“…No, la poesia non basta.
Ma proprio lei è la sorgente della luce
che riesce a rendere il male visibile…”
(Barbara Korun, Hannah Arendt riferisce sul processo di Eichmann)
La scuola pubblica non porterà certo la liberazione tra le genti, ma nemmeno una permanente schiavitù. Essa svolge un ruolo essenziale per formare gli/le studenti e per dar loro il gusto e il senso della critica. Quest’ultima è la parola chiave: critica come furia di ricerca, come ripetuto e quotidiano tentativo democratico, come riconoscimento dell’altro/a. Critica come perenne sottrarsi alle mani avide di chi ci vorrebbe al servizio della forza dominante, qualunque essa sia. Critica come sola arma contro i due pericoli opposti in cui siamo: la sterilità di un identitarismo fine a sé stesso; la sterilità di progressivi compromessi, praticata soprattutto da ex rivoluzionari, che si adattano rapidamente alle forme del clientelismo cinico e violento. Questo ci dicono le elezioni degli ultimi anni e la gestione del potere in Italia: trasformismi, farsa delle campagne elettorali, orribili gazebo ad occupare il centro della città per mesi, fasci di volantini che si possono raccogliere ad ogni passeggiata per le vie principali (non nelle periferie, dove si respira ostilità verso la politica, ma di cui si è servi e di cui ci si serve per garantirsi scampoli di sopravvivenza), comizietti da quattro soldi, aperitivi offerti da candidati/e in veste di camerieri/e. Tutto un festival, ma non una festa, in cui però, almeno, ci risparmiano l’ipocrisia: noi questo siamo, dicono i/le candidati/e, vi inganniamo e voi ci votate, vi asserviamo e ci fate felici. A elezioni avvenute nel teatrino spesso squallido dei luoghi della rappresentanza, si svolge lo spettacolo chiassoso dei dibattiti, culto della parola avvilita e dell’insulto, delle mozioni e delle celebrazioni. Culto della separazione dalla città. Francesco Guicciardini, Ricordi, 141: “…spesso tra ‘l palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India”. Ora forse sappiamo qualcosa di più di ciò che accade in India ma non di quello che ci accade sotto il naso, in sedute comunali o parlamentari fiume (il tempo della politica è sempre più per professionisti, da questo punto di vista, per un ceto esclusivo che non ammette intrusioni, un ‘cerchio magico’, come ora si usa dire) che è impossibile seguire: nessun controllo democratico, solo separazione e spartizione.
CULTO DELL’INSULTO
Culto della separazione, culto della nebbia e dell’insulto. Vittorio Sgarbi a Trieste, l’11 giugno 2016, per la campagna elettorale del forzista Dipiazza sotto un gazebo e con accanto Salvini (seconda presenza di Salvini a Trieste, nella campagna elettorale delle amministrative 2016). Guardiamo il video 1. È stato detto e ridetto, nei social network e sulla carta stampata: volgarità a non finire, insulti ai ‘culattoni’ e a chi non ha votato Dipiazza al primo turno (“teste di c…”), in un crescendo di mediocri giravolte verbali e culminanti nell’elogio funebre di Gianluca Buonanno 2. Una performance artistico-politica di quarto rango, del tutto speculare a quella di altri artisti ormai nei ranghi del potere politico-mediatico (Crozza, Benigni), ma sottolineata da scroscianti applausi e sghignazzate del pubblico, risate di Dipiazza e Salvini, interazione con la pancia delle gente. Metafora, quest’ultima, che ci ha sempre sconcertato. Le ragioni della pancia, cioè della consistenza, sono nobili: Sancho Panza nei suoi momenti migliori, il buon soldato Svejk, “Il Mangiafagioli” di Annibale Carracci (1583-4), Bertoldo (ma non Bertoldino e Cacasenno) e tutti gli zanni del teatro popolare uniscono la pancia all’intelligenza viva e attiva, ma mai alla trivialità supponente. È una caricatura del popolo, invece, il fine storico dell’arte Sgarbi che rigetta sul pubblico riflessioni ridicole e quattro parolacce. Ricordiamo Ivan Graziani, che è stato un importante cantautore: “…E poi le parolacce che ti lasci scappare / che servono