L’ultima “poesia della settimana” del mese di febbraio è dedicata ad una delle pietre fondanti di Casa della poesia, Jack Hirschman, una leggenda della controcultura americana e uno dei più grandi poeti contemporanei. La poesia scelta è “This Solitary Act / Questo atto solitario“, scritta nel 2004 come poesia di chiusura del volume “Volevo che voi lo sapeste”. Nella pagina trovate la traduzione di Raffaella Marzano, il testo originale e la bellissima registrazione realizzata nel corso di Napolipoesia nel 2005; con Jack Hirschman, Gaspare Di Lieto al pianoforte. La foto di copertina è di Christopher Michel, le successive di Pier Paolo Iagulli e di Andrea Pecchioli. Prosegue anche nel 2017, nel suo ventunesimo anno di vita, l’impegno di Casa della poesia per una cultura libera e condivisa.
JACK HIRSCHMAN
Questo atto solitario
Posso creare qualunque cosa
quando mi immergo
in questo atto solitario
e con “creare” intendo
che posso restar seduto e lasciare
che qualunque cosa si sollevi si alzi e
cada dalle mie dita
sulla pagina. Non si tratta di un trucco,
né si tratta esattamente di una disciplina.
Mi piace questo star solo. Forse
più di ogni altra cosa. Più
persino di te. È come essere
chiaramente vivo
e allo stesso tempo morto.
Un ronzio nel mio orecchio
mi ricorda anche che
persino un robot ha orecchi.
Sto sulla riva di questo fi ume
in una scena naturale
quanto qualsiasi cosa che spinga la mia penna
attraverso l’acqua. Sono anche
sul ponte e sto per saltare.
Nulla mi può aiutare, e
lo fa. Atterro nel tempo
da cui ho tanto cercato di fuggire.
Nulla è rimasto lassù
che mi spinga in avanti. Non posso scrivere
un’altra parola senza baciare
il fantasma di me stesso sul culo
nelle tenebre che hanno il sapore
di domani con le mani
alzate, che si arrende all’alba
con i denti in un bicchiere
di acqua trasparente. Ve l’ho detto:
posso creare qualunque cosa,
incluso queste vecchie labbra.
(2004)
Traduzione di Raffaella Marzano
JACK HIRSCHMAN
This solitary act
I can make up anything
when i get down to
this solitary act,
and by “make up” I mean
I can sit still and let
whatever rises rise and
fall from my fi ngers onto
the page. It’s no trick,
nor is it exactly a discipline.
I love this alone. Perhaps
more than anything. More
even than you. It’s like being
translucently alive and at
the same time dead.
A buzzing in my ears
reminds me as well that
even a robot has hearing.
I stand at this river edge
in a scene as natural as
anything pushing my pen
across the water. I’m also
on this bridge about to jump.
Nothing can help me, and
it does. I land in the time
I’ve tried so hard to escape.
Nothing’s still up there
urging me on. I can’t write
another word without kissing
the ghost of myself on the rump
in the darkness that tastes
like tomorrow with its hands
up, surrendering to the dawn
with its teeth in a glass of clear
water. I’ve told you; I can
make up anything, including
these old lips.
(2004)
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