Niente sta cambiando: la sindemia rafforza il mondo di ieri, riempiendolo di parole stigmatizzanti. Solo pensare e agire insieme può liberare nuove energie.
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“…Se l’assolutismo dichiara lo stato di eccezione per fronteggiare un’emergenza che potrebbe essere fatale al potere, il liberalismo fa dello stato di emergenza un campo di battaglia dove eccezionalmente il diritto è sospeso. Non solo la discontinuità fra i due cede alla continuità. Non solo vita e morte si confondono nel farsi carico della vita mortificandola e nel dar la morte in nome della vita. Ma è la differenza fra emergenza e eccezione, anzi fra stato di emergenza e stato di eccezione, ad attenuarsi fino a scomparire…” (Sergio Givone, in ‘Una bestia magnifica’. Flores d’Arcais ed Esposito a proposito di Foucault, Micromega, 8/2020, pp. 109-118)
“…Quando finirà questa pandemia, perché suppongo che prima o poi finirà, i governi avranno appreso molto in termini di biopolitica, vale a dire che invocare la salute è il miglior modo di disporre liberamente della popolazione senza paura di essere contestati. Prevedo che d’ora in poi le epidemie diventeranno più frequenti… Stiamo entrando nell’era dello Stato clinico e del biocivismo.” (Fernando Savater, “La vita come contagio”, Micromega, 8/2020, pp. 106-108)
“…dicevano che vivevamo in tempi bui: sia maledetto chi ha acceso la luce…” Greta Weinfeld-Ferušić
Innanzitutto: scrivere in punta di piedi, entrare in punta di piedi nella pagina bianca e nelle piazze, non aggiungere strepito a strepito, insulto a insulto, arroganza ad arroganza (da qualsiasi parte provengano). Scrivere e ricordare, scrivere per ricordare, con pietas: i morti di questa pandemia/sindemia, troppi, ovunque, in un pianeta finalmente globalizzato dalla sciagura (ma non dalla condivisione dei mezzi per uscirne, che i più ricchi si tengono con annessi profitti, tanto per continuare come prima, peggio di prima…) Abbiamo, nel mondo “sviluppato”, ignorato altre pandemie nei decenni passati perché lontane, circoscritte e non pericolose, per noi – che abbiano fatto milioni di morti altrove, questo conta poco. Arrivata anche da noi, per vie che ancora non sappiamo, e installatasi nel cuore delle nostre città e del discorso pubblico, non ha fatto altro che confermare le gerarchie esistenti: i Paesi virtuosi (“democrazia” e “libero mercato”) sono quelli in cui l’apparato della scienza e dell’industria farmaceutica, sorretto da forti narrazioni (e peraltro contraddittorie – ciò che è valido un giorno, non lo è più il giorno dopo1, si è messo subito in moto per prospettare la soluzione.