a condire il tuo discorso d’autore / come bava di lumaca stanno lì a dimostrare che è vero / è vero non si può migliorare / col tuo schifo di educazione…” (in ‘Pigro’, 1978). Così come ne era una caricatura la canottiera di Bossi 3, e così anche tutti i plebeismi e i trivialismi riversati contro il popolo nelle aule parlamentari da teppisti in doppiopetto o in felpa, eletti in elezioni sempre più farsesche, per leggi assurde (porcellum/italicum) e oggettivo venir meno della forza propositiva dal basso, dal fondo. La nebbia che separa Palazzo e Piazza è nebbia di complicità e solo là dove la piazza ancora esprime autonomia e forza (penso alle piazze francesi di queste ultime settimane) ecco che la contrapposizione torna ad avere un suo peso: è stato il Primo ministro francese Manuel Valls a dire che il potere espresso in libere elezioni è legittimamente esercitato dal parlamento, per cui la piazza (quella della protesta contro la reazionaria legge sul lavoro proposta dai socialisti) non ha potere legislativo e, quindi, il tentativo dei manifestanti di far retrocedere il governo su una legge iniqua sarebbe eversivo (ma eversive sono le leggi dettate dai trattati internazionali e dalle normative europee); da qui le pratiche della violenza poliziesca e anche di una controviolenza estetizzante, minoritaria e sciocca. Trivialità delle destre, trivialità delle sinistre al potere, con corollario di bombe umanitarie e traffico d’armi. Sdegnatissime, le sinistre, dalle scurrilità di Sgarbi (e di Salvini, Bossi, Buonanno…), indignate per gli scivoloni altrui –non per i propri- e pronte a sfruttarli, nel misero gioco della presa del potere, che è una stabile presa del potere da parte di uno stesso blocco sociale, sia pure in regime di alternanza. Penso alla polemica sulla pubblicazione del “Mein kampf” da parte de Il Giornale, ora diretto da Alessandro Sallusti 4. Le sciocchezze stanno nel voler denunciare questa provocazione sallustiana (mai parola più conformista, oggi, di provocazione, in coppia con polemica) per meri scopi elettorali, e non per l’atto in sé: con ragionamenti contorti i rivali di Parisi, candidato del centrodestra a Milano e non molto più a destra del suo rivale di sinistra, gli hanno incredibilmente attribuito la responsabilità di questo atto, imponendogli di dissociarsi, cosa che Parisi ha fatto, in fondo con misura. Quali acrobazie, quali contorsioni e colpi bassi, inutilmente tirati tra simili! Tutto è ridotto a chiacchiere da salotto o a commenti beceri sui social. Oppure a editoriali di Sallusti. Che così scrive: “ [propongo] un’ultima uscita con un libro che rivendichi il diritto di Israele a esistere senza essere quotidianamente minacciato e ferito dal terrorismo palestinese e dall’ostile e complice indifferenza di buona parte della sinistra occidentale…” 5. Sallusti, ormai accanito filosemita, si dice d’accordo con il pubblicare, alla fine della collana ideata da Il Giornale, i “Diari di Anna Frank”, ma con l’aggiunta di un libro pro-Israele. Ma forse se ne potrebbe aggiungere ancora uno: un libro, anche di poche pagine, che parli del diritto all’esistenza del popolo palestinese nelle terre da cui è stato cacciato con una scientifica prepotenza che risale alla dichiarazione Balfour del 1917, confermata dalle violenze degli anni che sono seguiti 6. Quasi ovunque i nemici–rivali sono nemici–fratelli, o addirittura nemici–complici: “rivalità mimetica”, secondo René Girard, oppure “inimicizia complementare”, secondo Germaine Tillion. Pochi/e si sottraggono a questo dualismo spettrale, funzionante ieri in Algeria e oggi a Gerusalemme, e anche nella farsa delle elezioni italiane. Solo i popoli ora vinti potrebbero essere i protagonisti di un’insurrezione contro le ripetizioni dell’identico, un’insurrezione di verità: dai momentanei vincitori non c’è che aspettarsi squallore aggravato a ogni angolo di strada, a ogni posto di blocco, a ogni muro alzato con il plauso delle democrazie occidentali.
