Tra febbraio e marzo del 1994, durante una tregua dell’assedio di Sarajevo due giornalisti tedeschi, Marina e Andreas Achembach (dopo una lunga attesa a Zagabria ospiti dello scrittore Sinan Gudžević), visitano Izet Sarajlić. Il famoso poeta li riceve nella casa della sorella dove viveva poiché la sua era stata bombardata e dopo aver visto che Marina e Andreas avevano una piccola telecamera, decide di inviare una videolettera al suo e nostro amico Sinan Gudzevic per raccontargli la vita di un poeta fino a poco tempo prima famoso e omaggiato in tutto il mondo, in una città sotto assedio che non aveva voluto abbandonare (“altrimenti chi racconterà tutto questo?”). È l’unico modo di comunicare del poeta che realizza una drammatica testimonianza sulla situazione intellettuale nella città assediata, sul modo di vivere, sulla carestia, sulle famiglie divise, sull’amore che, non scomparso dalla città doveva, secondo lui, vincere sull’odio dei bombardamenti, sul progetto e sulla stesura del Libro degli addii. Il poeta dà un interessante bilancio dei mondi fantasiosi e fittizi della letteratura mondiale che nella tragedia della guerra hanno rappresentato per lui un’oasi di umanità e di forza per resistere: citazioni, frasi, reminiscenze. Sarajlić conclude che la sorte di quei poeti che non si sono schierati con le ideologie nazionaliste dopo la terribile guerra sarà forse quella di errare nei luoghi provvisori, ancora da definire.
Abbiamo recuperato questo filmato dopo alcuni anni dalla morte di Izet e abbiamo deciso di montarlo e tradurlo. La qualità del filmato è scadente, e soprattutto alla fine, quando si rimane senza energia elettrica, il rumore di un generatore e il buio, disturbano la lettura commovente di Izet della sua famosa poesia dedicata a Sarajevo, ma l’intensità è tale che abbiamo pensato di lasciarla comunque. Nel discorso di Izet ci sono riferimenti a persone, scrittori e poeti, a volte sconosciuti per i più, ma il discorso generale è chiaro.
A 30 anni di distanza da quel terribile 1994 abbiamo pensato di condividere, in questo spazio dedicato al dono e alla condivisione, quella videolettera e l’emozione provata allora nel vivere quelle immagini e quella testimonianza.
Izet Sarajlić è stato un poeta famoso, studiato a scuola, amato dalla gente, invitato in tutto il mondo, autore anche di una delle più famose poesie patriottiche yugoslave “Nati nel 23, fucilati nel 42”, che raccontava la tragedia di una generazione di giovani (tra cui il fratello Eso, fucilato dai fascisti italiani). È stato anche il poeta più tradotto della lingua serbocroata, una lingua che ufficialmente non esiste più, dilaniata dalla guerra linguistica nazionalista, una guerra di cui pochissimi hanno parlato (tranne Sinan Gudžević), ma che sarebbe interessante studiare per un linguista. Ma Izet era conosciuto soprattutto come il poeta dell’amore. Intere generazioni yugoslave (e non solo) si sono innamorate con i suoi versi, che venivano trascritti sui diari, nei bigliettini d’amore, recitati a memoria. Ma in quegli anni terribili, dalla Sarajevo sotto assedio, Sarajlić sente il bisogno e il dovere di raccontare l’orrore che sta colpendo il suo popolo e il suo paese, e due raccolte straordinarie vengono alla luce: “Poesie di guerra da Sarajevo “ e “Il libro degli addii”.
Dopo la guerra, alla fine degli anni 90, fino al 1999+3 (si rifiutava di scrivere 2000 ritenendosi un uomo del 900 e non volendo entrare nel nuovo secolo e meno che mai nel nuovo millennio), Sarajlić è stato il patriarca di quella famiglia poetica che si è aggregata intorno a Casa della poesia. Sono trascorsi 22 anni dalla sua scomparsa e ancora ci mancano le sue canzoni, le sue sigarette e le sue “doppie grappe”, la sua ironia e la sua apparentemente semplice, grande poesia. E ci manca anche Sarajevo diventata un po’ la nostra città del cuore (“dove anche la pioggia non è solo pioggia”) e nella quale abbiamo realizzato in sua memoria gli Incontri internazionali di poesia, portando, come sarebbe piaciuto a lui, poeti da ogni parte del mondo a rendere omaggio a lui, alla sua città, alla poesia.
E oggi noi possiamo dirgli ancora con i suoi versi, per esorcizzare la sua mancanza, “vieni passeggiamo almeno in questa poesia”.