L’Arcano del Vietnam è, come dice il suo autore, un “libro miracolo”. Scritto nel 1972, rifiutato da vari editori, perduto per tanti anni e poi “miracolosamente” ritrovato dopo trent’anni, rappresenta un punto nodale nella formazione e nella costruzione della coscienza letteraria, poetica e politica di Jack Hirschman. Atto di accusa e di partecipazione l’opera si immerge in un momento tragico della storia degli Stati Uniti che ha profondamente ferito l’animo di un’intera generazione, incrinando definitivamente il “sogno americano”.
Scrive Hirschman: “Anche se ho trascorso la mia infanzia durante la Seconda Guerra Mondiale e quella guerra ha prodotto i suoi effetti negativi su tutti – anche su quelli nati dopo la sua fine – la guerra americana in Vietnam fu la più grande catastrofe nella vita degli adulti della mia generazione e non deve essere dimenticata nella nostra epoca e in quelle future”.
Questo Arcano riflette la posizione etica assoluta del suo autore, pacifista ma soprattutto fiero oppositore della distruzione cieca e barbarica in nome dell’imperialismo, perpetrata dal suo stesso paese, di questo piccolo Stato a mani nude, pacifico ed innocente, in marcia verso la propria indipendenza e in lotta per ritrovare la sua unità infranta. Traduce anche il nascere di una lingua poetica audace al servizio di un messaggio ideologico e politico senza ambiguità.
“L’Arcano del Vietnam ” è dunque quel testo ritrovato e rivisitato in cui ci è possibile vedere il modo in cui sono utilizzati diversi campi di forza: il vudù vietnamita, la cabala ebraica e lo spirito della rivoluzione. Un’opera straordinaria scritta in un momento decisivo della formazione culturale e politica del poeta, in anni fondamentali per la crescita di coscienza del movimento pacifista, studentesco, politico.
Il poeta Mauro Macario, dopo aver letto “L’Arcano del Vietnam” di Jack Hirschman, ha scritto: «Hirschman è un gigante che veleggia dentro e fuori il pianeta, ha mani come galassie, è la storia stessa dell’umanità…Non si può smettere di leggere questo testo laicamente sacro. Genio assoluto, fonte che straripa, voce di tutte le voci. Che versificazione, che anima dolente, che rabbia devastante, che preghiera a nessun Dio. È una poesia che viene da lontano, le mie stesse radici ne sono imbevute.».
Vi presentiamo, in questa pagina il “Prologo” al poema. Come sempre personale e politico, la grande storia e le storie personali, lo sguardo sul mondo e l’impegno si miscelano in maniera sapiente nella scrittura di Jack. La lettura è stata realizzata a Casa della poesia nel 2017. La traduzione è di Raffaella Marzano, la foto di copertina di Salvatore Marrazzo.
Jack Hirschman
Prologo
(L’Arcano del Vietnam)
Ci sposammo 17 anni fa
in questo stesso giorno.
Scrivo ora con quella
amicizia che c’è stata tra noi
dal primo momento in cui ci incontrammo.
Come potevamo sapere
che le nostre mani avrebbero incontrato
il Partito di questo amore
e che un popolo
ci avrebbe legati al mondo intero
in maniera così assoluta.
Persino allora, anche se non lo sapevamo,
lo spazio stava preparando
il più profondo degli alberi.
Nel libro sulla Cabala posso vedere
i 10 sephirot che formano
l’Albero della Vita.
Ma quello da cui in definitiva deriva,
il grande albero con i bambini
che ardono in esso,
lo guardo con altri occhi.
Cosa si può fare per offrire un principe, e quale?
Quale vergine quando questi campi sono cosparsi
di imeni.
Raccolgo un bambino morto in una poesia
e lo porto fino al prossimo villaggio,
fuori dalla traiettoria del bombardamento.
Vive fra le braccia del mio verso libero,
lo riconosco:
un Gesù Cristo bruciato di tre anni,
il nostro aborto.