LA FINE DELLA SCUOLA
Ma torniamo al punto da dove avevamo provato a partire, e cioè dalla scuola, e dalla scuola pubblica, in particolare. Prendendo spunto da un articolo agghiacciante di Roberto Casati, “L’abbaglio della fine della scuola” 7. Scrive Casati: “La vulgata della scuola del ventunesimo secolo prevede: classi ‘agili’, con studenti che guardano contenuti online e ne discutono poi tra di loro. Insegnanti ‘leggeri’, con il ruolo di ‘facilitatori’ delle suddette discussioni tra gli studenti. Scomparsa progressiva della lezione frontale, e quindi della preparazione della lezione da parte degli insegnanti (…) Verifiche continue sia dello studente ma soprattutto dell’insegnante su parametri ‘oggettivi’. (…) Per chi non se ne fosse accorto, c’è una logica profonda che sottende questa visione: si tratta di depotenziare l’insegnante, di spiarne e soppesarne le più infime mosse, e all’orizzonte di sostituirlo…”. Efficace sintesi che chiunque lavori nella scuola pubblica sa essere vera. Questa è la lotta in corso: lotta all’insegnante come cardine della scuola pubblica e, quindi, all’insegnamento trasmissivo (lotta alla trasmissione delle capacità critiche). Insegnante che è stato demolito/a, nella sua funzione, da un devastante ventennio di violente accuse portate da destra come da sinistra, ma realizzate più da quest’ultima, complici le organizzazioni sindacali maggioritarie. Demolizioni e continue umiliazioni subìte: dai/dalle dirigenti della Scuola pubblica, nodo cupo di ogni controriforma, cui la legge 107 vorrebbe dare sempre più potere e per cui l’insegnante è un sottoposto da valutare e punire, ma soprattutto da infantilizzare –il tono di certi dirigenti scolastici tende proprio a questo, tanto che è difficile, poi, immaginare l’insegnante così ridotto riacquistare autorevolezza in aula; dagli/dalle studenti, che vedono sempre più nell’insegnante un perdente nella lotta per l’esistenza, un poveretto instabile, un “prof, dimezzato nel nome e nello stipendio” (scrisse a metà degli anni Ottanta Sebastiano Vassalli), cui rivolgersi con arroganza e presunzione; dalle famiglie, nuovo simulacro intoccabile di questa fase storica (in cui non si vuole vedere l’orrore che spesso nelle famiglie alberga, anche il misero orrore quotidiano fatto non di rado di sopraffazioni e ostilità), pronte a rivolgersi all’avvocato al minimo errore, spesso –le famiglie borghesi o d’artisti- sprezzanti; dalla società tutta, infine, lanciata come un bulldozer contro questi nullafacenti intoccabili che, avendo ottenuto una laurea in tempi sospetti (post ’68), ora pretendono di servire/professare nella scuola pubblica a danno di giovani innocenti. Quanto fango! Sorretto da una neolingua che andrebbe tutta smantellata: crediti/debiti, innanzitutto, termini ormai passati nel linguaggio quotidiano dell’esperienza scolastica, cui solo pochi/e di noi fanno fatica ad assoggettarsi; competenze vs conoscenze; progetti, in luogo di saperi; meritocrazia, che è il nome in codice di complicità e cooptazione (e lo scandalo dei cosiddetti ‘comitati di valutazione’ per i professori, formati da alcuni docenti, dirigenti, un rappresentante dei genitori e uno degli/delle studenti che useranno criteri ‘oggettivi’ quali la ‘collaborazione con la dirigenza’, ad esempio). Tutto questo avendo perso ore su ore di insegnamento: su un orario già falcidiato dalla controriforma Gelmini, si è abbattuto il ciclone dell’alternanza scuola-lavoro, obbligatorie a partire dal terzo anno delle scuole superiori, cui dedicare 200 ore nel triennio dei Licei e 400 ore in quello