Come promesso, ecco un altra piccola gemma “in video” come poesia della settimana. Dopo Rocco Scotellato, sempre nel 2010, nel corso di “La poesia resistente! Napolipoesia”, Jack Hirschman lesse una sua traduzione di Alfonso Gatto. La poesia “Lamento d’una mamma napoletana/ Lament of a Neapolitan Mother” era molto amata dal poeta statunitense che la portava in giro per il mondo nelle sue letture, ritenendola una delle più belle poesie contro la guerra mai scritte. In questi anni così bui e terribili, in cui la tragedia della guerra ci avvolge e coinvolge con i suoi orrori, ci sembra importante proporre questa poesia ai vostri cuori e alle vostre menti. Hirschman aveva tradotto (anche in questo caso probabilmente per primo) Alfonso Gatto negli Stati Uniti in un volume dal titolo “Magma“, con un’attenzione particolare alle sue poesie della resistenza. Far incontrare poeti, trasportare poesia da una lingua all’altra è da sempre uno degli obiettivi di Casa della poesia. Continua l’impegno di Potlatch e di Casa della poesia per una cultura libera, democratica, condivisa.
Alfonso Gatto
Lamento d’una mamma napoletana
Mio, il figlio, non era della guerra,
dei padroni che lasciano ch’io pianga
dietro la porta come un cane, mio,
delle mie mani, del mio petto giallo
ove le mamme seccano sul cuore.
Mio, e del mare che ci lava i piedi
tutta la vita, del vestito nero
che m’acceca di polvere se grido.
Mio, il figlio, non era della guerra,
non era della morte e la pietà
che cerco è di svegliare col suo nome
tutta la notte, di fermare i treni
perché non parta, lui, ch’è già partito
e che non tornerà.
Mio, il figlio, e la sua morte mia, la guerra.
I cavalli mi corrano sul petto,
i treni i fiumi ch’egli vide: il fuoco
m’arda i capelli ove la notte sola
alle mie spalle s’accompagna.
Il vento
resti del mondo allucinato, il sale
degli abissi che abbagliano, il lenzuolo
del nostro lutto…
Alfonso Gatto
Lament of a Neapolitan Mother
Mine, the son, he didn’t belong to the war,
to the bosses who leave me weeping
behind the door like a dog; mine
belonged to my hands, to my sallow breast
where mothers dry up over the heart.
He belonged to me and to the sea
that washes our feet all life long,
to the black dress that blinds me
with dust if I cry out. Mine, the son,
he didn’t belong to the war,
didn’t belong to death, and the pity
I’m looking for is to wake with his name
all night long, to stop the trains
so he doesn’t leave, he who’s already gone
and won’t be coming back.
Mine, the son, and his death, mine, the war.
May horses run over my breast, and
the trains and the rivers he saw: may fire
burn my hair where only night
walks at my shoulder. .
May the wind
remain with the hallucinated world, the salt
with the abysms that dazzle, the shroud
with our mourning…
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