Nella poesia, nostra sola speranza e Partito
egli vive, una finzione più vera
della scienza della guerra
che lo ha assassinato,
questo piccolo “criminale” della nostra esaltazione
che è diventato un chicco di riso nella mia mano.
Lo assaporo come
uno delle migliaia che ci hanno lanciato.
Assaporo con te
sotto il Khăn-Phủ-Diện,
il velo rosso,
il vino ed il cammino del nostro matrimonio
nel vero tempio
ad Hà Nội,
e nel buio dopo
faccio correre la mia mano sul tuo corpo, adorato,
che sanguina accanto a me,
fuori il fiume intreccia i suoi capelli
con fuoco e acqua, l’aria
brulica di occhi che
fissano e fissano,
non ancora nati e già
non vogliono essere,
curvando di nuovo verso l’interno,
feti in tutto il cielo
che è rotondo come un grembo
che
rifiuta
di risuonare
perché il mondo non ci sarà,
se non nel suono
della poesia.
Spegniamo i suoi ritmi, i colori del suo
arcobaleno che il cuore
salta alto come una balena.
E i ponti, tante piccole costole.
Le colline le abbiamo tenute
per noi
come rosei seni.
Tu assapori le bacche di aronia
e pezzetti di noci di betel che anneriscono i denti
insieme all’amaro degli amici
e famiglie bombardate,
vaporizzate.
Assaporo chilometri e chilometri
di tunnel sotto terra
in cui vivemmo e resistemmo,
in cui solo il Lên Ðồng e la lotta
per la vittoria della giustizia
potrebbero redimere
le piccole tombe che rivestono
il manto della nostra assoluta nudità
affinché tutto il mondo possa vedere.
Traduzione: Raffaella Marzano
Jack Hirschman
Prologue
(The Vietnam Arcane)
We were married
17 years ago today.
I write this in the manner
of our friendship
the first moment we met.
How could we know
our hands would find
the Party of this love
and that a people
would bind us to the whole world
so completely.
Even then, though we didn’t know it,
space was preparing
this deepest tree.
In the book on kabbala I can see
the 10 sephirot forming
the Tree of Life.
But the one it ultimately derives from,
the tall tree with the children
burning in it,
I look at with another eye.
What can one make to gift what prince?
What virgin when these fields are strewn
with hymens.
I pick up a dead infant in a poem
and carry him to the next village,
out of the path on the bombardment.
He lives in the arms of my free verse,
I recognize him:
a burned Jesus Christ of three years,
our abortion.
In the poem, our only hope and Party
he lives, a fiction truer
than the science of the war
which murdered him,
this little “criminal” of our exaltation
who’s become a grain of rice in my hand.
I taste it like
one of the thousands thrown at us.
I taste with you
under the Khan-Phu-Dien,
the red veil,
the wine and the way of our wedding
in the true temple
in Ha Noi,
and in the darkness later
I run my hand over your body, beloved,
bleeding beside me,
the river outside braiding its hair
with fire and water, the air
teeming with eyes that
stare and stare,
not yet born and already
not wanting to be,
curving back inwardly,
fetuses all over the sky
that’s round as a womb
that
refuses
to ring
for the world will not be there,
save only by the sounding
of the poesy.
We die its rhythms, its rainbow
colors that the heart
leaps whale-up.
And the bridges, so many small ribs.
The hills we’ve kept
to ourselves
like blushes of breasts.
You taste the blackening chokeberry
and morsels of betel-nut mixed
with the bitters of friends
and family bombed,
sprayed to death.
I taste the miles and miles
of tunnels under the earth
where we lived and resisted,
where only Len-Dong and the struggle
for the victory of justice
could redeem
the small graves lining
the cloaks of our utter nakedness
that all the world may see.
Jack Hirschman
L’Arcano del Vietnam
2017, 176 pag., testo a fronte
Introduzione dell’autore
Nota per la lettura di Gilles Vachon
Collana: Altre Americhe
Traduzione e cura: Raffaella Marzano
€. 15,00
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