La poesia della settimana è dedicata al grande poeta spagnolo, José Hierro, nato a Madrid nel 1922 e scomparso nel 2002. La poesia scelta è la bellissima “In suono di addio / En son de despedida”. La traduzione della poesia, di Raffaella Marzano, fa parte di un’ampia antologia di José Hierro. Il volume dal titolo Quel che so di me, è stato pubblicato da Multimedia Edizioni lo scorso anno. Scrive Juan Vicente Piqueras nell’introduzione: «Era un toro delicato, un uragano generoso, un uomo molto forte e molto fragile allo stesso tempo. La sua grande forza nasceva dalla sua vulnerabilità. La sua gioia nasceva dal dolore. Forse per questo motivo, la sua gioia e vitalità avevano una sorta di inquietudine. Ho sempre avuto la sensazione che Pepe Hierro stesse fuggendo. Da cosa non lo so. Ma fuggiva». Come al solito in questa pagina trovate, insieme alla traduzione, il testo originale e soprattutto la bella lettura dell’autore. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
José Hierro
In suono di addio
Non sono venuto solo per dirti
(ma anche) che non tornerò mai più,
e che mai potrò dimenticarti.
Inizio il compito
(impossibile, se c’è qualcosa di impossibile)
di razionalizzare, interpretare, ricostruire e ripercorrere
quelle favole e incantesimi
che grazie a te furono realtà.
Recupero i passi iniziati sulla sponda del fiume
e che sfociano al «Kiss Bar» (anche se non sono sicuro
di dov’era l’inizio e dov’era la fine).
Sono stanco, molto stanco.
Don Antonio Machado ha detto più di mezzo secolo fa
«Sono vecchio perché ho più di sessant’anni,
che è tanta età per uno spagnolo».
(Nessun commento).
Ho vissuto giorni radiosi
grazie a te. Tra le mie dita scivolarono
cristalline le ore, acqua pura. Siano benedette.
Era una prigione di terzo grado:
torni in prigione di notte,
di giorno – miraggio – ti senti libero, libero, libero.
Nessuno ha potuto, né può, né potrà per i secoli dei secoli
portarmi via tale felicità.
Non sono venuto – te l’ho detto –
per dirti addio. So che non ti mancherò,
anche se io sognavo di essere tutto per te
come tu sei tutto per me.
Vanità delle vanità, tutto è vanità!
Non ti disturbo oltre (non so nemmeno se mi senti).
Bevo l’ultimo whisky al «Kiss Bar»,
l’ultimo margarita al «Santa Fe»,
poi vado in giro per la città e il suo muro d’acqua
dove non resta nulla che sia stato mio.
Desisto dall’entrare nel suo recinto,
non ho la forza di celebrare
la malinconica liturgia della separazione.
Voglio solo dormire, dormire,
forse sognare…
Traduzione: Raffaella Marzano
José Hierro
En son de despedida
No vine sólo por decirte
(aunque también) que no volveré nunca,
y que nunca podré olvidarte.
Emprendo la tarea
(imposible, si es que algo hay imposible)
de racionalizar, interpretar, reconstruir y desandar
aquellas fábulas y hechizos
que gracias a ti fueron realidad.
Recupero los pasos iniciados a la orilla del río
y que desembocaban en «Kiss Bar» (aunque no estoy seguro
dónde estaba el principio y dónde el fin).
Estoy cansado, muy cansado.
Don Antonio Machado dijo hace más de medio siglo
«Soy viejo porque tengo más de sesenta años,
que es mucha edad para un español».
(Sin comentarios).
He vivido días radiantes
gracias a ti. Entre mis dedos se escurrían
cristalinas las horas, agua pura. Benditas sean.
Fue un tercer grado carcelario:
regresas a la cárcel por la noche,
por el día —espejismo— te sientes libre, libre, libre.
Nadie pudo, ni puede, ni podrá por los siglos de los siglos
arrebatarme tanta felicidad.
Yo no he venido —te lo dije—
para decirte adiós. Sé que no me echarás de menos,
y eso que yo soñaba ser todo para ti
como tú lo eres todo para mí.
¡Ay vanidad de vanidades y todo vanidad!
No te importuno más (ni siquiera sé si me escuchas).
Bebo el último whisky en el «Kiss Bar»,
la última margarita en «Santa Fe»,
rodeo luego la ciudad y su muralla de agua
en la que ya no queda nada que fue mío.
Desisto de adentrarme en su recinto,
no tengo fuerzas para celebrar
la melancólica liturgia de la separación.
Sólo deseo ya dormir, dormir,
tal vez soñar…
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