POCO PRIMA
La principale contraddizione di tutto questo dispositivo occidentale, reso totalitario dall’oggettiva alleanza con l’oriente cinese di cui si ammira la spietata risolutezza,è che così agendo si viene meno al principio einsteniano (di una frase attribuita ad Einstein) per cui “non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo” e che ha per corollario il fatto che non possono essere le stesse classi dirigenti che hanno causato il problema (con il loro dogmatismo/fanatismo neoliberista e senso degli affari) ad affrontarlo. Un modo di produzione dissennato ha causato l’attuale caos, come ha causato guerre nel recente passato e ne promette in questa fase eppure proprio chi ha causato pandemie e guerre si propone e impone per porvi rimedio – ecco in cosa consiste la vera assenza di alternative, spaventosa, in cui siamo. Le guerre degli ultimi trent’anni (o una sola, semplice e rettilinea Guerra dei Trent’anni 1991-2021?) hanno visto eserciti e aerei intervenire là dove, poco prima, le stesse “coalizioni occidentali” avevano acceso la miccia; intervenire e “pacificare” a forza di embarghi, di guerre umanitarie e di “missioni di pace” che invece prolungano/perpetuano guerre e abominii. Così le pandemie della stessa fase vedono l’untore e il medico della peste darsi la mano o, meglio, essere la stessa persona (moltissimi medici e personale ospedaliero hanno fatto miracoli, ma non hanno avuto potere decisionale nella gestione globale – ministri, manager e generali invece sì). Ma è la mentalità a non cambiare, è il modo di produzione a restare granitico: “…se non cambiamo il nostro modello economico, sociale e politico, se continuiamo a trattare il virus come un evento biologico rispetto al quale dovremmo limitarci a ‘bloccare il flusso’, gli incidenti sanitari continueranno ad aumentare…”, scrive Barbara Stiegler, sottolineando, sulla scorta della rivista “The Lancet”, che di sindemia si tratta, e non di pandemia 2. Le classi dirigenti continuano a pensare in termini di consumo e di guerra: mai come in questa fase abbiamo sentito inasprirsi tensioni (la crisi in Ucraina –sembra sempre imminente, e c’era persino una data precisa, un intervento militare russo che, puntualmente, non c’è stato, ma senza requie è la tensione in Donbass-, e tra Bielorussia e Polonia; quella tra Cina e Taiwan; il bloqueo contro Cuba, che è un atto di guerra permanente; le guerre per i metalli rari in Congo) e mai abbiamo sentito il rumore di carri armati arrivare a due passi dalle nostre case, se non negli anni Novanta (guerre jugoslave, alle porte di Trieste). Se guerra ci fosse stata o ci sarà, troveremmo normale tutto questo, preparato da una campagna giornalistica sopraffina nello scatenare paure quotidiane (l’aumento delle bollette del gas) e nel ridefinire il nemico assoluto (la Russia tradizionalista e autoritaria di Putin): normale la guerra finalmente anche da noi, come normalissima è la guerra alla pandemia ed essendo in guerra sarebbe bene fucilare i “disertori”, come il 1° novembre disse il presidente di Confindustria alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, approvato anche da voci di estrema sinistra e di centro ancora più estremo. Aver celebrato con pessima retorica patriottarda (e un pessimo film tv, o docu-fiction, La scelta di Maria di Francesco Miccichè, mandato in onda il prima serata il 4 novembre 2021) i cento anni del “milite ignoto” è stato, in Italia, tassello imprescindibile: nessun rispetto reale per le vittime dell’ “inutile macello”, ignote e note, ma ideologia pura, purissima strumentalizzazione e preparazione a farne altrettante (nel segno dell’indiscutibilità e del sacrificio per la patria, Mattarella e “frecce tricolori” su Redipuglia).3
IN PUNTA DI PIEDI ED OCCHI APERTI
