La passione per la poesia, la cultura, l’arte, la musica, la ricerca e la conoscenza è amplificata dal piacere aggiuntivo della condivisione e del dono. Casa della poesia, la sua biblioteca, il sito, Potlatch, “la poesia della settimana”, sono luoghi, reali e/o virtuali nei quali questa “pratica poetica” si realizza. Diamo dunque vita alla rubrica “Rovisteria“, ripescando da giornali e vecchie riviste letterarie articoli, scritti, piccoli tesori che ci sembra importante riproporre e riportare all’attenzione di tutti coloro che seguono queste pagine. Proviamo così a portare frammenti della biblioteca fuori dalle mura di Casa della poesia.
Riprendiamo e ripubblichiamo da Il Meridiano di Trieste, un bellissimo articolo di Giacomo Scotti del 30 maggio 1985, sugli anni friulano giovanili di Pier Paolo Pasolini.
Giacomo Scotti, nato nel 1928 a Saviano (Napoli), è vissuto fin da giovanissimo nella ex-Jugoslavia, tra Pola e Fiume. Dal 1985 fa la spola fra Italia e Croazia, cittadino di entrambi i paesi. Poeta, narratore, saggista, storico, traduttore letterario da sloveno, croato-serbo e macedone, ha pubblicato oltre 200 opere fra romanzi, raccolte di racconti, sillogi di poesie, favole per bambini. Per la promozione della letteratura e cultura italiana nei Balcani e di quella slava in Italia è stato decorato dal Presidente della Repubblica Italiana, nel 2006, con l’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana e l’onorificenza di Commendatore. Presto una serie di scritti, articoli, memorie saranno raccolti in volume per Multimedia Edizioni / Casa della poesia che ha già pubblicato di Scotti “Due poeti, due mari, tre amici” e “Vivere la vita”.
Giacomo Scotti
La fidanzata di Pasolini
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Vive da quarant’anni a Fiume la fidanzata di Pier Paolo Pasolini, la Dina del racconto autobiografico Atti impuri. Pasolini non fece che cambiare la lettera iniziale del suo nome di battesimo: Dina si chiama in realtà Pina Kalc ed è nata a Villa Opicina.
Diplomatasi in violino a Trieste, nel 1936, Pina insegnò per alcuni anni a Maribor, nella scuola di musica, suonando nell’orchestra dell’Opera e nella Filarmonica di quella città della Stiria. Scoppiata la guerra e occupata dai tedeschi quella regione, Pina Kalc si trasferì presso una sorella sposata in Friuli, a Casarsa della Delizia, paese natale della madre di Pier Paolo Pasolini. E lì conobbe lo scrittore.
Nel 1945, entrata a far parte dell’Orchestra filarmonica triestina, la violinista raggiunse con quel complesso la Jugoslavia nella quale fece una lunga tournée attraverso i maggiori centri del Paese. Quando l’orchestra si sciolse, nel 1947, Pina Kalc si trasferì a Fiume, continuando a suonare presso l’Orchestra del Teatro di quella città fino al pensionamento, avvenuto nel 1977. E da pensionata, conservando l’innata giovialità e l’incancellabile dialetto triestino, Pina continua ad essere fiumana.
Dopo questo breve cenno alla sua vita, ritorniamo all’incontro con Pasolini.
“Avvenne a Casarsa“, ricorda. “Eravamo entrambi giovani. Ci accomunava l’amore per la musica e la poesia, cosicché fra di noi nacque subito un’amicizia affettuosa che si andò via via trasformando in un fecondo sodalizio, interrotto soltanto dalla mia partenza, avvenuta nel 1945“.
Ma nel suo racconto – che fra l’altro è stato filmato e prodotto dalla sede regionale della RAI di Trieste verso la fine del 1984 -, Pasolini sostiene che lei, la Dina-Pina, era stata innamorata disperatamente di lui. Fu veramente così? “Beh, fummo grandi amici, lo diventammo subito. In realtà, benchè siano molti gli elementi che concorrono a stabilire un accostamento fra me e Dina – le lezioni di violino, le sonate di Bach, l’esperienza del coro… – io nego di essere la Dina: non posso completamente identificarmi nella protagonsita del racconto pasoliniano; Atti impuri, pur essendo autobiografico, è sempre letteratura, e quindi va al di là del reale. Ciò non toglie nulla al suo valore, per carità! Sono anch’io un’artista e ci mancherebbe altro che negassi a Pasolini il diritto di concedere libero sfogo alla fantasia…”
Ma l’amore?
