea Franchi e a Lorena Fornasir di Linea d’Ombra il 23 febbraio scorso nella loro casa di Trieste (7). A loro, come a tante e tanti altri, va il nostro sostegno.
DUE TESTI
Per chiudere, due testi di Hrvoje Jurić, intellettuale e poeta natonel 1975 a Bihać (allora Jugoslavia, oggi Bosnia ed Erzegovina) e docente di filosofia a Zagabria. I suoi testi, inediti in Italia (8), rivestono un particolare interesse perché ci permettono di guardare dal di dentro la crisi delle migrazioni in Bosnia ed Erzegovina. I personaggi di questo ciclo di poesie, Storie da Bihać, estate 2018, parlano in prima persona e raccontano le proprie vicende, venutesi ad incagliare nella regione di Bihać, a pochi passi dall’Unione Europea (Croazia). Protagoniste di queste due storie sono una siriana e un nigeriano. La prima è sfuggita alla morte nel suo Paese e poi è partita, con destinazione Svezia. Siria: dieci anni fa, il 15 marzo del 2011, si sono svolte le prime manifestazioni contro il regime di Assad, inizialmente pacifiche ma attaccate in modo brutale dalla polizia; poi anche violente, in risposta, e subito egemonizzate dalle forze fondamentaliste. Dalle manifestazioni alla guerra il passo è stato troppo breve: mezzo milioni di morti, dieci milioni di sfollati, un Paese civile –nonostante la cricca al potere- ora ridotto in macerie, con l’intervento ulteriormente brutale di troppe aviazioni ed eserciti (Russia, Iran, Turchia, Stati Uniti d’America, Israele, ISIS: bel club di Stati-canaglia…) Andarsene è stata una soluzione, non facile, anche perché terribile è il cammino verso l’Unione Europea e micidiale l’accoglienza: nei campi nel nord-ovest della Bosnia vivono e muoiono migliaia di persone migranti, nell’indifferenza del mondo e nell’ostilità –dopo un’iniziale simpatia- della popolazione locale. Altro percorso quello di Ben, il cui sguardo coglie le differenze di classe nei comportamenti della gente di Bihać. Nessuno è razzista: è nel possesso del denaro la differenza tra chi può entrare e chi no. Ecco cos’è questa Bosnia, ecco cos’è questa Europa. Questi due testi ci sono stati trasmessi da Tvrtko Klarić, italianista nativo di Brčko (Jugoslavia, ora BiH) e residente a Zagabria, che ne ha curato le traduzioni: un grande grazie, a lui e all’autore.
STORIE DA BIHAĆ, ESTATE 2018
Il grande amico Occidente
I capelli me li ha bruciati, questo so:
per un centimetro la scheggia non mi ha colpito.
Il mio teschio, il mio cervello, me.
Perciò ho percorso tremila chilometri,
da Aleppo fin qui.
Ne farò altri duemila, coll’aiuto di Dio,
da qui fino a Lund.
Pure Faris se n’è andato, prima,
in Svezia.
Tutto era terribile. E lo è tuttora.
Migliaia di noi, siriani,
palestinesi, iracheni,
afgani, indiani,
iraniani,
marocchini, algerini,
africani, e altri.
E migliaia di loro, poliziotti
entusiasti:
turchi, greci, albanesi, montenegrini, bosniaci,
croati, e altri.
E io sono sola, sorella, qui
e senza di lui. Devo proseguire.
Ho tentato già:
quindici chilometri da qui all’Europa,
ma sono stata ributtata indietro, due volte.
Tutto andrà meglio, con pazienza, ho imparato.
Insomma: cosa vuol dire quindici in confronto a migliaia,
e che cosa sono migliaia in confronto a uno solo?
Ben
La gente di Bihać non è razzista.
Ho visto tassisti, camerieri e venditori gentili verso turisti
arabi – uomini, donne e bambini.
E non picchiano nemmeno noi nigeriani.