Entrare in punta di piedi, ma con gli occhi ben aperti (ci si può ugualmente perdere, ma almeno si è tentato): in fondo di questo veniamo accusati/e, con sarcasmo e/o disprezzo, o addirittura con indignazione. Voler continuare a tenere vivi canali di dialogo democratico o semplicemente di scambio tra diversi diventa una colpa oggettiva. Però: né ridere né piangere ma capire, scriveva Spinoza, capire e agire. Anche dinanzi a movimenti non facilmente inquadrabili e che sorprendono. Questo dovrebbe essere l’impegno intellettuale minimo alle prese con fenomeni che ci sfuggono: ci sfuggono, si e ci disperdono, e non riusciamo nemmeno a discuterne, perché partono subito le reciproche scomuniche, e famiglie/gruppi/partiti/movimenti vengono attraversati da spaccature difficilmente sanabili. Buona parte della sinistra politica (ma anche sindacale) è stata ed è attraversata da dubbi e smarrimenti, rispetto alla sindemia e al green pass, e a tutto quanto ne segue. Solo recentemente alcuni si sono pronunciati. In realtà un intero numero di Su la testa, il n. 1 di luglio 2020, venne tempestivamente dedicato alla pandemia con il titolo “Il coronavirus come segnalatore d’incendio” (chiaro riferimento a Walter Benjamin e al suo Strada a senso unico). Nell’editoriale Paolo Ferrero scrive che “La crisi del coronavirus ha reso evidente, sul piano mondiale, che il disastro è insito nei rapporti capitalistici e nel rapporto che questi hanno determinato tra l’umanità e la natura” (p. 4). Chiarissimo: si tratta di una pandemia/sindemia annunciata (quindi non si può parlare di emergenza)4; causata da spillover (salto di specie) avvenuto in un mercato a Wuhan o forse nei laboratori di questa stessa città cinese (in un centro di virologia finanziato con capitali statunitensi e francesi perfettamente a loro agio con il capitalismo concentrazionario di Pechino5) ma sicuramente favorita da deforestazione e inquinamenti di vario genere; e, nonostante questo, ignorata pressoché in tutto il pianeta con colpevole superficialità dai responsabili politico-sanitari (non revisione dei piani anti-pandemici e smantellamento, dove c’era, della sanità pubblica), con morti evitabili se solo il potere e la scienza avessero lavorato come avrebbero dovuto autorità che si presentano come infallibili. Anche Donatella Di Cesare scrive: “A quanto pare l’epidemia non era poi così imprevedibile. Era stata, anzi, più volte annunciata negli ultimi cinque anni. Non parlo di scenari della fiction né di visioni escatologiche. Già nel 2017 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva avvertito che la pandemia era imminente, una questione di tempo; non si trattava di un’ipotesi astratta. Nel settembre 2019 un team del Global Preparedness Monitoring Board, formato da esperti della Banca Mondiale e dell’OMS ha scritto in un rapporto: ‘la minaccia di una pandemia globale è reale. Un patogeno in rapido movimento ha il potenziale di uccidere decine di milioni di persone, devastare le economie e destabilizzare la sicurezza nazionale’…”.6 Annunciata anche da prima, in realtà, se si potevano leggere passaggi chiari e già perfettamente inquietanti in un libro di buona divulgazione scientifica e vasta circolazione come Spillover di David Quammen (del 2004!)
Eppure si è affermata una narrazione sola, totalizzante, cui hanno risposto, a sinistra (sorvoliamo sulle destre, che meriterebbero un discorso a parte, da FdI al Primato nazionale, mensile di Casapound, ai liberal-sovranisti fino ai confindustriali-europeisti), sconcerto e afasia (e il loro contrario, cioè l’insulto). Ma perché tutto questo? In Italia il movimento operaio e il marxismo sono nati in pieno positivismo e cioè in una fase di fiducia estrema nella scienza, anzi in una sorta di religione della scienza; e così sono restati per tutto il Novecento, e sono in buona parte oggi, chiusi dentro la fede in un progresso illimitato di cui anche la lotta al virus e il relativo sicuro trionfo dovrebbero essere testimoni. Ma soprattutto a partire