degli istituti tecnici. Ore sottratte al lavoro d’aula, lento e attento (anche nella distrazione), fatto di rapporti umani, di incontri e di scontri, ma sempre di vita profonda e di scambio. L’alternanza scuola-lavoro è profondamente fascista e serve a depotenziare le capacità critiche di studenti e cittadini/e, preparandone l’immissione nel mondo del (non) lavoro futuro, fatto di voucher, di ricatti, di obbedienze cieche, di precarietà. Tutto questo avviene contro gli individui e contro il legame sociale, contro ogni attitudine critica. Il tutto benedetto da crocifissi ancora appesi in molte aule scolastiche della scuola pubblica, peraltro ormai infilati nei posti più strani: spuntano, con un Cristo mozzo di un braccio, da dietro una lavagna elettronica o da un armadio sconnesso (non è caricatura, è descrizione). Scrive Sergio Luzzatto: “Senza il crocifisso sul muro, dicono, l’Italia non sarebbe più la stessa. Lo dicono tanti cattolici, ma anche tanti laici. Io penso che gli uni e gli altri abbiano ragione. Senza il crocifisso negli edifici statali l’Italia non sarebbe più la stessa: sarebbe migliore” 8. E se ricominciassimo anche da qui? Con gli amici e le amiche cattoliche –a volte gli unici, le uniche con cui poter parlare in una scuola avvilita-, i primi, le prime a potersi/doversi muovere contro ‘il crocifisso di Stato’.
NON BASTA
I peggiori nemici degli/delle insegnanti sono però gli/le insegnanti stessi/e, coloro che trovano, in questa scuola che auspica il loro annientamento, stanze/aule dove salvarsi dal flusso velenoso che scorre nei corridoi. ‘Chiusa la porta dell’aula, siamo liberi!’: ma non è così, lo sappiamo. È invasiva, la ‘buona scuola’ renziana, tendenzialmente totalitaria, del totalitarismo del mercato come unico regolatore dei rapporti umani; ed è fortemente autoritaria senza più autorevolezza. Certo, una scuola veramente laica e democratica non basterebbe a salvare il Paese, ma intanto sarebbe utile a salvare noi stessi/e da leggi stupide e da vessazioni quotidiane. Ogni legge è un’imposizione di chi al momento è più forte, ed è un compromesso transitorio. Altri rapporti di forza, se prodotti, potrebbero portare a modificare le leggi che tutto sono, tranne che immutabili. Aspettiamo, come marrani/e 9, fingendo di adattarci (entro limiti di decenza), intanto preparando svolte e lavorando con ostinata volontà.
Gianluca Paciucci
15.06 2016
* Le foto sono di Gianluca Paciucci
1 https://www.youtube.com/watch?v=7Nq7Dqulb5Y (qui nella versione integrale di 12’ ca.)
2 sulla morte dell’europarlamentare leghista, a detta di qualcuno, vi sarebbero molti punti oscuri: egli, secondo una ricostruzione che circola in rete, sarebbe stato ucciso come Haider, come tentarono di fare con Farage. Uccisi da chi? Dalla cricca europeista, sembra di capire, di cui Buonanno e gli altri due sarebbero stati/sarebbero acerrimi nemici (opinione non condivisa da chi scrive che vede negli identitari/tradizionalisti dei complici oggettivi del potere iperliberista, la coppia perfetta, Trump e Clinton). Non abbiamo, per ora, gli elementi per intervenire su questi tre casi, ma si può spezzare una lancia in favore di chi non accetta le versioni ufficiali dei fatti. Complottismo è la parola magica per far tacere ogni domanda. Qualche tempo fa, invece, l’avremmo chiamata controinformazione… Certo, non tutto è reale controinformazione, c’è molto inganno e autoinganno, ma prendere sistematicamente “per buone / le verità della televisione” (De André, nella “Canzone del maggio”), o della rete, è ostacolo alla ricerca della verità.
