Allen Ginsberg legge un brano da “Foglie d’erba” di Walt Whitman, la Bibbia della lirica americana, messa a punto nel 1892, attraverso quarant’anni di ininterrotto, esaltante travaglio creativo, dal poeta-profeta del Nuovo Mondo. Un incontro e un’identificazione, una lettura emozionante, un approccio fondamentale. Il più importante poeta della beat-generation legge il suo maestro ideale.
Chi mai va là? affamato, brutale, mistico, nudo;
Come faccio a estrar forza dal manzo che mangio?
Che cos’è l’uomo, insomma? Che cosa sono io? Che cosa sei tu?
Tutto ciò che contrassegno come mio tu devi controbilanciarlo con ciò che è tuo,
Altrimenti prestarmi ascolto sarebbe tempo perduto.
Io non piagnucolo come quelli che gemono su tutto il mondo,
Perché i mesi sono vani, la terra null’altro che fango e sozzura.
Gemiti e scoramenti mischiateli con le polverine per i malati, il conformismo passi in quarta fila,
Io porto il cappello come mi piace, in casa e fuori di casa.
Perché dovrei pregare? perché venerare e fare tante cerimonie?
Dopo aver nell’analisi spaccato un capello in quattro, dopo essermi consultato con dottori e aver calcolato rigorosamente,
Non trovo grasso che mi sia più caro di quello che aderisce alle mie ossa.
In ogni persona ritrovo me stesso, non uno che mi superi, non uno che valga un chicco d’orzo di meno,
E il bene e il male che dico di me lo dico pure di loro.
Io so che sono valido e sano,
Verso me i convergenti oggetti dell’universo perpetuamente fluiscono,
Tutti recano scritte per me, e io devo decifrare il senso di queste scritte.
Io so che sono immortale,
So che quest’orbita mia non può venir misurata dal compasso del falegname,
So che non dileguerò come l’ardente cerchio che nella notte un bambino traccia con un tizzone e acceso.
Io so d’essere augusto,
Non mi tormento lo spirito perché rivendichi i meriti suoi e si faccia capire,
Vedo che le leggi elementari non chiedono mai scusa,
(Ritengo dopo tutto di non comportarmi con orgoglio maggiore della livella, con l’aiuto della quale edifico la mia casa.)
Esisto come sono, e tanto mi basta,
Se nessuno nel mondo lo sa me ne resto tranquillo,
Se ognuno e tutti lo sanno me ne resto tranquillo.
Un mondo almeno lo sa e di gran lungi il più vasto per me, è cioè il mio io,
E sia che oggi consegua tutto quanto mi spetta, o debba attendere dieci mila anni o dieci milioni di anni,
Posso accettarlo adesso con letizia, e con uguale letizia posso aspettarlo.
La presa del mio piede è calettata a incastro nel granito,
Me ne rido di ciò che voi chiamate dissoluzione,
Io conosco l’eternità del tempo.
Traduzione di Enzo Giachino
da Walt Whitman, Foglie d’erba, Einaudi
Who goes there? hankering, gross, mystical, nude;
How is it I extract strength from the beef I eat?
What is a man anyhow? what am I? what are you?
All I mark as my own you shall offset it with your own,
Else it were time lost listening to me.
I do not snivel that snivel the world over,
That months are vacuums and the ground but wallow and filth.
Whimpering and truckling fold with powders for invalids, con- formity goes to the fourth-remov’d,
I wear my hat as I please indoors or out.
Why should I pray? why should I venerate and be ceremonious?
Having pried through the strata, analyzed to a hair, counsel’d with doctors and calculated close,
I find no sweeter fat than sticks to my own bones.
In all people I see myself, none more and not one a barley-corn less,
And the good or bad I say of myself I say of them.
I know I am solid and sound,
To me the converging objects of the universe perpetually flow,
All are written to me, and I must get what the writing means.
I know I am deathless,
I know this orbit of mine cannot be swept by a carpenter’s compass,
I know I shall not pass like a child’s carlacue cut with a burnt stick at night.
I know I am august,
I do not trouble my spirit to vindicate itself or be understood,
I see that the elementary laws never apologize,
(I reckon I behave no prouder than the level I plant my house by, after all.)
I exist as I am, that is enough,
If no other in the world be aware I sit content,
And if each and all be aware I sit content.
One world is aware and by far the largest to me, and that is my- self,
And whether I come to my own to-day or in ten thousand or ten million years,
I can cheerfully take it now, or with equal cheerfulness I can wait.
My foothold is tenon’d and mortis’d in granite,
I laugh at what you call dissolution,
And I know the amplitude of time.
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