dagli anni Quaranta del XX secolo la scienza e le sue applicazioni tecniche non hanno certo dato il meglio di sé e sono state giustamente oggetto di seria critica anche dall’interno dello stesso mondo scientifico: pensiamo alle grandi proteste dei fisici contro l’orrore atomico, allo scandalo dell’uso di cavie umane denunciato nel 1967 dal medico inglese M.H. Pappworth7, alle tragedie di Seveso, Bhopal, Chernobyl e Fukushima, cui hanno fatto da contraltare i movimenti per la salute, dentro e fuori dalla fabbrica, e le riflessioni di Rachel Carlson, Ivan Illich, Giulio A. Maccacaro, Laura Conti, Luigi Mara, e tante/i altri/e. Più recentemente, in campo medico, ricordiamo la figura di Alessandro Liberati (1956-2012) che “portò in Italia la medicina basata sulle evidenze”8. Critica del sapere e dei saperi, come critica del potere e del sistema di dominio locale e planetario. Tutto questo, oggi, è messo in sordina quando non apertamente condannato: siamo tornati a essere progressisti9, per cui oggi il potere (anche quello medico, nonostante gli scandali e i privilegi di parte del personale medico, nella commistione pubblico/privato –moltissimi sono invece ipersfruttati- e le condizioni spaventose della sanità pubblica) sembra dover avere sempre ragione. Sarà difficile, appena domani, opporsi a un rinnovato progetto per l’energia nucleare, in Italia, o a imposizioni in campo alimentare (OGM, etc.): se solo agli “esperti” è consentito pronunciarsi su certi argomenti, tutti gli altri (il popolo, elettrìci ed elettori, miseramente sovrano) non possono che tacere in quanto incompetenti per statuto. I progressisti di cui sopra non si rendono conto dei fantasmi antidemocratici che hanno scatenato. Al limite l’incompetenza potrebbe essere la chiave per impedire il voto agli incolti (l’ho personalmente sentito in una discussione seria tra stimati intellettuali progressisti/di centrosinistra, contro la presunta ignoranzacrassa dell’elettore medio berlusconiano-salviniano, “il cui voto non può valere quanto il mio”): se solo gli esperti possono parlare, questo dovrebbe valere in tutti i campi. Nessun ragionamento pubblico, allora, pro o contro il nucleare (parli la Scienza, e zitti tutti gli altri), e nemmeno un voto libero per opzioni politiche differenti. Ma questo sarebbe il risultato aberrante della recente politica oppure un obiettivo consapevolmente perseguito? Dagli anni Trenta (colloquio Lippmann del 1938) a oggi la strategia è chiara: in questo inizio di Terzo millennio alla tradizionale colpevolizzazione dei cittadini si aggiunge “una patina pseudo-scientifica ispirata alle neuroscienze” per difendere “lo stesso postulato: quello di una specie umana appesantita da ‘pregiudizi cognitivi’ e incapace di fare scelte razionali (…) Per questi nuovi economisti, infatti, è sempre la deficienza epistemica delle popolazioni, e mai quella dei poteri dominanti, che dovrebbe spiegare la svolta verso un mondo di crisi permanenti…”10
PRO O CONTRO LA SCIENZA
Chi vuole un’altra vita, anche se in modo contraddittorio e persino ambiguo,viene sistematicamente irriso, sull’illuminato “Manifesto”, ad esempio: “…Hanno l’aria di bravi cittadini, fieri della loro vita sana, yoga, meditazione, solo cibo biologico. Non sono costretti ad andare al discount per comprare porcherie, sanno da anni che i politici raccontano bugie e i giornali sono i loro servi e la televisione non ce l’hanno perché è ordigno malsano…”11: una parodia di quarto rango, che vorrebbe immiserire decenni di riflessioni sull’alimentazione e sulle politiche del settore agroalimentare, quantità e qualità dei cibi, sulla produzione/distribuzione a chilometro zero, sui GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), sul darsi stili di vita meno inquinanti, sul rifiutare le ‘verità della televisione’… Fortunatamente voci discordi da questa, e altre (anche ben più tristemente autorevoli), ne