3 Marco Belpoliti, “La canottiera di Bossi”, Parma, Guanda, 2012, pp. 105.
4 “La decisione del quotidiano Il Giornale di regalare – come ‘omaggio’ al primo volume di una collana a pagamento sul Terzo Reich – il Mein Kampf di Adolf Hitler diventa un caso politico in vista dei ballottaggi…” (http://www.repubblica.it/politica/2016/06/11/news/renzi_contro_il_giornale_squallido_pubblicare_il_mein_kampf_mai_piu_-141771122/). In realtà allegato a Il Giornale, ma al prezzo di € 11.90, era il volume di W.L. Shirer “Hitler e il terzo Reich”: il “Mein kampf” era, quindi, supplemento gratuito a questo volume. Operazione discutibilissima, “indecente” (la definisce Enzo Collotti in “Scherzare con il fuoco”, Il Manifesto, 14.06 2016). E anche ingannevole in quanto presentata in copertina come ‘edizione critica’ (ma conosce Sallusti il significato di queste parole?) e invece indicata come ‘edizione integrale e originale del 1937’ in quarta di copertina. Netto e critico anche di chi, a sinistra, ha provato a usare questa operazione per mediocri fini elettorali, l’intervento di Angelo d’Orsi, “La banalizzazione del male”, Il Manifesto, 12.06 2016.
5 http://www.ilgiornale.it/news/cronache/veri-ipocriti-e-falsi-moralisti-1270397.html
6 potrebbe essere utile rileggere quella bellissima raccolta di testi di Martin Buber, “Una terra due popoli. Sulla questione ebraico-araba”, Firenze, La Giuntina, 2008 (ed. or. 1983), pp. 372. Queste parole, da una lettera di Buber a Hugo Bergmann del 3-4.02 1918: “…Non dobbiamo nasconderci il fatto che la maggior parte dei capi sionisti (e anche la maggior parte dei loro seguaci) sono oggi degli sfrenati nazionalisti (secondo il modello europeo), imperialisti, inconsapevoli mercantilisti e adoratori del successo. Parlano di rinascita ma pensano a un’impresa commerciale…” (pag. 59).
7 articolo leggibile in rete: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-05-14/l-abbaglio-fine-scuola-181747.shtml?uuid=ADALDKH
8 Sergio Luzzatto, “Il crocifisso di Stato”, Torino, Einaudi, 2011, pp. 127. Aureo libretto, sepolto dalla stupidità laicista e cattolicista.
9 Un contributo allo studio del marranesimo è il volume di Yosef Hayim Yerushalmi, “Verso una storia della speranza ebraica”, Firenze, Giuntina, 2016, pp. 85, che riunisce due testi rispettivamente del 1984 e 1997. Scrive David Bidussa nell’introduzione: “…Studiare il marranesimo per Yerushalmi significa indagare più che i meccanismi di espulsione quelli di ricollocazione dell’esperienza marrana (…) soprattutto a partire dall’analisi della mentalità degli sconfitti (…). In breve la condizione marrana come ‘storia di resistenza’ [Jacques Revel]. I marrani per yerushalmi, non sono ebrei convertiti non più ebrei. Sono ebrei che hanno il problema di mantenere un’identità, attraverso strategie contorte di sopravvivenza. E dunque studiare il marranesimo significa studiare una mentalità e una strategia adattativa…” (pagg. 7-8).
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