“Io ho amato Pier Paolo“, prosegue la donna. “E gli ho sempre voluto bene, anche quando non eravamo più vicini. Ma il mio è stato un sentimento non certo paragonabile a quello della Dina pazzamente innamorata che soffre per non essere corrisposta e che non potrà mai esserlo a causa delle particolari tendenze sessuali della persona amata, che lei però non afferra. Pier Paolo aveva studiato violino da bambino, sicchè volle approfittare della nostra amicizia per rinfrescare e approfondire la conoscenza dello strumento. Divenni così la sua ‘maestra’, anche se le nostre lezioni non furono mai, come dire, di tipo tradizionale. Era qualcosa di confidenziale, di informale, senza impegni nè programmi precisi. Comunque, Pier Paolo imparò abbastanza da poter eseguire con me dei duetti… certo, era ben più preparato in altri campi. Me ne accorsi subito. Il suo, più che altro, era un giocare col violino. Poi si stancava subito e diceva: “Ma dài, Pina, lascia perdere. Prendi tu il violino e suona Bach, ‘Il Siciliano’ “.
Un traguardo, tuttavia, Pina riusci a farglielo raggiungere. Pier Paolo si appassionò alla musica del grande compositore tedesco, e lo amò a tal punto da dedicargli due originalissimi scritti, che Pina Kalc tuttora conserva, inediti: si tratta di uno Studio sullo stile di Bach e di un’analisi de ‘Il Siciliano’, che è il terzo tempo della Sonata n. l in sol minore. Pina Kalc dice che a leggerli, la prima volta, rimase abbastanza contrariata da certe considerazioni pasoliniane, da lei reputate troppo irriguardose e libere nei confronti del grande compositore. In realtà, nel suo Studio sullo stile di Bach, Pasolini si sofferma soprattutto sul problema, da lui definito uggioso, dei “rapporti storici e ideali tra musica e poesia”, che lui soprannominava “tra ritmo e sintassi”.
Nel saggio inedito scrive: “Prima il silenzio, poi il suono o la parola. Ma un suono e una parola che siano gli unici, che ci portino subito nel cuore del discorso. Discorso, dico. Se c’è un rapporto tra musica e poesia questo è nell’analogia, del resto umana, di tramutare il sentimento in discorso, con quel risparmio, quella misura, quell’accortezza che sono semplicemente comuni ad ogni opera d’arte. Basta rievocare il Partenone, un Masaccio, i Sepolcri, la 5^ sinfonia: da per tutto il medesimo inizio perfetto, cioè il passaggio perfetto dal nulla alla realtà dell’opera; la stessa conclusione perfetta, lo stesso svolgimento perfetto. E, in fondo a tutto, un sentimento, una passione, un’esperienze umana che divengono figure concrete. Tali somiglianze si fanno più sensibili tra l’arte musicale e l’arte poetica“.
E là dove scriveva di Bach (‘Il Siciliano’ – Schede sulla Sonata n. l in sol minore), Pier Paolo Pasolini affermava: “Bach non ha crisi. La sua opera è tutta ad una medesima altezza, e il suo unico pericolo è l’aridità (…). Se il Preludio rappresenta il punto perfetto di Bach, poeticamente e professionalmente, il Siciliano rappresenta l’opposto, cioè il rischio di una crisi. Il Preludio è disumano, il Siciliano è umano; nel primo odi una voce distaccata dalla bocca e dal seno; nel secondo vedi la bocca e il seno. Il Preludio è allegrezza, illusione; il Siciliano malinconia, preghiera“. E nel prosieguo delle “schede”, lo scrittore dice anche che in Bach una lotta c’è stata, e non soltanto una lotta con l’espressione. La sua “aridità”, se talvolta c’è stata, era semplicemente tecnica, bachismo, come c’è stato un petrarchismo. Insomma, “Il Siciliano rappresenta una possibilità per Bach di essere diverso da quello che è stato: il suo unico rischio di crisi“.
Segue, nello scritto, un’analisi dettagliata, quasi nota per nota, nella quale non vediamo sinceramente nessuna delle considerazioni “irriguardose” nei confronti del musicista che avevano turbato la giovane Pina.
Ma ritorniamo a lei, per ritrovarla insieme a Pasolini nel clima culturale di Casarsa negli ultimi anni della guerra e nell’immediato dopoguerra.