sono apparse, su quello stesso quotidiano: Guido Viale che invita a distinguere “Il grano e il loglio nelle piazze dei no-vax” oppure Marco Bascetta, in “Se il complottismo serve a oscurare il disastro sanitario”12. Ora però la scelta viene ridotta ad essere pro o contro la scienza, in uno dei soliti bivi che non portano da nessuna parte. Un “Appello a Trieste”, circolato su change.org, e che ha raccolto più 60.000 firme in pochi giorni, così inizia: “Nelle settimane scorse la nostra città è stata teatro di manifestazioni contro il green pass: da qui è nata l’idea che Trieste sia la capitale italiana dei no vax, dei no green pass e della cultura antiscientifica. Trieste non è questo. E vuole dirlo a gran voce. Trieste è la capitale italiana della scienza e della scienza si fida…” Articoli di fede ovunque, e non ragionamenti, e non pensiero critico (pessimo il ruolo svolto dagli intellettuali di punta della città, Rumiz e compagnia). Questo appello è stato una sorta di manifesto del ritorno all’ordine dopo il carnevale della protesta, rave confuso per avanguardie politicizzate, frammenti di classe operaia, famiglie, tamburi sciamanici e preghiere (scrivo con grande rispetto di tutto questo, anche per quanto di più indigeribile c’è stato, senza sprezzanti sorrisi ma con volontà ostinata di capire l’odore e il sudore delle contraddizioni)13. Un’altra città su cui cade l’orrore dell’antiscienza sarebbe Roma: sulla capitale aleggerebbero i fantasmi di Croce e, soprattutto, di Pasolini. Così sostiene Fabrizio Rufo: “…Sulla città insiste una micidiale eredità pasoliniana che ha strutturato l’intellettualità di importanti pezzi di ceto politico, specialmente a sinistra. Nello scontro divampato sulle riviste degli anni ’60, il primitivista Pasolini prevalse sul progressista Calvino…”14] Ancora una sfida Pasolini contro Calvino (che è anche il titolo di un bellissimo testo di Carla Benedetti del 1998, “per una letteratura impura”, come recita il sottotitolo); ancora una semplificazione mediocre. Nel progressismo ‘leggero’ di Calvino e di gran parte degli entusiasti alfieri della digitalizzazione sistematica e sistemica, c’è anche l’ignoranza della ‘pesantezza’ della rivoluzione informatica, recentemente ricordata persino dal Ministro della Transizione ecologica (sic), il nuclearista Roberto Cingolani, sulla base di studi di The Shift Project: il digitale produce il 4% dell’anidride carbonica planetaria mentre il traffico aereo ne produce il 2%. A questo occorre aggiungere lo sfruttamento e la lotta per accaparrarsi metalli rari (indispensabili per ogni device), che spesso sfocia in vere e proprie guerre, e sempre genera feroce asservimento per bambini-schiavi in miniere di morte. Per altri aspetti (la natura profonda della digitalizzazione), sono importanti le riflessioni di Evgenij Morozov (in Italia molte sue opere sono leggibili presso la casa editrice torinese Codice).
ALTRE STRADE DA PERCORRERE
Crediamo, però, che vi siano altre strade da percorrere, innanzitutto quella dello studio e della discussione, proprio con chi non la pensa come me (con chi devo discutere se non con chi crede in un’altra cosa?); poi quella del pensiero autonomo, da non lasciare agli esperti –che hanno fatto una pessima figura nei due anni passati: si parla di cose che riguardano la mia vita e voglio parlarne, non delegando ad altri, se non dopo un ragionamento articolato e partecipato, le scelte su cosa fare, localmente e su scala nazionale/planetaria. I movimenti di massa che esistono ancora, soprattutto nel sud del Mondo, potrebbero insegnarci molto. Parlarne insieme, qui e ora: nei luoghi della cultura, nei circoli, nelle strade, più che su facebook e whatsapp. Questo possiamo e dobbiamo pretendere, oltre il chiacchiericcio dei social, le campagne stampa univoche e le urla della piazza. Quando l’incontro si è verificato, nei rari luoghi in cui