La prima poesia della settimana del mese di ottobre è “Ritorni di un poeta assassinato / Retornos de un poeta asesinado” del grande poeta spagnolo Rafael Alberti ed è dedicata ad un altro grandissimo spagnolo della sua generazione Federico García Lorca e la proponiamo a 80 anni dal suo assassinio. Alberti è stato un poeta molto importante e amato ma che è stato un po’ colpevolmente messo in soffitta. Rappresentante della Generazione del ’27 e uno dei maggiori scrittori spagnoli, è stato membro del Partito Comunista e in esilio per la Guerra civile spagnola in Italia. Prosegue l’impegno di Casa della poesia e di Potlatch per una cultura libera e condivisa.
Rafael Alberti
Ritorni di un poeta assassinato
Sei tornato a me più vecchio e triste nell’assopita
luce d’un sonno tranquillo di marzo, polverose
d’un grigio inatteso le tempie, e quel bronzo
di olivo che la tua magica gioventù sosteneva,
solcato dal segno degli anni, come
se quella vita che non avesti in vita
l’avessi a passo a passo vissuta nella morte.
Non so cos’ahi voluto dirmi stanotte
con la tua visita inaspettata, l’abito fino
di lucido alpaca, cucito di fresco,
la cravatta gialla e i desolati capelli
al vento, come allora
per quei giardini di pioppi studenteschi,
e di caldi oleandri.
Forse hai pensato – cerco di spiegarmelo
ormai nei chiari sobborghi del sogno – che dovevi
venire prima da me dalle tue sotterranee
radici o occulte sorgenti fra cui
penano disperatamente le tue ossa.
Dimmi,
confessami, confessami
che nell’abbraccio muto che m’hai dato, nel tenero
gesto di offrirmi una sedia, nella semplice
maniera di sedermi accanto, di guardarmi,
di sorridere in silenzio, senza una sola parola,
dimmi se non hai voluto intendere con questo
che nonostente le minime zuffe che facemmo,
sèguiti a essere unito a me più che mai nella morte
per quelle volte che forse
– ahi, perdonami! – non lo fummo in vita.
Se non è così, ritorna di nuovo nel sogno
d’un’altra notte a spiegarmelo.
Traduzione di V. Bodini
Rafael Alberti
Retornos de un poeta asesinado
Has vuelto a mí más viejo y triste en la dormida
luz de un sueño tranquilo de marzo, polvorientas
de un gris inesperado las sienes, y aquel bronce
de olivo que tu mágica juventud sostenía,
surcado por el signo de los años, lo mismo
que si la vida aquella que en vida no tuviste
la hubieras paso a paso ya vivido en la muerte.
Yo no sé qué has querido decirme en esta noche
con tu desprevenida visita, el fino traje
de alpaca luminosa, como recién cortado,
la corbata amarilla y el sufrido cabello
al aire, igual que entonces
por aquellos jardines de estudiantiles chopos
y calientes adelfas.
Tal vez hayas pensado -quiero explicarme ahora
ya en las claras afueras del sueño- que debías
llegar primero a mí desde esas subterráneas
raíces o escondidos manantiales en donde
desesperadamente penan tus huesos.
Dime
confiésame, confiésame
si en el abrazo mudo que me has dado, en el tierno
ademán de ofrecerme una silla, en la simple
manera de sentarte junto a mí, de mirarme,
sonreír y en silencio, sin ninguna palabra,
dime si no has querido significar con eso
que, a pesar de las mínimas batallas que reñimos,
sigues unido a mí más que nunca en la muerte
por las veces que acaso
no lo estuvimos -¡ay, perdóname!- en la vida.
Si no es así, retorna nuevamente en el sueño
de otra noche a decírmelo.
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