Pasolini ebbe l’idea di creare un coro, la cui direzione venne affidata a Pina. La convinse a dirigerlo e convinse molti giovani di Casarsa a parteciparvi. Si cominciò con un pianino e un locale messi a disposizione dalle suore. Pasolini assisteva a tutte le prove, correggeva la dizione friulana dei coristi, procurava o scriveva i testi delle villotte. “Contemporaneamente – racconta ancora Pina – preparava la filodrammatica e, quando tutti furono pronti, iniziò la lunga serie degli spettacoli, i cosiddetti ‘Meriggi d’arte’ “.
Ma all’inizio del ’45, a causa dei bombardamenti, le famiglie di Pier Paolo e di Pina si trasferirono a Versutta, un paesino a pochi chilometri da Casarsa. Finì così l’esperienza del coro. Non cessò tuttavia l’attività poliedrica di Pasolini: “Era un organizzatore tenace e un animatore culturale insuperabile. Scriveva, disegnava, giocava al pallone con i ragazzi del paese, faceva traduzioni dal greco e dal latino in versi e in prosa, teneva in casa lezioni di letteratura italiana e lingua italiana per i ragazzi… Erano lezioni interessantissime. Partecipavo anch’io, per l’approccio originale che Pier Paolo aveva con alcuni poeti, particolarmente con il Carducci, che non riusciva a digerire. Anzi, non tralasciava occasione per renderlo oggetto di ilarità. A Versutta organizzò e condusse insieme a sua madre una vera e propria scuola per bambini più piccoli, le lezioni si tenevano in questa o quella casa o all’aperto. I Pasolini, comunque, non si fecero mai pagare”.
“A Versutta, inoltre, Pier Paolo fondò l’Academiuta di lengua furlana. Io ne fui responsabile nella sezione musicale. Ancora a Casarsa, invece, si era fatto promotore della rivista culturale, ‘Il Stroligut’, che uscì in sette o otto numeri, non ricordo bene. Tutte iniziative volte a valorizzare, nobilitare, snellire ed elevare a dignità di lingua il friulano occidentale fino allora senza tradizioni scritte, unicamente parlato. A parte le ambizioni di Pasolini, però, furono iniziative di breve durata. Terminata la guerra, tutti noi ci sparpagliammo“.
Pina Kalc ricorda Pasolini uomo come un giovane estremamente cordiale e modesto, adorato dalla gente del luogo: “Era comprensivo con tutti, con gli analfabeti, con le vecchiette… Ebbe invece un rapporto abbastanza complesso con la signora Susanna, sua madre“.
“Madre e figli, Pier Paolo e Guido, erano affezionatissimi e, più che amarsi, si adoravano. Ma soprattutto il rapporto con Pier Paolo fu molto più intenso di quanto può esserlo uno naturale tra madre e figlio; così singolare da apparire a momenti morboso. Sono convinta che, anche se non si fosse manifestato successivamente in Pier Paolo Paolini quel “sovvertimento dei sensi” che tutti conosciamo, l’eccessiva adorazione e considerazione della madre gli sarebbe stata comunque d’impedimento a scegliersi una compagna della vita”.
“Quasi altrettanto intensamente la madre amò il secondogenito, Guido. Ricordo le sue sofferenze quando Guido si unì ai partigiani. Aveva solo diciotto anni e lei aveva una tremenda paura. Fui proprio io ad accompagnarla sulla montagna affinchè potesse rivederlo. Camminammo per boschi e sentieri interminabili, e lo trovammo. Fu un incontro brevissimo. Dovemmo affrettarci prima che calasse la notte. Fu la prima e l’ultima volta che lo rivide. Poco dopo, Guido cadde vittima di una resa dei conti tra formazioni partigiane“.
E Pina, ebbe modo di rivedere Pasolini dopo il 1945?
“No, non avemmo più alcun contatto diretto, nè personale nè epistolare. Comunicavamo attraverso sua madre, della quale rimasi grande amica. Ho comunque ricordato sempre Pier Paolo con piacere e gratitudine per tutto quello che ho imparato da lui. Oggi, a quarant’anni dal periodo della nostra amicizia e a quasi dieci dalla sua tragica morte, sono felice che il mondo lo consideri per quel che fu: uno spirito eccezionale, geniale. Ma in vita ha sofferto tanto, ha subito innumerevoli persecuzioni. Quasi come un Cristo“.
da: “Il Meridiano”, Trieste, 30 maggio 1985
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