La poesia della settimana è conseguente ad un avvenimento che ci ha lasciati senza fiato: la scomparsa di Francisca Aguirre. Una notizia terribile per tutti noi e per il mondo delle lettere e della poesia. Paca, amica, madre, sorella maggiore ci ha lasciati. È stata una donna e una poetessa straordinaria e chi ha avuto la fortuna di conoscerla non ha potuto non amarla e apprezzarla. Un dolore grande per noi e per tutta la famiglia di Casa della poesia. Ci piace ricordarla così sorridente nel giardino di Casa della poesia in una foto di Salvatore Marrazzo. Pochi mesi fa avevamo festeggiato l’assegnazione in Spagna del Premio Nacional de le Letras e la pubblicazione in Italia della sua biografia poetica “Specchio, specchio”. La poesia della settimana non poteva che essere dedicata a lei con le nostre lacrime: “Frontiera / Frontera“, con la traduzione di Raffaella Marzano, ascoltando la sua voce registrata nel corso di Salernopoesia nel 2004 con il chitarrista Fabio Notari.
Figlia del pittore Lorenzo Aguirre, vittima della dittatura franchista, Francisca è stata una delle voci essenziali della generazione di poetesse spagnole nate e cresciute sotto il segno della guerra e della dittatura. La sua opera è stata attraversata dell’evento della Guerra Civile spagnola, dai temi dell’infanzia, da un frequente ricorso alla mitologia classica e da un’insistente e ostinata preservazione della memoria come strumento di salvezza di fronte all’ingiustizia dell’oblio ideologico ed esistenziale. Con un grande abbraccio a sua figlia Guadalupe, prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per la diffusione e la condivisione della grande poesia internazionale.
Francisca Aguirre
Frontiera
a Ana Rosa e José María Guelbenzu
Io, che giunsi alla vita troppo presto,
che fui – che sono – colei che anticipò se stessa,
che accorse all’appuntamento prima del tempo
e dovette aspettare al deposito
vedendo passare il bagaglio della vita
dal bancone neutrale dell’ora inopportuna.
Io, che nacqui nel trenta, quando è certo
– come tutti sapete – che mai avrei dovuto farlo,
che avrei dovuto valutarlo prima,
avere un poco di pazienza e buon senso
e non entrare in quel tempo folle
che riscuote l’affitto con monete di paura.
Io che sto pagando la mia imprudenza,
che devo alla mia fretta la mia miseria,
che ho dovuto strappare il mio cuore in mille pezzi
per pagare il mio posto nel deserto,
io, sappiatelo, giunsi tardi una volta alla frontiera.
Io, che tanto ero stata prematura,
non seppi anticiparmi un po’ di più
(dopo tutto per pagare
in monete di sangue e di sventura
cosa possono importare pochi anni)
Io, che non seppi nascere nel quarantacinque,
commisi, udite udite, il sacrilegio
di giungere tardi alla frontiera.
Giunsi con gli occhi ciechi dell’infanzia
e il cuore in bianco, senza storia.
Giunsi (Signore che cosa imperdonabile)
con nove anni solamente.
Giunsi, forse al suo stesso momento
ma in un tempo diverso.
Non lo sapevo.
(Oh tempo miserabile ed ingiusto.)
Fui lì – forse lo vidi –
ma era tardi.
Io ero piccola
e avevo sonno.
Don Antonio era vecchio
e anche lui aveva sonno.
(Signore, che cosa imperdonabile:
essere nata troppo presto
ed essere arrivata troppo tardi.)
Traduzione: Raffaella Marzano
Francisca Aguirre
Frontera
a Ana Rosa y José María Guelbenzu
Yo, que llegué a la vida demasiado pronto,
que fui –que soy– la que se anticipó,
la que acudió a la cita antes de tiempo
y tuvo que esperar en la consigna
viendo pasar el equipaje de la vida
desde el banco neutral de la deshora.
Yo, que nací en el treinta, cuando es cierto
–como todos sabéis– que nunca debí hacerlo,
que hubiera yo debido meditarlo antes,
tener un poco de paciencia y tino
y no ingresar en ese tiempo loco
que cobra su alquiler en monedas de espanto.
Yo, que vengo pagando mi imprudencia,
que le debo a mi prisa mi miseria,
que hube de trocear mi corazón en mil pedazos
para pagar mi puesto en el desierto,
yo, sabedlo, llegué tarde una vez a la frontera.
Yo, que tanto me había anticipado,
no supe anticiparme un poco más
(al fin y al cabo para pagar
en monedas de sangre y de desdicha
qué pueden importar algunos años).
Yo, que no supe nacer en el cuarenta y cinco,
cometí el desafuero, oídlo,
de llegar tarde a la frontera.
Llegué con los ojos cegados de la infancia
y el corazón en blanco, sin historia.
Llegué (Señor, qué imperdonable)
con nueve años solamente.
Llegué tal vez al mismo tiempo que él
pero en distinto tiempo.
No lo supe.
(¡Oh tiempo miserable e injusto.)
Estuve allí –quizá lo vi–
pero era tarde.
Yo era pequeña
y tenía sueño.
Don Antonio era viejo
y también tenía sueño.
(Señor, qué imperdonable:
haber nacido demasiado pronto
y haber llegado demasiado tarde.
Leggi di più su Francisca Aguirre
.