NOTE:
1 Scrive Manlio Dinucci sul Manifesto del 16.03 2021: “…L’Italia – con il consenso multipartisan del Parlamento (Pd in prima fila) – partecipa alla guerra con 7 basi aeree (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella, Decimomannu, Aviano, Amendola e Pantelleria); con cacciabombardieri Tornado, Eurofighter e altri, con la portaerei Garibaldi e altre navi da guerra…” (https://ilmanifesto.it/perche-la-nato-dieci-anni-fa-demoli-la-libia/)
2 Nello Scavo, Migranti. Croazia, profugo ucciso da una mina antiuomo. Una decina i feriti, Avvenire, 08.03 2021 (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/croazia-migrante-ucciso-da-una-mina-antiuomo-una-decina-i-feriti?fbclid=IwAR01MY_aJqCz30ZY4krhuLZtq2NglHlnV_nHAzxJXMJ2_WwyY92Hh1zMbE4)
3 Aggiornamento, da Oulx: (ANSA) – TORINO, 23 MAR – Digos della Questura di Torino e carabinieri sono impegnati dall’alba nello sgombero di ‘Chez Jesoulx’, come anarchici italiani e francesi hanno ribattezzato la casa cantoniera alle porte di Oulx, sulla statale 24 in Valle di Susa, trasformata in rifugio autogestito per assistere migranti diretti al confine con la Francia. L’occupazione è del dicembre 2018, due mesi dopo lo sgombero del locale sotto la chiesa della parrocchia di Claviere, e si inserisce nel contesto delle proteste contro le politiche sull’immigrazione e i respingimenti dei francesi. “Sappiamo che nella notte nella ex casa cantoniera sono state ospitate una cinquantina di persone, molte donne e bambini”, riferisce Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa, Ong che in Val Susa offre assistenza ai migranti che sempre più numerosi scelgono i sentieri di montagna per raggiungere la Francia. I volontari e le volontarie di tutte le associazioni di #FreedomMountain stanno intervenendo – riferisce Rainbow4Africa – con cibo, ospitalità, solidarietà con gli e le sgomberate. “In questo momento per noi la priorità è la sicurezza di queste persone – aggiunge Narcisi -. Il nostro personale sanitario e i volontari stanno lavorando per ridurre al minimo i rischi, curare e proteggere soprattutto i più fragili”. (ANSA). Sgomberi, anche gratis, come recita una pubblicità.
4 https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/04/09/news/le-nuove-jungle-di-calais-caritas-france-per-l-europa-e-l-ennesimo-fallimento-1.33694051
5 Dall’Iran, Amir Labbaf: https://www.change.org/p/corte-europea-per-i-dirittiumani-corridoioumanitario-per-amirlabbaf/u/28786870 “Le persone migranti che provengono da Paesi devastati dalla guerra o che fuggono da persecuzioni religiose, pur avendo diritto a richiedere asilo in Europa secondo la normativa internazionale, sono bloccate in condizioni disumane ai confini tra Bosnia e Croazia. Amir Labbaf, iraniano, difensore di una minoranza religiosa [dervisci sufi, ndr], ha dovuto lasciare il suo Paese per evitare la morte. Ha chiesto asilo in vari Stati, fra cui la Croazia ma inutilmente. Ha invece, subito la violazione sistematica di qualsiasi diritto ed ora è costretto su una sedia a rotelle nel campo Sedra di Ostrožac (Bosnia)… ” Così inizia la petizione lanciata da Lorena Fornasir e indirizzata alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
6 Vedi Luca Rastello ( 1961 – 2015), I buoni, Chiarelettere, Milano, 2014, pp. 204.
7 “Il 23.02 2021 all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV. Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili dell’associazione e diversi altri materiali, alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà. Siamo indignati e sconcertati nel constatare che la solidarietà sia vista come un reato dalle forze dell’ordine…” Questo il comunicato di Linea d’ombra di Trieste. Precisa Gian Andrea Franchi: “…perché sono indagato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina? Per aver dato ospitalità per una notte a una famiglia iraniana di quattro persone, i due genitori e i figli di 9 e 11 anni. Trovo tutto questo persecutorio e grottesco…” Ospitalità senza alcun tornaconto personale, ovviamente.
(8) Verranno pubblicati nel numero di maggio di 0.44, periodico dell’ANPI di Trieste.
Questa Lettera marrana si chiude con una proposta di letture. “C’è molto da fare e, quindi, molto da studiare”: ripetiamo per l’ennesima volta, con le parole di Rosa Luxemburg.
Bibliografia essenziale:
Emanuel Carrère, A Calais, Adelphi, Milano, 2016 (ed. originale 2016), pp. 49;
Donatella Di Cesare, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 280;
“Fondazione migrantes” (a cura di), Il diritto d’asilo. Report 2020. Costretti a fuggire…ancora respinti, ταυ editrice, Todi (PG), 2020, pp. 396;
Raphaël Krafft, Passeur, Buchet Chastel, Paris, 2017, pp. 158;
Alessandro Leogrande, La frontiera, Feltrinelli, Milano, 2015, pp. 316;
Teresa Maffeis et Aurélie Selvi, Les sentinelles. Chroniques de la fraternité à Vintimille, Max Milo, Paris, 2020, pp. 280;
Gabriele Proglio (a cura di), Bosnia: l’ultima frontiera. Racconti dalla rotta balcanica, Eris, Torino, 2020, pp. 62;
Gabriele Proglio, Bucare il confine. Storie dalla frontiera di Ventimiglia, Mondadori Università, Milano, 2020, pp. 207;
Luca Rastello, La frontiera addosso. Così si deportano i diritti umani, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 273;
Ottavia Salvador-Fabrizio Denunzio, Morti senza sepoltura. Tra processi migratori e narrativa neocoloniale, Verona, 2019, pp. 107