la civiltà del dialogo non si è estinta, qualcosa di buono è venuto fuori per uscire da questa pandemia/sindemia. Portiamo ad esempio la piazza di Trieste, o forse solo un angolo della piazza di Trieste dell’autunno del 2021 e che continua nei sabati di gennaio 2022, sapendo che non si tratta di una parte per il tutto: assemblee libere e aperte di studenti e operai, dibattito, decisioni complesse prese dopo lunghe discussioni. Importanti (che non vuol dire interamente condivisibili, ma di certo stimolanti per articolazione del pensiero) i documenti che sono stati illustrati durante il presidio del 31 agosto contro il green pass a Trieste dal titolo complessivo “Rompiamo le righe contro il green pass”, vaccinati e non vaccinati insieme: in quel documento si discute su ‘Controllo e pandemia’ e ‘Non-neutralità della scienza, digitalizzazione e green pass’. Così si può provare a uscire dalla situazione velenosa in cui siamo, con il pensiero messo in comune e con pratiche forti di mutuo appoggio e solidarietà, facendosi beffe degli anatemi lanciati a reti e quotidiani unificati (mentre si fa largo una ridicola, strumentale e a tratti squadristica opposizione di estrema destra – l’attacco alla sede della CGIL a Roma del 9 ottobre 2021 ne è stato un chiaro segnale, come il loro spadroneggiare in alcune periferie delle grandi città). E provare a uscirne vivi e in condizioni migliori di come eravamo, guardandoci intorno e guardando anche appena oltre i confini dell’Unione Europea (vedere il caso della Bosnia ed Erzegovina, ad esempio, con il 16% dei vaccini effettuati, sentinella d’Europa tra crisi economica, crisi migratoria e venti di guerra per separatismo serbo-bosniaco e croato; e il resto del mondo, lasciato alla deriva da un sistema sanitario mondiale spaventoso e da un’Organizzazione Mondiale della Sanità il cui funzionamento risulta essere uno degli arcani del nostro presente). Solo facendo crollare le nostre difese ideologiche e organizzando una matura opposizione capace di federare, riusciremo a capire la verità di tanto caos prodotto da un sistema fuori dai cardini e a iniziare a cambiarlo.
EPILOGO
Termino di scrivere questa Lettera marrana il 27 gennaio 2022, Giorno della memoria. Il 26 mi era arrivata la notizia della morte di Greta Weinfeld-Ferušić (Novi Sad, 1924 – Sarajevo, 2022), sopravvissuta ad Auschwitz (unica della sua famiglia) e poi all’assedio di Sarajevo, tra il 1992 e il 1995, architetta, ebrea jugoslava di Novi Sad, sposata con un bosgnacco. Le avevano proposto di uscire dalla città assediata: rifiutò, per condividere con le cittadine e cittadini della capitale bosniaca il dolore, le sofferenze, le crudeli privazioni. Per resistere insieme. Su di lei un meraviglioso film-intervista, poetico e lancinante, Greta (1997), di Haris Pašović. In questo film, e nella nostra riflessione, non c’è banale comparatistica storica, una delle discipline rese sempre più mediocri da usi e abusi, ma c’è un corpo, quello di Greta, che lega materialisticamente due eventi lontani nel tempo ed entrambi unici. Unicità della Shoah, unicità dell’assedio di Sarajevo, e unicità incomparabile di ogni evento di sopraffazione (ma anche la gioia lo è, esemplare, attiva nei corpi). In una conversazione privata nel suo appartamento di Sarajevo mi disse (era il 2004): “…dicevano che vivevamo in tempi bui: sia maledetto chi ha acceso la luce…” Parlava del mondo jugoslavo, ma parlava anche del nostro mondo accecato dai lampi di una presunta verità da imporre a tutti i costi, arcaici tiranni e fighetti in mimetica. Grazie a Greta ho imparato che vivere in tempi bui è vera vita e, qui, essere capaci di arieggiare di tanto in tanto i locali, riempirsi i polmoni di nuovi venti e così preparare, nell’ostinazione del quotidiano, la risoluzione dei problemi più alti, quelli che non ci vengono imposti ma che collettivamente noi decidiamo che siano.
Gianluca Paciucci
Note:
1 Ingiusti i provvedimenti, esclusivamente italiani, per cui sono stati messi in contrapposizione il diritto alla salute da un lato, e quelli al lavoro e allo studio dall’altro, con la creazione di brutali conflitti e tensioni. Ma, titola La Repubblica 04.01.2022, “Superpass per lavorare, Lega e M5S alzano le barricate ma Draghi tira dritto”. Insiste, questo governo confindustriale, e anche parla di “didattica a distanza” nelle scuole solo per non vaccinati. Le destre sono contrarie, le cosiddette sinistre al governo sono per Draghi. Terribile anche il linguaggio, arcaico: ‘alzare le barricate’ (non faranno niente di tutto queste, in Italia nessuno ha più alzato barricate da decenni, e chi lo ha fatto è stato escluso da tutto), e ‘tirare dritto’ (con citazione da Mussolini che pronunciò la frase “Noi tireremo diritto” l’8 settembre 1935 in risposta alla posizione critica assunta dalla Società delle Nazioni contro l’aggressione italo-fascista in Etiopia: il titolista di Repubblica ci sta dicendo qualcosa?)
2 pag. 7 in Barbara Stiegler, La democrazia in pandemia. Salute, ricerca, educazione, Carbonio, Milano, 2021, pp. 78 (ed. originale Gallimard, Paris, 2021).
3 Interessante questo video da una “missione di pace”: https://video.corriere.it/esteri/bala-murghab-un-video-battaglia-italiani-afghanistan/ce0f0e94-628e-11ec-a583-0974d17fd3de
4 Scrive Donatella Di Cesare: “…Nella cronaca ufficiale la rivolta è relegata al margine. Se supera la censura, viene spettacolarizzata ed esibita nella sua trasgressiva oscurità. Accede allo schermo solo quando lo impongono gravità, urgenza, dimensioni. E tuttavia, ipervisibile e sovraesposta, resta comunque condannata all’insensatezza…” (pag. 16-17 in Il tempo della rivolta, Bollati Boringhieri, Torino, 2020, pp. 127). Questo accadeva dinanzi a rivolte “fluide” ma fortemente politicizzate (Buenos Aires, Hong Kong, Beirut, Londra, Bangkok) di prima della pandemia; dinanzi alle “insensatezze” di portuali e no green pass a Trieste il gioco è persino più facile, e tremendamente banalizzante/paralizzante. Fior di intellettuali civici e di sinistra, e improvvisamente antifascisti (un mesetto, prima delle elezioni), parlano di “rivolte antropologicamente reazionarie” (come se avessero effettuato una seria inchiesta sul campo); altri risolvono il problema parlando di “decerebrati fascisti” che sfilano, di “untori”, e giù un mucchio di stizzite e indiscutibili opinioni. Inutili e pesantissime sono anche le battute sui “covidioti” e sul “gregge” (il gregge è sempre quello degli altri – il geniale Bobi Bazlen parlava del “gregge degli antigregge”) e certa sicumera antivaccinista (“il virus uccide”, con firma M3V, Movimento Vaccini Vogliamo Verità, e tutta la polemica di questa galassia).
6 Donatella Di Cesare, pag. 13 in Virus sovrano?, Bollati Boringhieri, Torino, 2020, pp. 89.
7 Ed. italiana Cavie umane. La sperimentazione sull’uomo (con un’appendice giuridica di Carlo Smuraglia e prefazione di G. A. Maccacaro), Feltrinelli, Milano, 1971.
8 In Andrea Capocci, “Al cuore della medicina”, Il Manifesto, 02.01.2022.
9 Vedi Pietro Ingrao, “Non possiamo dirci progressisti”, Il Manifesto, 9/1/1994. La critica al progressismo parte da Walter Benjamin, dalla Scuola di Francoforte, dall’ecofemminismo, da militanti e scienziate come Vandana Shiva. In Italia quel grandissimo filologo e studioso di Leopardi che è stato Sebastiano Timpanaro ci ha dato testi a mio avviso fondamentali, per il nostro argomento, raccolti nel volume Il verde e il rosso. Scritti militanti 1966-2000, Odradek, Roma, 2001, pp. XVI-246. Un Leopardi “non progressivo”, il suo.
10 Stiegler, cit., pag. 36. Nell’art. di Capocci, cit., si riportano le parole di Paola Mosconi che, con Liberati, diede vita al progetto ‘PartecipaSalute’: “…Alessandro ebbe l’intuizione di far valutare direttamente ai pazienti, e non ai medici, la qualità della vita (…) Quell’intuizione si allargò fino a coinvolgere le associazioni di pazienti e poi i cittadini stessi. Nel quadro di ‘PartecipazioneSalute’ ideammo percorsi di formazione per rappresentanti della cittadinanza nei Comitati etici (…) su temi come i conflitti di interesse e le regole della buona ricerca…” Questo lavoro va in direzione del tutto opposta a quanto sta succedendo oggi, trionfo degli esperti e del mondo chiuso (sacro) della scienza e dell’industria.
11 Marinella Salvi, “Trieste, manifestazioni vietate. Cresce l’insofferenza ai no pass”, Il Manifesto, 22.10 2021.
12 L’articolo di Viale è sul Manifesto del 27.11 2021; quello di Bascetta sempre nello stesso quotidiano del 19.11. Scrive quest’ultimo: “…La stucchevole retorica comunicativa che tutto imputa ai comportamenti individuali, alle idee bislacche e al disprezzo per l’ ‘interesse generale’ in un coro unanime di forze politiche e mediatiche, ha origini tutt’altro che limpide…” Usare termini che impediscono ogni dialogo come “complottismo” e “negazionismo” (ma anche “populismo”) fa parte di una strategia mirata e di successo: non esisterebbero “complotti” ma solo comportamenti esemplari di classi dirigenti preoccupate per il nostro bene; e chi osa contestare con qualsiasi argomento la narrazione dominante, è un “negazionista” – termine la cui estensibilità lo rende sospetto: dalla negazione delle camere a gas e della Shoah, al “negazionismo” climatico, e infine a quello delle foibe e dei vaccini… Così vengono cucite bocche in nome di una verità di Stato brutale. Ma mentre ci si è giustamente indignati per l’oscena equiparazione tra vittime del nazismo e dei provvedimenti contro i no-vax, nessuno ha alzato la parola per l’uso aberrante del termine “negazionismo”, trasferito dalla Shoah a tutti gli eccessi non conformi contemporanei. “Categorie stigmatizzanti”, le definisce il sociologo Laurent Mucchielli (v. “La doxa du Covid”, in Quinzaines, n° 1240, novembre 2021). Vedi anche, di Paolo Ferrero, il seguente articolo: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/11/no-vax-draghi-nasconde-i-propri-errori-dietro-a-capri-espiatori/6452556/
13 Sul paradigmatico autunno caldo triestino una buona sintesi si può leggere in “Sui fatti di Trieste. Cronaca e considerazioni su una lotta No Green Pass”, in Umanità nova, 29 ottobre 2021. Ugualmente interessante, pur se diverso per stile e contenuti, il materiale pubblicato da Andrea Olivieri in tre puntate (qui si può leggere la prima e rintracciare le altre due: https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/11/strange-days-no-green-pass-trieste-1/) Niente si può ricavare, invece, dai media locali e nazionali, che sarebbero oggetto di un buono studio sulla deformazione dell’informazione a forza di titoli reboanti e di difesa di un punto di vista univoco e prefabbricato: nessuna inchiesta, nessun lavoro sul campo.
14 Intervista a F. Rufo, “L’inconsapevole sfida di un’intelligenza collettiva metropolitana”, Il Manifesto, 14.12 2021.
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